“Salviamo
la Terra” è stata una delle rubrichette senza pretese del trapassato
blog, quello allocato su di un’altra piattaforma del web. Dal fortunato
salvataggio di quel contenuto riemerge un post – il n° 29 – di quella
rubrichetta”. Il post risale al 26
di settembre dell’anno 2011, anno e stagione canicolare come la presente.
Questa stagione particolarmente canicolare che ci è dato di vivere è allietata,
in questi ultimi giorni almeno, dai nuovi eventi prodotti ed indubitabilmente legati
a quei cambiamenti climatici tanto derisi e bollati in passato come
“allarmismi” di stregoni alla moda. Essi, i cambiamenti intendo dire, si sono riannunciati
in questi giorni in quel di Orbetello con la distruzione di interi allevamenti
di pesci e la conseguente morte per asfissia di tutti quegli esseri viventi che
hanno così evitato di imbandire le nostre tavole ferragostane. Essi, i
cambiamenti sempre, ci hanno riportato ad una realtà negata e/o volontariamente
disconosciuta con le loro nuove naturali “armi di distruzione” denominate – per
i media imbolsiti - “bombe d’acqua”. Cosa ci stiano a fare le “bombe”, un nobile e
prezioso strumento di distruzione di massa pensato e creato dal supponente
padrone del pianeta Terra, con la Natura che rimette a posto i cocci suoi
stante la cecità di quel bipede primate supponente padrone, non è dato di
capire. Ma tant’è. È forse perché, annunciando di “bombe”, si riuscirà a
carpire – anche se per pochissimi istanti, ché tale risulta essere la capacità
attentiva degli schiavizzati dal piccolo mostro domestico o dalle diavolerie
elettroniche invadenti le vite sempre più povere d’umanità - l’attenzione delle
moltitudini al momento dedite alle immersioni o distese come lucertole al sole.
Scoppiata la “bomba” sui media ciascuno poi ritornerà a pensare ai “cavoli”
suoi. Che in questi ultimi anni hanno avuto, quei “cavoli” lì intendo dire,
il problema grosso, immenso, inestricabile della grande “crisi”, per la qualcosa
i temi tanto cari ad una sola delle parti politiche sensibile alla tematica,
quella che un tempo passava per la cosiddetta “sinistra”, sono stati
bellamente messi da parte ed ignorati nella loro dirompente drammaticità. Una
bella “bomba” a Firenze. Punto. Ahi, ahi! Un’altra bella “bomba”
nel Veneto. Grandi lai s’involano al cielo. Con morti, dispersi e quant’altro
occorrerebbe elencare. È che il titolo di quella rubrichetta di allora – e senza
pretese - aveva un limite ed induceva all’errore: che da salvare fosse la
Terra, per l’appunto. È che invece, è da dire oggigiorno, da salvare sia il “genere
umano”. Ma il “cupio dissolvi” dell’economia, che
antepone il profitto al rispetto della Natura e che regola le nostre vite, non
si accorge della grande ombra oscura che gradualmente si distenderà sull’intero
pianeta chiamato Terra. Annotavo allora, l’11 di settembre dell’anno 2011
principiando così:
Scriveva argutamente,
come sempre, Vittorio Zucconi il 13 di novembre dell’anno 2010 – prima di Irene
e prima ancora della feroce crisi globale: (…).
Non credo esista famiglia al mondo nella quale la moglie, o chi ne fa le veci,
non sogni di ampliare lo spazio per riporre la roba, sgabuzzini, cabine
armadio, quattrostagioni, controsoffittature, cantine, solai, mobiletti
pensili, scaffalature, sempre nella illusione di far sparire quelle cataste di
ciarpame che si accumulano nel tempo. E non esiste famiglia nella quale, dopo
avere fatto i lavori, firmato cambiali, montati gli stramaledetti armadi
fai-da-te con brugole, cacciaviti, martelli, liti, parolacce e bestemmie (da
contestualizzare, perché nessuno andrà mai all'inferno dopo avere montato
armadi dell'Ikea, Dio ci capisce) si abbia la tragica conferma di una legge
detta di Parkinson's che recita: - La quantità di cose da riporre aumenterà
sempre con l'aumentare dello spazio in cui riporle -. Come più miele attira più
mosche, così più armadi risucchieranno dalla galassia indumenti, oggetti,
carabattole, ciarpame come un'insaziabile aspirapolvere cosmica. Nel segno
della fatale frase, tanto adesso ho più spazio lo spazio si colmerà di roba
prima ancora che le rate siano state pagate. A volte mi chiedo (…) se, nel buio
odoroso di naftalina, giacconi e sottane, cappotti e reggiseni si accoppino
silenziosamente e producano nuova biancheria e maglieria. (…). Lo scriveva
in quella Sua consueta e puntuale corrispondenza da quel mondo che è l’America
con il titolo “Il paradosso dell'armadio
a muro”, corrispondenza pubblicata sul supplemento “D” del quotidiano “la
Repubblica”. Mancavano, a quel tempo, nei discorsi della gente disorientata, il
“default” e lo “spread”. Ora ce li abbiamo tutti e due a confondere le nostre
menti esacerbate. Come potrebbero non esserlo? Poi è tutto uno stracciarsi le
vesti per i consumi che non ripartono. Torna l’oziosa domanda di sempre che i
pochi incauti visitatori di questo blog mi hanno più volte visto porgere: ma
quali consumi dovrebbero aumentare? Sia ben chiaro che parlo a titolo personale
e poi non tanto; almeno nella cerchia delle nostre conoscenze in tanti ci
poniamo la domanda, forse da grandi sprovveduti come siamo: - ma cosa dovremmo
consumare che non consumiamo con dovizia? -. Non vedo una via d’uscita. Parlo
per me e per tutto quel ceto medio che in questi anni ha sostenuto i consumi,
condannati a consumare oltre il necessario. Nella mia abitazione posso contare
ben due armadi di quelli a sei ante ed in più un grande e grosso armadio
d’angolo che fa da scarpiera nella parte inferiore e da rifugio nella parte
superiore per tutto ciò che si ritiene non possa essere più alla moda. Quante
volte mi è capitato d’essere ospite in quelle antiche, stupende case di
campagna, abitate tuttora da cortesi anfitrioni di antico lignaggio, e di
scoprire in quelle antiche stanze i pochi, essenziali arredi a testimonianza di
una vita vissuta non tra le rinunce quanto di una vita vissuta per l’essenziale
senza la “dannazione” del dover consumare oltre ogni limite, consumare per il
consumo. E quante volte ci si è meravigliati di scoprire, nelle stanze più
riservate di quelle stupende case, un solo armadio, non già a sei ante, che
verosimilmente avrà custodito gli abiti di tutti i componenti della famiglia
dabbene. Il mio vuole essere un invito alla riflessione ed al buon senso di
coloro i quali reggono le sorti, al momento infauste, della vita pubblica,
sulla base di semplici, incontrovertibili constatazioni: non possiamo aiutarvi
ad irrobustire la ripresa poiché siamo impossibilitati a consumare di più avendo
tanto, per non dire tutto; non contate più su di noi che abbiamo avuto ed
abbiamo il superfluo invogliandoci a continuare a consumare il superfluo del
superfluo delle nostre vite; rivolgete le vostre attenzioni a tutti coloro che
sono stati tagliati fuori da questo godere, per anni e anni, ed approntate
strategie affinché siano posti nelle condizioni di consumare come si è fatto
sinora da parte di quel ceto medio di consumatori incalliti e senza rimorsi.
Queste convinzioni mi appartengono da tempo e quegli incauti visitatori di cui
prima avranno avuto modo d’esserne a conoscenza. Sia chiaro: non si propugna e
non si prospetta una vita pauperistica, che sarebbe oggigiorno un non-senso
storico; si propugna e si prospetta il dovere morale di una redistribuzione
delle ricchezze e delle risorse che concorrano ad un nuovo assetto sociale, ad
un’equità sociale che il liberismo, dagli anni della signora di ferro in poi,
ha negato come priorità per una vita che sia dignitosa per tutti. (…). È di
queste ore l’annuncio da parte del Presidente B.O. di una decisiva battaglia
affinché il rispetto dei parametri ecologici di “salvaguardia” diventino stringenti
dettando così un tradivo, forse, nuovo inutile calendario d’impegni. È tenero
assai B.O. È che vuole dare uno spessore
a questo tempo finale della Sua presidenza che non può non indurci allo
scetticismo se non al sarcasmo. Ma l’uomo è stato anche uomo di coraggio. Ma i
demoni con i quali dovrà combattere – uomini della finanza spregiudicata ,
petrolieri, costruttori d’auto – non mancheranno d’assalirlo da tutti gli
angoli affinché la regola che illumina i loro passi – il “tutto e subito” e
senza ostacoli di sorta – abbia a continuare a segnare la vita loro e di quel
99% di esseri umani che ciecamente o distrattamente uniformano le loro povere
vite a quell’obbrobrioso dettato. È il “cupio dissolvi” deliberatamente
scelto da quei “demoni” a nome di tutta intera l’umanità. Ha scritto il professor Umberto Galimberti
sull’ultimo numero – del 1° di agosto - del settimanale “D” – “Il Papa ecologista parla anche a chi non
crede” -: In Occidente abbiamo costruito solo etiche per regolare il conflitto
tra gli uomini, ma non abbiamo ancora un'etica che si faccia carico della
salvezza della natura. (…). …se prendiamo le mosse dalla cultura greca, la
natura era concepita come quell'orizzonte inoltrepassabile, limite insuperabile
cui l'azione umana doveva piegarsi come alla suprema legge. Scrive in proposito
Eraclito: «Questo cosmo che è di fronte a noi e che è lo stesso per tutti non
lo fece nessuno degli dèi, né degli uomini, ma fu sempre, ed è, e sarà fuoco
sempre vivente, che divampa secondo misure e si spegne secondo misure» (fr. B,
30). Sotto questo profilo la natura non è né buona né cattiva. Semplicemente è.
Ed è indifferente alla sorte della condizione umana. Questa è la ragione per
cui Pascal, di fronte all'indifferenza della natura, prova angoscia: «Gettato
nell'infinita immensità degli spazi che ignoro e che non mi conoscono, provo
spavento». E ciò che spaventa Pascal non è tanto l'infinità degli spazi
cosmici, ma la loro ignoranza della vicenda umana: «Non mi conoscono».
L'indifferenza della natura, la sua estraneità all'evento umano che ospita a
sua insaputa, e a cui invia solo un messaggio di solitudine. Sulla stessa linea
è anche Goethe che a proposito della natura scrive: «Natura! Da essa siamo
circondati e avvinti, né ci è dato uscirne e penetrarvi più a fondo. Senza
farsi pregare e senza avvertire, ci rapisce nel vortice della sua danza e si
lascia andare con noi, finché siamo stanchi e le cadiamo dalle braccia. La vita
è la sua invenzione più bella e la morte è il suo artificio per avere molta
vita. Non conosce né passato né futuro. Il presente è la sua eternità». Secondo
la cultura giudaico-cristiana, invece, la natura è un creatura di Dio e perciò
stesso è "buona". Nei sei giorni che dedica alla creazione, Dio
conclude ogni giorno la sua opera osservando, com'è scritto nella Genesi
(1,10): «E Iddio vide che ciò era buono». Quando Leopardi nella poesia A Silvia
parla di natura matrigna, non contraddice il messaggio cristiano, perché solo
partendo dalla concezione cristiana secondo la quale la natura è
"buona", Leopardi può dire: «O natura, o natura. Perché non rendi poi
quel che prometti allor? Perché di tanto inganni i figli tuoi?». Al di fuori
della concezione cristiana, infatti, la natura non ha mai promesso niente
all'uomo e perciò non l'ha mai ingannato.(…).
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