La “storia elettorale” ultima alla prova dei fatti.
Ci ha pensato il 4 di marzo a verificarne la cieca stoltezza. Da “L’inganno tedesco” di Massimo Giannini,
pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 3 giugno dell’anno 2017: (…).
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
domenica 3 giugno 2018
sabato 2 giugno 2018
Terzapagina. 31“Quel «’68» e come eravamo”.
Da “Il treno
dei desideri cambiati” di Michele Smargiassi, pubblicato sul settimanale “Il
Venerdì” del 25 di maggio 2018: Il treno dei desideri era giallino di sopra
e rosso di sotto, aveva otto carrozze e un muso tondo da scimmietta. Partiva
alle 7.40 dalla stazione Centrale di Milano e arrivava alle 11.30 a Sanremo, in
tempo per la prima grigliata di pesce. Il Trans Europ Express 48
"Ligure", una delle glorie delle ferrovie italiane, il treno delle
vacanze, la tradotta euforica delle trasferte balneari dei milanesi in Riviera,
non andava affatto all'incontrario nel 1968, anzi. Quelle tre ore e cinquanta di
percorrenza erano una performance eccellente. Il suo erede di oggi, il Tello,
ci mette solo venti minuti di meno. Insomma anche allora il marito in città che
pativa nostalgia della moglie in vacanza poteva correre da "lei, partita
per le spiagge" in meno di mezza giornata. Quell'Italia del Sessantotto
era azzurra, troppo azzurra, ma in fondo non così lunga. Non era un paese
rimasto all'Ottocento. C'erano treni già piuttosto veloci, l'Autostrada del
Sole aveva legato Milano a Roma quattro anni prima. L'aeroplano che fischia
sopra i tetti era ancora una metafora di viaggi di lusso, ma via terra,
volendo, ci si poteva spostare con tempi paragonabili a quelli di oggi.
Volendo. Ma lo volevamo davvero? Il baratro di mezzo secolo che ci separa
dall'Italia di Azzurro, mirabile elegia musicale socio-psicologica di Paolo
Conte, non è fatto di siderali progressi tecnologici che rendono praticabili
oggi, subito, i desideri che ieri erano impossibili. Quegli interminabili
abbacinati pomeriggi di domenica estiva urbana non erano la conseguenza di una
arretratezza materiale, di una povertà di risorse materiali: non in quell'alba
radiosa di consumismo inebriante, di Seicento lucide, moplen infrangibili e
lavatrici servizievoli. Passeggiare in cortile, in silenzio, senza neppure
"un prete per chiacchierar", non era per niente obbligatorio. Il
telefono c'era. Su in casa, ok, sulla mensola del corridoio, legato al muro, ma
c'era: avendo voglia di chiacchierare, lo si poteva fare. Ma non lo facevamo.
Per molti anni ancora, solo due italiani su dieci avrebbero fatto più di una
telefonata al giorno. E solo una su cento era un'interurbana. E certo, allora
non eravamo connessi col mondo in qualsiasi momento, anche sotto l'oleandro e
il baobab giù in cortile. Ma la televisione, su in casa, intronata come un
altare nel buco del mobile del tinello, col centrino di pizzo sopra, c'era già
da ben quindici anni. Almeno in un appartamento su due. Centosessanta
abbonamenti tv ogni mille abitanti. Potevi scegliere solo tra Primo Canale e
Secondo Programma, d'accordo, ma qualcosa da guardare per interrompere la noia
c'era. Volendo. Ma volevamo? Non era un diverso rapporto con le cose, quello
che la voce di Celentano nel vero inno nazionale dell'Italia del benessere ci
riporta alla memoria con l'irruenza irrazionale di una madeleine proustiana.
Era un diverso rapporto col tempo. Che era una risorsa naturale abbondante,
ecologica, non esauribile, almeno così ci sembrava. L'interminabile monotonia
di un pomeriggio assolato è il sapore agrodolce che qualsiasi bambino
posteggiato a casa dei nonni ha conservato nel frigorifero della memoria.
Quella noia svogliata di una sedia a sdraio, di un libro leggiucchiato nella
frescura di un giardino, tra l'ipnosi meridiana delle cicale, che Luca
Guadagnino ha saputo magistralmente rievocare nel suo Chiamami col tuo nome. La
noia è un lusso della gioventù, età azzurra. Gioventù degli individui, ma anche
delle società. Quell'Italia partorita dalla guerra era ancora un paese giovane.
Poter scialare con munificenza il tempo, questo era l'otium dei romani, è la
vera ricchezza di chi il tempo sente di averlo tutto davanti, e ha la
ragionevole certezza che il tempo che alla fine arriverà sarà generoso. Perché
mettergli fretta? Pur avendo passato l'esame di maturità, i ragazzi aspettavano
senza scalpitare troppo il ventunesimo compleanno per poter votare, o anche
solo per poter firmare un documento. Intanto accettavano con benevolo fatalismo
e anche un po' di divertimento un anno perso di inutile naja, questo prelievo
fiscale dello Stato di una percentuale di giovinezza. Ci stava. Ci sarebbe
stato tutto il tempo, più avanti, per assolvere gli obblighi sociali. Intanto,
scialla...
venerdì 1 giugno 2018
Primapagina. 95 “Politica&psichiatria”.
Da “Il
lettino dello psicanalista è una tribuna elettorale”, intervista di
Antonello Caporale allo psicoanalista Luigi Zoja pubblicata su “il Fatto
Quotidiano” del 31 di maggio 2018: - Mi è capitato un paziente immerso in una
acuta crisi familiare seguita al divorzio. È riuscito a destinare una fetta del
nostro colloquio alla situazione politica. Quello mi convince, quell’altro no…-.
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