"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 10 maggio 2013

Cronachebarbare. 12 L'onestà non paga.



Ha scritto Ilvo Diamanti su la Repubblica del 6 di maggio – “Il governo ideale per gli italiani” -: (…). …se questo Parlamento non favorisce la formazione di una maggioranza politica, non è per colpa di una legge che distorce e deforma le scelte degli elettori. Semmai, al contrario, è perché le riproduce in modo fin troppo fedele. Accentuandone le distanze, più delle affinità. Così oggi il governo è sostenuto da una coalizione precaria. Perché i partiti e i parlamentari che vi partecipano fanno a gara nel marcare il proprio distacco. Reciproco. Le proprie differenze. Berlusconi e il Pdl: impegnati a promuovere i "propri" prodotti di bandiera. L`Imu sopra tutti. Ma anche a "difendere" i territori critici, per il Leader Imprenditore: la giustizia e le telecomunicazioni. Il Pd: impegnato a dimostrare il proprio impegno, ma senza troppo impegno. Per rispetto verso la responsabilità che spetta ai vincitori - che in effetti non hanno vinto - le elezioni. E per evitare un nuovo voto ravvicinato, a cui oggi non sarebbe pronto. Infine: il M5S, impegnato a esibire il proprio disimpegno. Ma con impegno. Come se fossero gli altri a non volerne sapere di lui. E non lui a non volersi confondere e contaminare, con gli altri. Fuori dal Palazzo, intanto, la piazza rumoreggia. (…). E questo sforzo dei partiti dell’”antipolitica” al potere a differenziarsi, ma solamente all’apparenza, pronti all’ammucchiata, come dimostrato, pur rimanendo uniti nella difesa dello “stato” privilegiato raggiunto ha caratteri e tratti che vengono da lontano, da quella che potremmo definire l’impronta antropologica degli italiani. E di questa impronta dominante è quel carattere che universalmente viene riconosciuto come “familismo amorale”. Il paese tutto ne è contagiato, impregnato sin nelle midolla. Donde ne deriva che qualsivoglia marchingegno istituzionale debba fare i conti, perdendo, con quella tara antropologica che contraddistingue gli abitatori del bel paese dal resto dei popoli definiti avanzati. Pur sforzandosi d’apparire diversi, pur continuando ad amorevolmente coltivare vantaggi castali comuni che sono difficili da abbandonare, la casta dell’”antipolitica” al potere inventa soluzioni aberranti con il solo scopo di tenere sotto il suo controllo la vita politica del bel paese. Il potere per il potere. E qui vengon fuori gli effetti perversi e nefasti, per la salute della democrazia, di quella impronta antropologica che accomuna alla casta la fetta grandissima dei suoi stessi elettori-sostenitori. Scrive Ilvo Diamanti nel Suo pezzo d’analisi a proposito degli sviluppi ultimi del tormentone politico: Tutto diventa - tutto viene interpretato come - un segno di ribellione contro la Politica, i Politici, i Partiti, il Parlamento. Lo Stato. E la Politica, i Politici, i Partiti, il Parlamento, lo Stato: diventano - a loro volta- i mandanti, anzi, i veri responsabili. Di ogni suicidio e omicidio, di ogni aggressione. Di ogni atto disperato commesso da disperati. Per disperazione. Come se noi non c’entrassimo. Come se la colpa fosse solo "loro". Dei Politici, dei Partiti, del Parlamento. Come se questo governo - e questa maggioranza che non piace quasi a nessuno (a me di certo no) - uscissero dal nulla. Come se questo Parlamento fosse stato eletto "a nostra insaputa". Non è così. Purtroppo. Scriveva il 9 di aprile dell’anno 2011 il professor Umberto Galimberti sul settimanale “D”, in una Sua riflessione che ha per titolo “Siamo ancora tutti parenti”: (…). …l'onestà non paga. Dove non paga? In un paese dove i vincoli sono ancora di parentela e non ancora di cittadinanza, dove la legge del sangue è più forte della legge della città. Un problema questo che già nel V secolo a.C. la tragedia greca, con Sofocle, aveva affrontato, nell'Antigone, dove la protagonista perisce tragicamente per aver violato, in nome del vincolo di sangue, la legge della città che negava la sepoltura a suo fratello Polinice che aveva tradito la patria. Troppa drammaticità in questo paragone? No. Perché di tragiche punizioni e di truci delitti si alimenta qualsiasi associazione mafiosa che, come è noto, si fonda su vincoli familistici e perciò antepone le leggi della famiglia a quelle della città. A mio parere la mafia è solo la forma più vistosa e truculenta del costume diffuso in chiunque antepone il parente, l'amico, il raccomandato, il segnalato a chi davvero merita, a prescindere dai rapporti di parentela e di conoscenza. A questo punto due sono le conclusioni: 1. Non sconfiggeremo mai la mafia finché tutti quanti, nel nostro ambito di competenza, non debelleremo quel comportamento che antepone il vincolo di parentela al vincolo di cittadinanza. (…). 2. Non riempiamoci più la bocca con la parola "meritocrazia", perché questo criterio è impraticabile finché il vincolo di cittadinanza è subordinato a quello di parentela, finché il ragazzino di colore è svantaggiato rispetto al nostro figlio "bianco doc", finché le donne sono svantaggiate rispetto ai maschi, finché i poveri lo sono rispetto ai ricchi, gli omosessuali rispetto agli eterosessuali. (…)…quanto cammino culturale dobbiamo ancora fare anche solo per avere un concorso senza imbrogli. Che poi vuol dire premiare i più bravi a prescindere, e così garantire un minimo di eccellenza al nostro paese, senza costringere all'emigrazione chi ne dispone. Ed il dato antropologico, così ben delineato nella analisi del professor Galimberti, fa come da immagine speculare all’analisi, che definirei di “tecnica elettorale”, di Ilvo Diamanti laddove l’illustre opinionista arriva scrivere: Il problema, semmai, è che questa legge elettorale orrenda ha prodotto un Parlamento che rispecchia in modo fedele gli orientamenti e le differenze dell`elettorato. Dove coabitano tre Grandi Minoranze che non si sopportano. Due Soggetti Politici e uno Antipolitico. O meglio: premiato dal voto di molti elettori (due terzi, almeno) per risentimento contro "i partiti". Contro la Casta. Così oggi si ripropone una scena nota, in Italia. Il "governo nonostante". Subìto perfino dal premier, Enrico Letta. Il quale, ospite di "Che tempo che fa", ieri sera (nella trasmissione di domenica 5 di maggio n.d.r.), ha ammesso che «questo non è certo il governo ideale per gli italiani». A torto, perché riflette gli umori degli "italiani nonostante". Ai quali non piace perdere. Ma nemmeno vincere. Perché non amano la concorrenza, né la competizione. Come in economia e negli affari. Tutti liberisti, tutti contro le corporazioni e contro i privilegi di gruppo e di categoria. Tutti contro il familismo. Tutti per il merito. Eppure quasi tutti coinvolti in - e tutelati da - corporazioni e gruppi. (…). Così oggi siamo guidati da un "governo di necessità" perché viviamo in uno "Stato di necessità". Sostenuto da una "maggioranza di necessità". Composto da partiti e politici che non si sopportano. (…). Questo governo e questa maggioranza, dunque, sono "rappresentativi". Perché "rappresentano" fedelmente gli italiani. Ai quali piace stare "dentro" e "fuori", al tempo stesso. Al governo, ma senza impegno. (…). Perché ci impongono sacrifici che nessun governo "di parte" potrebbe imporre. Ma pronti a prenderne le distanze, appena risulti utile e opportuno. (…). Gli italiani: un po’ Berlusconi e un po’ grilli. Di governo e di opposizione - secondo il momento. E, talora, un po’ di sinistra. Perché "bisogna saper perdere". Ma il problema non è che "la Politica è lontana da noi". Al contrario: è fin troppo vicina. Troppo simile a noi. Questo è il problema. Più facile cambiare la Politica che gli italiani. Ed il “conto” torna. Ebbe a sostenere il cavaliere in nero: “Governare gli italiani non è difficile, è inutile”. E sì che fu, quel cavaliere, dalla maggioranza di essi osannato. Sino a quando non gli venne a noia.

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