"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 4 febbraio 2017

Sfogliature. 71 “Capitalismo, democrazia e Michel Onfray”.



La “sfogliatura” proposta oggi ha visto la “luce” il mercoledì 23 di novembre dell’anno 2011. Titola così “il Fatto Quotidiano” del 2 di febbraio ultimo scorso un “pezzo” a firma di Ugo Mattei: “Lo 0,1% ha preso davvero il potere”. E nell’occhiello del “pezzo”: “La nuova Casa Bianca rappresenta il compimento della tirannia della ricchezza”. Scrivevo a quel tempo: Dispiace che Michel Onfray – celebre per il Suo apodittico « Dio non è morto perché non è mortale. Una finzione non muore », contenuto nel Suo altrettanto celebre “Trattato di Ateologia” -, fine pensatore d’oltralpe, autore de “La lettura” di recente pubblicata sul quotidiano “Corriere della Sera”, che di seguito trascrivo in parte, dispiace dicevo che abbia a malanimo tutti coloro che, nei momenti difficili, ricorrano alle letture antiche che ne hanno informato e conformato il pensiero. Dispiace poiché quei lettori, a suo dire sprovveduti, hanno ben presente ciò che il mostruoso “socialismo reale”, divenuto il “comunismo” dei gulag e di quant’altro, ha prodotto di orrendo nel corso del secolo ventesimo. Dispiace, poiché quei lettori, sempre loro, sanno ed hanno ancora presente come quel “comunismo” dal volto disumano abbia consentito che sangue colasse nei paesi dell’est, al pari del sangue fatto colare e scorrere copioso da tutte le forme di capitalismo che il buon Onfray, dottamente, ci elenca e ci illustra nella Sua interessante lettura. Quel sangue, e non solo quello, ma anche quello dei colonizzatori di tutte le epoche e di tutte le latitudini e longitudini del globo terracqueo, quel sangue dicevo è solamente il frutto di quel “legno storto” - «Da un legno così storto come quello di cui è fatto l’uomo, non si può costruire nulla di perfettamente dritto» secondo il pensiero illuminato dell’Uomo di Königsberg - che è la “belva” resa, non sempre, umana. Marx ebbe sempre a dire che il Suo pensiero mal si adattava alla costruzione di qualsivoglia formazione politica ed ancor più del “comunismo”, non più agli albori al tempo delle Sue riflessioni, e non volle mai avere a che fare, come di un qualcosa di inopportuno e d’improprio, financo con il “marxismo” del quale rifiutava paternità alcuna. Scriveva infatti, il “Moro” di Treviri, il 5 di marzo dell’anno 1852 al Suo amico e connazionale Joseph Weydemayer – lettera riportata alla pagina 92 dell’ottima biografia di Nicolao Merker “Karl Marx. Vita e opere” edizioni Laterza (2010) pagg. 257 € 18,00 -: “Per quanto mi riguarda, non a me compete il merito di aver scoperto l’esistenza delle classi nella società moderna e la loro lotta reciproca. Molto tempo prima di me, storiografi borghesi hanno descritto lo sviluppo storico di questa lotta delle classi, ed economisti borghesi la loro anatomia  economica. (…)”. Il suo, di Onfray, è tutto un dire, dotto sommamente, ma che non entra nel merito delle questioni, degli sviluppi e delle prospettive che affliggono le economie di questo secondo decennio del secolo ventunesimo. Il famoso “che fare” di leniniana memoria, che il nostro fine pensatore aborre, è quanto di più immediato ci si possa porre nel guazzabuglio creato dal capitalismo finanziario, nuovo strumento di arricchimento dei pochi, anzi dei pochissimi, a sentire i giovani di “Zuccotti park”, ovvero dell’1% che se ne sbatte candidamente del 99% dell’umanità.

venerdì 3 febbraio 2017

Primapagina. 26 “Donald&Steve”.



Da “Bannon, l’uomo forte che ha dettato a Donald la linea anti-immigrati” di Vittorio Zucconi, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 31 di gennaio 2017: C’è qualcosa di marcio nel castello del nuovo sovrano, c’è un uomo che dalla curva più estrema della Destra americana più scalmanata controlla dall’interno della Casa Bianca i pensieri e le opere di Donald Trump. Il suo nome è Steve Bannon. Il suo potere è immenso. Le sue impronte digitali sono sulle prime decisioni prese dal presidente. (…). Fanaticamente reazionario, ammirato dalla Destra Suprematista fino al Ku Klux Klan, devoto del potere alla Dart Fenner di Star Wars che aveva esaltato in una sua dichiarazione, Steve Bannon è tutt’altro che uno sprovveduto o uno zotico pescato da quella “pancia” dell’America ruspante e frustrata che ha fatto vincere Trump. Viene da una famiglia di lavoratori della Virginia che lo avevano allevato come Democratico, fino alla devastante delusione di Jimmy Carter alla fine anni ’70, che spinse Steve dall’altra parte del fossato e poi nella prateria selvaggia della alt-right, la destra alternativa anche alla destra tradizionale dei Repubblicani, prima Tea Party, oggi trumpista. È stato ufficiale di Marina per quattro anni, studente con lauree in università di grande prestigio, come Georgetown e Harvard e poi, sempre per la leggenda della “Piccola Classe Media” dimenticata, dirigente della Goldman Sachs, quella finanziaria dalla quale provengono ben sei dei massimi consiglieri nel Team Trump. Dalla Goldman uscì per crearsi una propria “boutique” finanziaria per speculazioni ardite e, fatti abbastanza milioni, poi venne il passaggio alla pubblicistica online con la creazione di Breitbart e la produzione di notizie “fake”, prima che le “notizie false” diventassero di moda. I suoi scoop immaginari divennero, insieme con la propaganda dei commentatori radiofonici vicini all’estremismo della destra neonazionalista, il pane quotidiano di milioni di consumatori, avidi di odio per “il nero usurpatore” Obama e per i “liberal”, per i progressisti. «I travestiti sono i più affetti dall’HIV». «Le donne nere sono disoccupate perché falliscono nei colloqui di lavoro». «La pillola rende le donne brutte e ripugnanti». «Huma Abedin (la amica più stretta di Hillary) è legata al terrorismo islamico». «Lesbiche devastano un negozio di abiti da sposa». «Planned Parenthood (la rete di cliniche ginecologiche e abortiste) ha origini naziste». «Bill Kristol (opinionista repubblicano che sconfessò Trump) è un ebreo rinnegato». «Il tour dei froci torna nei Campus Universitari». E questo crescendo di pseudogiornalismo culminò in una domanda che Steve Bannon fece nella versione radiofonica del suo sito: “Preferireste che vostra figlia diventasse femminista o avesse un cancro?”. Ora l’autore di questi titoli siede nel circolo più stretto e segreto che condiziona il presidente, senza dover rispondere a nessuno, non al Parlamento, non ai tribunali, perché il Consiglio per la Sicurezza Nazionale è formato, e funziona, a totale discrezione del Capo. E la “Formula Bannon”, si è vista all’opera nella stessa tecnica utilizzata per costruire prima i notiziari calunniosi e poi nella campagna elettorale che lui, di fatto, ha guidato negli ultimi mesi decisivi. È la tecnica che in radio fu definita quella dello “Shock Jock”, del fantino degli shock, colui che frusta il cavallo dell’opinione pubblica con sferzate sempre più forti per fare dimenticare gli errori di ieri e per sbalordire con la botta di domani. Il prevedibile caos creato dall’ordinanza presidenziale sull’immigrazione, pubblicato prima che le guardie di frontiera, gli uomini della Sicurezza Nazionale, il Dipartimento di Stato fossero consultati o avvertiti, ha creato, nella polarizzazioine di folle apparse agli aeroporti e nell’applauso dei “boia chi entra”, il perfetto diversivo.

mercoledì 1 febbraio 2017

Paginatre. 66 "L’illusione della rivolta apre le porte ai dittatori".



Da "L’illusione della rivolta apre le porte ai dittatori", intervista di Marco Pacini a Colin Crouch - il sociologo che ha inventato la parola “postdemocrazia” – pubblicata sul settimanale l’Espresso del 24 di dicembre dell’anno 2016: (…). «Questi movimenti populisti e nazionalisti – (…) - sono una rivolta contro la postdemocrazia (…). Ma secondo me conducono verso qualcosa di peggio della postdemocrazia. Forse il caso italiano, e mi riferisco al Movimento 5stelle, è ancora parzialmente diverso. Ma quando osserviamo i nuovi movimenti populisti in Paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, quello che emerge è un conflitto profondo tra ragione ed emozione, un rifiuto del ragionamento. Forse la politica democratica nella postdemocrazia era ancora politica, senza un prevalere delle passioni, delle emozioni; era piuttosto dominata da dati, ragioni economiche, tecnologia. Ma conservava qualcosa di democratico».