Scriveva il 12 di luglio dell’anno
2008, sul numero 606 del settimanale “D” del quotidiano la Repubblica, Mara
Einstein docente di “Media studies” al Queens College di New York: Nessuno
vi segnerà a dito il lunedì se non siete stati a messa la domenica, perché la
mancata partecipazione all'istituzione religiosa non genera più biasimo
sociale. Ora siamo liberi di scegliere come praticare la nostra fede, o di
praticarne anche più di una. Me ne sono ricordato, del ritaglio amorevolmente
conservato intendo dire, nell’intervallo della proiezione dell’ultima
straordinaria opera cinematografica di Paolo Sorrentino “La grande bellezza”. Non perdetela, andate a vederla. C’è un momento,
nel film, che mi ha riportato a Mara Einstein. È quando su di un terrazzo lussuosamente
arredato prospiciente il Colosseo, tra i rappresentanti di quel genere sociale
che un tempo si definiva il “generone”, arriva l’ultra
centenaria suor Maria, missionaria nell’Africa più povera, che nelle fattezze
ricorda (o si allude) alla Teresa di Calcutta. Suor Maria – 104 anni - è
definita la “Santa” e come tale è attesa e riverita. Avviene che, alle
insistenze di una direttrice di rotocalco, per il quale scrive lo straordinario
protagonista del film Toni Servillo, nella parte di Jep Gambardella, affinché
la Santa conceda un’intervista, la stessa, come ispirata dall’alto, risponda: “La
povertà non si racconta, la si prova”. Una risposta da gelare gli
astanti di quel “generone” che ha determinato non poco le sorti del bel paese. È
uno dei momenti topici del film. E prima di tornare allo scritto di Mara
Einstein voglio ancora soffermarmi sul film. Uscendo come in trance dalla sala
di proiezione si ha come l’impressione di ritornare alla più pura luce del
giorno. Si ha l’impressione di tornare a respirare a pieni polmoni. E sì che il
film è solare nella fotografie e nelle splendide immagini della città eterna. Una
Roma così è ben difficile da vedere così come anche solamente da immaginare. Ma
con tutta la luminosità delle riprese cala comunque sullo spettatore uno
sconforto tale che gli animi è come se si incupissero per l’enorme degrado
umano che il film porta coraggiosamente allo scoperto. E l’animo dello
spettatore non può non cogliere la fortissima contraddizione, anzi l’opposizione,
tra quel degrado umano e la bellezza storica, artistica e monumentale della
città e dei suoi più che millenari lastricati. Paolo Sorrentino rende con
coraggio, e come per magia d’immagini, questa contrapposizione tra una bellezza
eternata e la bruttezza del mondo che quella bellezza popola ingordamente e
sprezzantemente. È, il film di Paolo Sorrentino, la più amara delle metafore
che abbia visto sul bel paese. Una contrapposizione stridente tra la bellezza
immutabile di quel sito urbano e la bruttezza totale degli umani che lo degrada
con la sola sua presenza. Quel “generone” così spietatamente
rappresentato da Paolo Sorrentino rientra bene ed a tutto suo diritto nella
rappresentazione che ne ha fatto Mara Einstein nel Suo scritto di allora: Ancora,
la proliferazione dei media ci ha permesso di venire a conoscenza di una
quantità di pratiche spirituali disponibili. Nell'odierna cultura della merce
anche la religione è diventata un prodotto da vendere o da acquistare. Insieme
alla pratica religiosa, anche il consumatore moderno è cambiato. Più di
sessant'anni di consumi massificati combinati con l'azione dei mass media ci
hanno portato a credere alla favola che l'acquisto dei prodotti giusti possa
cambiarci la vita. Crediamo quindi che potremmo comprare anche salvezza e pace
interiore. È ciò che incupisce l’animo dello spettatore che assiste
alla proiezione de’ “La grande bellezza”.
Un mondo, quello che ruota attorno al protagonista Jep Gambardella, che ha come
punto di riferimento un’istituzione religiosa che più becera non la si potrebbe
immaginare e che Paolo Sorrentino affida, nella rappresentazione che ha pensato
e voluto, alla maestria recitativa di Roberto Herlitzka, il cardinale
ossessionato dalle sue prodezze culinarie. Scriveva – nell’anno 2008, sembra quasi
un’epoca preistorica - ancora Mara Einstein: Per dimostrare il proprio valore,
la religione deve essere confezionata e venduta, deve dotarsi di un marchio.
Che consiste di un simbolo (o una persona) e una mitologia. Le chiese di tutto
il mondo usano il loro leader come simbolo. Possono avere o meno un logo, ma
senza dubbio hanno una mitologia. Non quella del sistema di credenze a esse
connesso, ma quella che ruota intorno alla persona diviene lo strumento
attraverso il quale vendere la credenza. La commercializzazione della
spiritualità abitua le persone all'idea di poterne diventare acquirenti, e
questo è sufficiente a renderle più disponibili a comprare. Quando la gente
vede la fede come qualcosa che si può acquistare, la religione deve
incrementare il livello di marketing per potere competere contro le altre fedi.
È così che stupendamente Paolo Sorrentino rappresenta quello che viene
definito il centro della cattolicità. Una cattolicità vuota, corrosiva, senza
un’anima e che non disdegna di convivere con ben altri “poteri” che l’affiancano
senza esserne concorrenti, giammai avversaria per contrastarli nella loro
azione criminogena. Ed è a questo punto che mi viene di parlare dell’altro
momento topico del film. È quando Jep Gambardella dal suo lussuoso terrazzo prospiciente
il Colosseo scopre che il coinquilino del terrazzo superiore viene portato via
dagli agenti della DIA. È il più chiaro dei tantissimi messaggi che il film
trasmette allo spettatore. Quel “generone”, oggigiorno e come sempre
forse, è contaminato sin nelle più sottili delle sue fibre dalla malavita
organizzata; è il bel paese tutto che vive come soggiogato da quell’intreccio
che nessuna politica, succedutasi al governo del paese, è riuscita a sciogliere.
È il messaggio più difficile da recepire, quello che sarà impossibile da
accettare se si vuole che la democrazia e la vita associata non degradino nelle
peggiori forme di confusione e corruzione istituzionale. Scriveva ancora Mara
Einstein il 12 di luglio dell’anno 2008: Il marketing non è una novità - basti
pensare ai testimoni di Geova che distribuiscono Torre di Guardia o ai Beatles
quando promuovevano il Maharishi - ma la strategia si è fatta più pervasiva.
Una grossolana operazione di commercio riflette lo stato della fede oggi. Più
che con un luogo presso il quale recarsi, abbiamo a che fare con un prodotto da
erogare. La frequenza alla chiesa è in declino in tutto il mondo. Persino negli
Stati Uniti, dove la credenza religiosa raggiunge i picchi più alti tra le
culture industrializzate, il 50% degli americani attinge la fede da luoghi
diversi dall'istituzione religiosa. Media, organizzazioni paraecclesiastiche,
turismo d'avventura spirituale, abbigliamento, libri: qualsiasi cosa può
diventare fonte di sostentamento per lo spirito. Ma è difficile credere davvero
di trovare la fede in una t-shirt, o nell'ultimo best seller. E sono
convinto, profondamente convinto, che il mondo abbia camminato, in questo
lustro che ci separa da quello scritto, nella direzione immaginata da Mara Einstein.
E l’opera cinematografica di Paolo Sorrentino è una testimonianza dell’oggi. Non
perdete “La grande bellezza”.
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