La “sfogliatura” proposta oggi
ha visto la “luce” il mercoledì 23 di novembre dell’anno 2011. Titola così “il
Fatto Quotidiano” del 2 di febbraio ultimo scorso un “pezzo” a firma di Ugo
Mattei: “Lo 0,1% ha preso davvero il
potere”. E nell’occhiello del “pezzo”: “La nuova Casa Bianca rappresenta il
compimento della tirannia della ricchezza”. Scrivevo a quel tempo: Dispiace che Michel Onfray – celebre per il
Suo apodittico « Dio non è morto perché
non è mortale. Una finzione non muore », contenuto nel Suo altrettanto
celebre “Trattato di Ateologia” -,
fine pensatore d’oltralpe, autore de “La lettura” di recente pubblicata sul
quotidiano “Corriere della Sera”, che di seguito trascrivo in parte, dispiace
dicevo che abbia a malanimo tutti coloro che, nei momenti difficili, ricorrano
alle letture antiche che ne hanno informato e conformato il pensiero. Dispiace
poiché quei lettori, a suo dire sprovveduti, hanno ben presente ciò che il mostruoso
“socialismo reale”, divenuto il
“comunismo” dei gulag e di quant’altro, ha prodotto di orrendo nel corso del
secolo ventesimo. Dispiace, poiché quei lettori, sempre loro, sanno ed hanno
ancora presente come quel “comunismo” dal volto disumano abbia consentito che
sangue colasse nei paesi dell’est, al pari del sangue fatto colare e scorrere copioso
da tutte le forme di capitalismo che il buon Onfray, dottamente, ci elenca e ci
illustra nella Sua interessante lettura. Quel sangue, e non solo quello, ma
anche quello dei colonizzatori di tutte le epoche e di tutte le latitudini e
longitudini del globo terracqueo, quel sangue dicevo è solamente il frutto di
quel “legno storto” - «Da un legno così storto come quello di cui
è fatto l’uomo, non si può costruire nulla di perfettamente dritto» secondo
il pensiero illuminato dell’Uomo di Königsberg - che è la “belva” resa, non
sempre, umana. Marx ebbe sempre a dire che il Suo pensiero mal si adattava alla
costruzione di qualsivoglia formazione politica ed ancor più del “comunismo”,
non più agli albori al tempo delle Sue riflessioni, e non volle mai avere a che
fare, come di un qualcosa di inopportuno e d’improprio, financo con il
“marxismo” del quale rifiutava paternità alcuna. Scriveva infatti, il “Moro” di
Treviri, il 5 di marzo dell’anno 1852 al Suo amico e connazionale Joseph
Weydemayer – lettera riportata alla pagina 92 dell’ottima biografia di Nicolao
Merker “Karl Marx. Vita e opere”
edizioni Laterza (2010) pagg. 257 € 18,00 -: “Per quanto mi riguarda, non a me compete il merito di aver scoperto
l’esistenza delle classi nella società moderna e la loro lotta reciproca. Molto
tempo prima di me, storiografi borghesi hanno descritto lo sviluppo storico di
questa lotta delle classi, ed economisti borghesi la loro anatomia economica. (…)”. Il suo, di Onfray, è
tutto un dire, dotto sommamente, ma che non entra nel merito delle questioni,
degli sviluppi e delle prospettive che affliggono le economie di questo secondo
decennio del secolo ventunesimo. Il famoso “che
fare” di leniniana memoria, che il nostro fine pensatore aborre, è quanto
di più immediato ci si possa porre nel guazzabuglio creato dal capitalismo
finanziario, nuovo strumento di arricchimento dei pochi, anzi dei pochissimi, a
sentire i giovani di “Zuccotti park”,
ovvero dell’1% che se ne sbatte candidamente del 99% dell’umanità.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
sabato 4 febbraio 2017
venerdì 3 febbraio 2017
Primapagina. 26 “Donald&Steve”.
Da “Bannon,
l’uomo forte che ha dettato a Donald la linea anti-immigrati” di Vittorio
Zucconi, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 31 di gennaio 2017: C’è qualcosa
di marcio nel castello del nuovo sovrano, c’è un uomo che dalla curva più
estrema della Destra americana più scalmanata controlla dall’interno della Casa
Bianca i pensieri e le opere di Donald Trump. Il suo nome è Steve Bannon. Il
suo potere è immenso. Le sue impronte digitali sono sulle prime decisioni prese
dal presidente. (…). Fanaticamente reazionario, ammirato dalla Destra
Suprematista fino al Ku Klux Klan, devoto del potere alla Dart Fenner di Star
Wars che aveva esaltato in una sua dichiarazione, Steve Bannon è tutt’altro che
uno sprovveduto o uno zotico pescato da quella “pancia” dell’America ruspante e
frustrata che ha fatto vincere Trump. Viene da una famiglia di lavoratori della
Virginia che lo avevano allevato come Democratico, fino alla devastante
delusione di Jimmy Carter alla fine anni ’70, che spinse Steve dall’altra parte
del fossato e poi nella prateria selvaggia della alt-right, la destra
alternativa anche alla destra tradizionale dei Repubblicani, prima Tea Party,
oggi trumpista. È stato ufficiale di Marina per quattro anni, studente con
lauree in università di grande prestigio, come Georgetown e Harvard e poi,
sempre per la leggenda della “Piccola Classe Media” dimenticata, dirigente
della Goldman Sachs, quella finanziaria dalla quale provengono ben sei dei
massimi consiglieri nel Team Trump. Dalla Goldman uscì per crearsi una propria
“boutique” finanziaria per speculazioni ardite e, fatti abbastanza milioni, poi
venne il passaggio alla pubblicistica online con la creazione di Breitbart e la
produzione di notizie “fake”, prima che le “notizie false” diventassero di
moda. I suoi scoop immaginari divennero, insieme con la propaganda dei
commentatori radiofonici vicini all’estremismo della destra neonazionalista, il
pane quotidiano di milioni di consumatori, avidi di odio per “il nero
usurpatore” Obama e per i “liberal”, per i progressisti. «I travestiti sono i
più affetti dall’HIV». «Le donne nere sono disoccupate perché falliscono nei
colloqui di lavoro». «La pillola rende le donne brutte e ripugnanti». «Huma
Abedin (la amica più stretta di Hillary) è legata al terrorismo islamico».
«Lesbiche devastano un negozio di abiti da sposa». «Planned Parenthood (la rete
di cliniche ginecologiche e abortiste) ha origini naziste». «Bill Kristol
(opinionista repubblicano che sconfessò Trump) è un ebreo rinnegato». «Il tour
dei froci torna nei Campus Universitari». E questo crescendo di
pseudogiornalismo culminò in una domanda che Steve Bannon fece nella versione
radiofonica del suo sito: “Preferireste che vostra figlia diventasse femminista
o avesse un cancro?”. Ora l’autore di questi titoli siede nel circolo più
stretto e segreto che condiziona il presidente, senza dover rispondere a
nessuno, non al Parlamento, non ai tribunali, perché il Consiglio per la
Sicurezza Nazionale è formato, e funziona, a totale discrezione del Capo. E la
“Formula Bannon”, si è vista all’opera nella stessa tecnica utilizzata per
costruire prima i notiziari calunniosi e poi nella campagna elettorale che lui,
di fatto, ha guidato negli ultimi mesi decisivi. È la tecnica che in radio fu
definita quella dello “Shock Jock”, del fantino degli shock, colui che frusta
il cavallo dell’opinione pubblica con sferzate sempre più forti per fare
dimenticare gli errori di ieri e per sbalordire con la botta di domani. Il
prevedibile caos creato dall’ordinanza presidenziale sull’immigrazione,
pubblicato prima che le guardie di frontiera, gli uomini della Sicurezza
Nazionale, il Dipartimento di Stato fossero consultati o avvertiti, ha creato,
nella polarizzazioine di folle apparse agli aeroporti e nell’applauso dei “boia
chi entra”, il perfetto diversivo.
mercoledì 1 febbraio 2017
Paginatre. 66 "L’illusione della rivolta apre le porte ai dittatori".
Da "L’illusione
della rivolta apre le porte ai dittatori", intervista di Marco Pacini
a Colin Crouch - il sociologo che ha inventato la parola “postdemocrazia” –
pubblicata sul settimanale l’Espresso del 24 di dicembre dell’anno 2016: (…). «Questi
movimenti populisti e nazionalisti – (…) - sono una rivolta contro la
postdemocrazia (…). Ma secondo me conducono verso qualcosa di peggio della
postdemocrazia. Forse il caso italiano, e mi riferisco al Movimento 5stelle, è
ancora parzialmente diverso. Ma quando osserviamo i nuovi movimenti populisti
in Paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, quello che emerge è un
conflitto profondo tra ragione ed emozione, un rifiuto del ragionamento. Forse
la politica democratica nella postdemocrazia era ancora politica, senza un
prevalere delle passioni, delle emozioni; era piuttosto dominata da dati,
ragioni economiche, tecnologia. Ma conservava qualcosa di democratico».
Iscriviti a:
Post (Atom)