Ha scritto il filosofo Giorgio
Agamben in un post – “Benjamin e il
capitalismo” - del 29 di aprile su www.lostraniero.net
: Il
capitalismo come religione è il titolo di uno dei più penetranti frammenti
postumi di Benjamin. (…). Secondo Benjamin, il capitalismo non rappresenta
soltanto, (…), una secolarizzazione della fede protestante, ma è esso stesso
essenzialmente un fenomeno religioso, che si sviluppa in modo parassitario a
partire dal Cristianesimo. Che esistesse quel “rapporto parassitario”
tra la trionfante religione dei cristiani ed il capitalismo, rapporto che ha
permeato la vita del mondo occidentale, non è da storicamente da negare e
permane sotto gli occhi di tutti. Non per nulla quella religione, divenuta
chiesa potente nella sua versione confessionale a Roma, ha stretto rapporti sempre
più stretti con il mondo del capitale sino a perdere la sua essenza primigenia
di chiesa dei poveri e che per i poveri opera nel tempo storico nel quale è
chiamata a testimoniare. E del resto sono storicamente avvenute, nel seno di
quella confessione, contrapposizioni stridenti che il più delle volte sono
state risolte in forma cruenta con la soppressione fisica, nonché nella
memoria, di tutti coloro che opponendosi propugnavano una chiesa più umile e
più vicina al mondo dei diseredati. Ha prevalso, in quelle tragiche dispute,
l’interesse per la conservazione di quel “rapporto parassitario” che ha tanto
giovato nella costituzione e nell’affermarsi di quel potere temporale che non
pochi danni ha arrecato alle vicende della Storia. Ne ha reso fuggevole
testimonianza in un Suo recente scritto il teologo Hans Kung – “Francesco e gli indignati”, sul
quotidiano la Repubblica del’11 di maggio -, laddove poneva anche interessanti
interrogativi sul nuovo ordine gerarchico creatosi nella chiesa di Roma: Nemmeno
due decenni dopo la morte di Francesco il movimento francescano rapidamente
diffusosi in Italia sembra quasi completamente addomesticato dalla Chiesa
romana, tanto da porsi ben presto al servizio della politica papale, come un
normale ordine monastico, e da farsi addirittura coinvolgere nell’Inquisizione.
Se dunque è stato possibile addomesticare Francesco di Assisi e i suoi compagni
nel sistema romano, ovviamente non si può escludere che alla fine un papa
Francesco venga catturato nel sistema romano che dovrebbe riformare. Papa
Francesco: un paradosso? Potranno mai conciliarsi il papa e Francesco, un
contrasto evidente? Solo con un papa delle riforme ispirato dal Vangelo. Non
dobbiamo rinunciare troppo presto alla nostra speranza in un simile pastor
angelicus! Infine, (…): Che fare se ci viene tolta dall’alto la speranza nella
riforma? I tempi in cui il papa e i vescovi potevano contare tranquillamente
sull’ubbidienza dei fedeli sono comunque passati. Dunque, non possiamo in alcun
modo cedere alla rassegnazione, ma di fronte alla mancanza di impulsi
riformatori “dall’alto”, dalla gerarchia, dobbiamo intraprendere decisamente le
riforme “dal basso”, a partire dalla gente. Se papa Francesco metterà mano alle
riforme troverà un vasto consenso da parte della gente, ben al di là della
Chiesa cattolica. Se però alla fine andasse avanti così e non sciogliesse il
nodo delle riforme, il grido «Indignatevi! Indignez-vous!» risuonerebbe sempre
più anche nella Chiesa cattolica e provocherebbe riforme dal basso che
sarebbero realizzate anche senza l’approvazione da parte della gerarchia e
spesso addirittura contro i tentativi di impedirle compiuti dalla gerarchia.
Nel caso peggiore – (…) – la Chiesa cattolica vivrebbe, anziché una primavera,
una nuova era glaciale e correrebbe il pericolo di ridursi ad una grande setta
poco rilevante. Nell’intreccio storicamente perverso tra il
cristianesimo ed il capitalismo, che si è venuto a creare a seguito di quel “rapporto
parassitario”, il capitalismo ha assunto caratteri che Giorgio Agamben
tratteggia dottamente così: Come tale, come religione della modernità,
esso è definito da tre caratteri: 1. è una religione cultuale, forse la più
estrema e assoluta che sia mai esistita. Tutto in essa ha significato solo in
riferimento al compimento di un culto, non rispetto a un dogma o a un’idea. 2.
Questo culto è permanente, è “la celebrazione di un culto sans trève et sans
merci”. Non è possibile, qui, distinguere tra giorni di festa e giorni
lavorativi, ma vi è un unico, ininterrotto giorno di festa-lavoro, in cui il
lavoro coincide con la celebrazione del culto. 3. Il culto capitalista non è
diretto alla redenzione o all’espiazione di una colpa, ma alla colpa stessa.
“Il capitalismo è forse l’unico caso di un culto non espiante, ma
colpevolizzante… Una mostruosa coscienza colpevole che non conosce redenzione
si trasforma in culto, non per espiare in questo la sua colpa, ma per renderla
universale… e per catturare alla fine Dio stesso nella colpa… Dio non è morto,
ma è stato incorporato nel destino dell’uomo”. (…). E nella creazione
di quel culto tanto caro al capitalismo la esasperazione estrema la si è avuta
con l’avvento del cosiddetto “capitalismo finanziario” che ha
soppiantato il capitalismo della produzione dei beni e dei servizi. In esso,
nella sua forma esasperata che oggigiorno domina lo scenario internazionale, si
è potuta realizzare quella trasformazione profonda nella vita delle moltitudini
dell’Occidente a seguito della quale il professor Umberto Galimberti ha potuto
affermare in un Suo scritto – del 1° di settembre dell’anno 2012 sul settimanale
“D” - “Quando è il denaro a dare valore
alla vita”: C'è una complicità inconscia tra il mondo della finanza e i nostri
comportamenti? Aristotele, nell'Etica a Nicomaco, scrive che il denaro non può
generare ricchezza perché il denaro non è un bene, ma solo il simbolo di un
bene. Questa tesi fu ripresa anche da Tommaso d'Aquino che la tradusse con
"pecunia non parit pecuniam", in ciò confortato anche
dall'indicazione che si legge nel Vangelo di Luca (6, 13) dove è scritto:
"Mutuum date nihil inde sperantes": prestate il denaro senza attendere
necessariamente la restituzione. E questo in base al principio della carità
cristiana. Nel Settecento, con la nascita dei primi trattati di economia di
David Ricardo e Adam Smith, si stabilì che il valore di un bene non consiste
nella sua capacità di soddisfare un bisogno (valore d'uso), ma nella sua
capacità di scambiarsi con altri beni (valore di scambio). Questa capacità
viene decisa da due assi cartesiani: la domanda e l'offerta, dal cui incontro
dipende il valore di un bene. Il discorso sembra razionale, anzi addirittura
matematico, quindi inconfutabile. Anche se Marx, un secolo dopo, considerava
che se il denaro diventa la "condizione universale" per soddisfare i
bisogni e produrre i beni, allora il denaro non è più un "mezzo", ma
il primo "fine", per conseguire il quale, si vedrà se soddisfare i
bisogni e in che misura produrre i beni. A seguito di questo capovolgimento, (…),
il mercato diventa il grande regolatore della vite umane, contro il quale
nessuna rivoluzione è possibile perché, come ci ricorda Hegel, la rivoluzione è
praticabile quando in conflitto ci sono due volontà: quella del servo e quella
del signore, ma il mercato non ha volontà (…). Il mercato è nessuno, anche se
il filosofo Romano Madera ci ricorda che "Nessuno, come ci ha insegnato
Omero, è sempre il nome di qualcuno", ma questo qualcuno non è
identificabile. E allora con chi possiamo prendercela? Questo Nessuno, che
ignora il monito di Aristotele e anche l'indicazione evangelica (…) porterà al
suo tramonto la nostra civiltà, e con l'Occidente, probabilmente tutto il mondo
in via di occidentalizzazione, perché se il denaro, da valore di scambio,
diventa il generatore simbolico di tutti i valori, la vita si contrae e si
rattrappisce, perché, come ormai è a tutti evidente, ci sono sempre meno
condizioni per vivere. E siccome la rivoluzione è impossibile, la cultura del
denaro come supremo valore diventa pervasiva e non riguarda più solo la
finanza, ma anche il comportamento di tanta povera gente che affolla le
tabaccherie per acquistare i biglietti delle varie lotterie, o tentare
improbabili guadagni alle slot machine. Rimedi? Non se ne vedono quando un
modello teorico (le regole del mercato) diventa così pervasivo da determinare i
comportamenti di ciascuno di noi. Siamo diventati complici.
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