Ha scritto Ilvo Diamanti su la
Repubblica del 6 di maggio – “Il governo
ideale per gli italiani” -: (…). …se questo Parlamento non favorisce la
formazione di una maggioranza politica, non è per colpa di una legge che
distorce e deforma le scelte degli elettori. Semmai, al contrario, è perché le
riproduce in modo fin troppo fedele. Accentuandone le distanze, più delle
affinità. Così oggi il governo è sostenuto da una coalizione precaria. Perché i
partiti e i parlamentari che vi partecipano fanno a gara nel marcare il proprio
distacco. Reciproco. Le proprie differenze. Berlusconi e il Pdl: impegnati a
promuovere i "propri" prodotti di bandiera. L`Imu sopra tutti. Ma
anche a "difendere" i territori critici, per il Leader Imprenditore:
la giustizia e le telecomunicazioni. Il Pd: impegnato a dimostrare il proprio
impegno, ma senza troppo impegno. Per rispetto verso la responsabilità che
spetta ai vincitori - che in effetti non hanno vinto - le elezioni. E per
evitare un nuovo voto ravvicinato, a cui oggi non sarebbe pronto. Infine: il
M5S, impegnato a esibire il proprio disimpegno. Ma con impegno. Come se fossero
gli altri a non volerne sapere di lui. E non lui a non volersi confondere e
contaminare, con gli altri. Fuori dal Palazzo, intanto, la piazza rumoreggia.
(…). E questo sforzo dei partiti dell’”antipolitica” al potere
a differenziarsi, ma solamente all’apparenza, pronti all’ammucchiata, come
dimostrato, pur rimanendo uniti nella difesa dello “stato” privilegiato raggiunto
ha caratteri e tratti che vengono da lontano, da quella che potremmo definire
l’impronta antropologica degli italiani. E di questa impronta dominante è quel
carattere che universalmente viene riconosciuto come “familismo amorale”. Il
paese tutto ne è contagiato, impregnato sin nelle midolla. Donde ne deriva che
qualsivoglia marchingegno istituzionale debba fare i conti, perdendo, con
quella tara antropologica che contraddistingue gli abitatori del bel paese dal
resto dei popoli definiti avanzati. Pur sforzandosi d’apparire diversi, pur
continuando ad amorevolmente coltivare vantaggi castali comuni che sono
difficili da abbandonare, la casta dell’”antipolitica” al potere inventa
soluzioni aberranti con il solo scopo di tenere sotto il suo controllo la vita
politica del bel paese. Il potere per il potere. E qui vengon fuori gli effetti
perversi e nefasti, per la salute della democrazia, di quella impronta
antropologica che accomuna alla casta la fetta grandissima dei suoi stessi
elettori-sostenitori. Scrive Ilvo Diamanti nel Suo pezzo d’analisi a proposito
degli sviluppi ultimi del tormentone politico: Tutto diventa - tutto viene
interpretato come - un segno di ribellione contro la Politica, i Politici, i
Partiti, il Parlamento. Lo Stato. E la Politica, i Politici, i Partiti, il
Parlamento, lo Stato: diventano - a loro volta- i mandanti, anzi, i veri
responsabili. Di ogni suicidio e omicidio, di ogni aggressione. Di ogni atto
disperato commesso da disperati. Per disperazione. Come se noi non c’entrassimo.
Come se la colpa fosse solo "loro". Dei Politici, dei Partiti, del
Parlamento. Come se questo governo - e questa maggioranza che non piace quasi a
nessuno (a me di certo no) - uscissero dal nulla. Come se questo Parlamento
fosse stato eletto "a nostra insaputa". Non è così. Purtroppo. Scriveva
il 9 di aprile dell’anno 2011 il professor Umberto Galimberti sul settimanale
“D”, in una Sua riflessione che ha per titolo “Siamo ancora tutti parenti”: (…). …l'onestà non paga. Dove non paga? In
un paese dove i vincoli sono ancora di parentela e non ancora di cittadinanza,
dove la legge del sangue è più forte della legge della città. Un problema
questo che già nel V secolo a.C. la tragedia greca, con Sofocle, aveva
affrontato, nell'Antigone, dove la protagonista perisce tragicamente per aver
violato, in nome del vincolo di sangue, la legge della città che negava la
sepoltura a suo fratello Polinice che aveva tradito la patria. Troppa
drammaticità in questo paragone? No. Perché di tragiche punizioni e di truci
delitti si alimenta qualsiasi associazione mafiosa che, come è noto, si fonda
su vincoli familistici e perciò antepone le leggi della famiglia a quelle della
città. A mio parere la mafia è solo la forma più vistosa e truculenta del
costume diffuso in chiunque antepone il parente, l'amico, il raccomandato, il
segnalato a chi davvero merita, a prescindere dai rapporti di parentela e di
conoscenza. A questo punto due sono le conclusioni: 1. Non sconfiggeremo mai la
mafia finché tutti quanti, nel nostro ambito di competenza, non debelleremo
quel comportamento che antepone il vincolo di parentela al vincolo di
cittadinanza. (…). 2. Non riempiamoci più la bocca con la parola
"meritocrazia", perché questo criterio è impraticabile finché il
vincolo di cittadinanza è subordinato a quello di parentela, finché il
ragazzino di colore è svantaggiato rispetto al nostro figlio "bianco
doc", finché le donne sono svantaggiate rispetto ai maschi, finché i
poveri lo sono rispetto ai ricchi, gli omosessuali rispetto agli eterosessuali.
(…)…quanto cammino culturale dobbiamo ancora fare anche solo per avere un
concorso senza imbrogli. Che poi vuol dire premiare i più bravi a prescindere,
e così garantire un minimo di eccellenza al nostro paese, senza costringere
all'emigrazione chi ne dispone. Ed il dato antropologico, così ben
delineato nella analisi del professor Galimberti, fa come da immagine speculare
all’analisi, che definirei di “tecnica elettorale”, di Ilvo Diamanti laddove
l’illustre opinionista arriva scrivere: Il problema, semmai, è che questa legge
elettorale orrenda ha prodotto un Parlamento che rispecchia in modo fedele gli
orientamenti e le differenze dell`elettorato. Dove coabitano tre Grandi
Minoranze che non si sopportano. Due Soggetti Politici e uno Antipolitico. O meglio:
premiato dal voto di molti elettori (due terzi, almeno) per risentimento contro
"i partiti". Contro la Casta. Così oggi si ripropone una scena nota,
in Italia. Il "governo nonostante". Subìto perfino dal premier,
Enrico Letta. Il quale, ospite di "Che tempo che fa", ieri sera (nella
trasmissione di domenica 5 di maggio n.d.r.), ha ammesso che «questo non è
certo il governo ideale per gli italiani». A torto, perché riflette gli umori
degli "italiani nonostante". Ai quali non piace perdere. Ma nemmeno
vincere. Perché non amano la concorrenza, né la competizione. Come in economia
e negli affari. Tutti liberisti, tutti contro le corporazioni e contro i
privilegi di gruppo e di categoria. Tutti contro il familismo. Tutti per il
merito. Eppure quasi tutti coinvolti in - e tutelati da - corporazioni e
gruppi. (…). Così oggi siamo guidati da un "governo di necessità"
perché viviamo in uno "Stato di necessità". Sostenuto da una
"maggioranza di necessità". Composto da partiti e politici che non si
sopportano. (…). Questo governo e questa maggioranza, dunque, sono
"rappresentativi". Perché "rappresentano" fedelmente gli
italiani. Ai quali piace stare "dentro" e "fuori", al tempo
stesso. Al governo, ma senza impegno. (…). Perché ci impongono sacrifici che
nessun governo "di parte" potrebbe imporre. Ma pronti a prenderne le
distanze, appena risulti utile e opportuno. (…). Gli italiani: un po’ Berlusconi
e un po’ grilli. Di governo e di opposizione - secondo il momento. E, talora,
un po’ di sinistra. Perché "bisogna saper perdere". Ma il problema
non è che "la Politica è lontana da noi". Al contrario: è fin troppo
vicina. Troppo simile a noi. Questo è il problema. Più facile cambiare la
Politica che gli italiani. Ed il “conto” torna. Ebbe a sostenere il
cavaliere in nero: “Governare gli italiani non è difficile, è inutile”. E sì che
fu, quel cavaliere, dalla maggioranza di essi osannato. Sino a quando non gli
venne a noia.
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