Da “Il
guascone, il furbo, il delinquente e il web” di Oliviero Beha, su “il Fatto
Quotidiano” del 3 di dicembre dell’anno 2014: (…). Pesa come una montagna
sull’etica comportamentale e il debito pubblico del Paese il reato di evasione
fiscale. Fin qui niente di nuovo, anche se a volergli fare le pulci ci sono
alcuni aspetti che non tornano: mi vai a parlare di questo tema proprio alla
Gdf mentre la politica del governo si regge sul Patto del Nazareno stabilito
con un notissimo pregiudicato (che invitava a non pagare le tasse) e filtrato
attraverso l’indagatissimo Verdini? Ma sono alla Totò quisquilie e
pinzillacchere. Mi si obietterà che l’emergenza politica e lo stato del Paese
(dovuto peraltro pesantemente anche all’apporto dei due in questione) non
consentono troppi distinguo. Si è delinquenti solo se non si è utili alla
causa. Ma è proprio questo il punto. Mentre la categoria dei “furbi” ha
risvolti antropologici e filosofici che vanno ben al di là del reato citato ed
è qualcosa di profondamente umano sia pure con accezione negativa, mi
basterebbe che Renzi ce l’avesse con i delinquenti. (…). La vicenda romana (la
cosiddetta “mafia capitale” n.d.r.), l’ennesimo caso di ruberie in cui la
politica si intreccia alla criminalità, fa venire in mente Grillo e il M5S “a
contrariis”, proprio perché anni e anni di malvivenza e malcostume in una
complementarietà palese di destra e sinistra, di governo e di opposizione,
centrale e locale, sono all’origine della protesta che ha dato carne e sangue al
Movimento. Di cui Renzi guascone ha detto, (…), che insieme alla “vittoria del
Pd nelle Regionali” (con l’astensione vertiginosa che sappiamo), l’altro
elemento indiscutibile è che “Grillo salta”. Il premier è immaginifico e
bisogna capirlo. Mi sembra però che ritenga ormai un capitolo superato quello
di un Movimento che è fondamentalmente alla base anche della sua rottamazione
della nomenklatura che l’ha preceduto e da cui proviene. Ne parla come di un
fastidio che si è tolto, è una parte della politica che tratta come deriva che
è proficua solo se gli offrirà dei dissidenti disponibili a votare le sue
riforme, giuste o sbagliate che siano. (…). Scandali come questo di Roma, o
tutti quelli più recenti così come quelli che presumibilmente ci aspettano,
sono linfa vitale per la saturazione dei cittadini anche se adesso votano per
Grillo e i suoi magari meno, o molto meno. La crisi, leva dell’insoddisfazione
e della disperazione, non si dissolve con i problemi attuali del M5S,
espulsioni, Direttorio e complesso d’accerchiamento compresi. È il Paese che è
in pezzi, non tanto e non solo il M5S. La cui vitalità comunque non può
continuare a essere misurata sul web, colmo di interventi, di partecipazione,
di tifo e di insulti per chi eventualmente non fosse “in linea” con la
maggioranza e con la biga al comando: vi dice niente il piccolo particolare dei
più di 300 “mi piace” e delle oltre 400 condivisioni che aveva raccolto in un
lampo su Facebook l’omicida di Salerno che purtroppo ha poi eseguito il delitto
annunciato in Rete? Nel paesaggio deformato della realtà italiana ne esce
deformato anche il contesto virtuale. Teniamone conto per il futuro, che rotola
su un piano inclinato.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
sabato 3 dicembre 2016
venerdì 2 dicembre 2016
Primapagina. 18 “Bestiario costituente”.
“La normale occasione di urne aperte a una
consultazione popolare è diventata petulante e scimmiotta il finimondo, una
data spartiacque tra versanti opposti. Ma il governo resterà dov’è ora, tronfio
o ammaccato e il risultato del referendum resterà disatteso e aggirato, com’è
tradizione da noi, se sgradito all’esecutivo. La rappresentazione vuole che ci
siano da una parte i promotori di riforme, dall’altra i frenatori del
convoglio. Di mezzo c’è la Carta Costituzionale che aspetta di sapere se sarà
trasformata. Il verbo più preciso è appunto trasformare e non riformare. Quel
testo è la nostra dichiarazione dei diritti dell’uomo italiano e anche
l’ordinamento che ne dispone l’applicazione. Si intende trasformarla in altro,
secondo il fabbisogno delle democrazie moderne che puntano a ridurre il démos a
suddito, aumentando la crazìa, il potere, su di esso. Da noi è in carica per la
terza volta in una legislatura un terzo governo non uscito dalle urne, ma dal
cappello a cilindro di un ex presidente giocoliere, manovratore di maggioranze
accorpate da impreviste convenienze. Per mettere mano a modifiche della
Costituzione si dovrebbe aspettare il prossimo rinnovo del Parlamento e un
prossimo governo che affermi nel suo programma elettorale di volerla cambiare.
Allora avrebbe titolo, mentre questo in carica: no. Il riformismo un tempo
aveva una tradizione e un progetto ideale. Opponeva alle rivoluzioni del 1900
una via diversa per raggiungere traguardi di uguaglianza. I riformisti sapevano
fare le riforme. Oggi la utile e ben intenzionata riforma della pubblica
amministrazione è stata appena cancellata dalla Corte Costituzionale.
Evidentemente era male impostata. Se ne ricava che oggi i riformisti non sanno
scrivere le riforme. Se ne ricava che questo governo in carica non ha titolo
per usare la parola riforma per le trasformazioni della Carta Costituzionale”. Lettera
aperta di Erri De Luca “Contro i
riformatori incapaci”, pubblicata sul sito fondazionerrideluca.com il 29 di
novembre 2016.
Da “Bestiario
costituente” di Marco Travaglio, su “il Fatto Quotidiano” del 30 di
novembre 2016:
giovedì 1 dicembre 2016
Primapagina. 17 “Referendum, le ragioni del No”.
Da “Referendum,
le ragioni del No”, lettera di Alessandro Pace - presidente del Comitato
per il No al referendum costituzionale - al direttore del quotidiano la
Repubblica pubblicata il 21 di agosto 2016: Caro direttore, in una lettera
pubblicata il 18 agosto Luigi Berlinguer ha dichiarato che voterà per il Sì al
referendum costituzionale in quanto questo riguarderebbe “soprattutto il
superamento dell’obsoleto e ormai ingombrante bicameralismo paritario di casa
nostra, oltre all’abolizione delle Province e (finalmente) del Cnel”; che il
voto per il No gli parrebbe “dettato da un’ insopprimibile voglia matta di dare
una botta a Renzi, di levarselo di torno”; infine che la “parola d’ ordine” dei
sostenitori del No sarebbe che la “Costituzione non si tocca”. Le ragioni del
No del Comitato di centrosinistra, che ho l’onore di presiedere, non risiedono
né nella difesa del bicameralismo paritario, ormai condiviso da pochi; né nella
rilevanza costituzionale delle Province, la cui abolizione è stata ritenuta
legittima dalla Corte costituzionale; né infine nella sopravvivenza del Cnel,
da gran tempo divenuto uno “zombi”. Le
ragioni sono ben altre. La grave violazione del principio sancito dall’articolo
1 della nostra Costituzione, secondo il quale “la volontà dei cittadini
espressa attraverso il voto (…) costituisce il principale strumento di
manifestazione della sovranità popolare” (così la sentenza n. 1 del 2014 della
Corte costituzionale), laddove, con la riforma Boschi, la conseguenza sarebbe
che tutte le leggi, ivi comprese quelle costituzionali, non verrebbero più
approvate da rappresentanti eletti dal popolo. La mistificante enunciazione del
Senato “rappresentante delle autonomie territoriali”, che non solo continuerebbe
ad essere organo dello Stato centrale, ma non gli verrebbe concesso, nonostante
quell’ enunciato, di legiferare su materie di interesse regionale, con la
conseguenza che le Regioni verrebbero discutibilmente degradate a livello
“prevalentemente amministrativo”. La composizione irrazionale del Senato, i cui
componenti dovrebbero nel contempo svolgere la funzione di consigliere
regionale o di sindaco, cosa che non consentirebbe loro di adempiere
puntualmente le funzioni connesse ad entrambe le cariche, con la conseguenza di
rendere oltre tutto difficile il rispetto dei brevi termini previsti per il
Senato nei procedimenti legislativi diversi da quello bicamerale.
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