È sempre interessante incontrare
la cosiddetta “borghesia”. La “borghesia” faccendiera. La “borghesia”
delle arti e dei mestieri. Un tempo si sarebbe detto delle arti e delle
professioni liberali. È interessante incontrarla per capirne gli “animal
spirits” del momento. Io l’ho incontrata stamane nel negozio del mio
solito acconciatore per signori in quel di ******. Un cinquantenne, brizzolato,
dall’incarnato abbondantemente abbronzato. L’ho incontrata, la “borghesia”
intendo dire, che se ne stava tranquillamente accomodata su di una poltrona del
mio solito acconciatore per signori intenta a parlare al telefonino con un,
presumo dall’idioma che mi perveniva, lontano interlocutore. Parlava e parlava,
incurante della mia presenza e della mia attesa paziente. La “borghesia”
incontrata stamane parlava di forniture e di contratti, di collaborazioni al
minimo e di quant’altro afferente agli affari di quella classe sociale. Ne ha
parlato, la “borghesia” incontrata stamane, per un bel pezzo, mentre il
paziente acconciatore per signori, reso nel frattempo inoperoso, attendeva la
fine della conversazione. Terminata la quale il rampante rappresentante di
quella cafona “borghesia” portava via la sua maleducazione e la sua protervia
di classe. L’appartenenza alla quale, alla classe intendo dire, segna vita, psiche
e cultura delle persone. Ho saputo poi, dal sempre mite acconciatore per
signori, divenuto nel frattempo visibilmente insofferente, che ancor prima del
mio arrivo la comunicazione aveva avuto inizio da almeno un quarto d’ora
abbondante. È sempre interessante incontrare la cosiddetta “borghesia”. Per
conoscerne i pensieri più profondi, sol che ne abbia, aldilà di forniture,
contratti e remunerazioni al ribasso delle collaborazioni. È sempre
interessante incontrare la cosiddetta “borghesia”, poiché risulta
importante verificare la tenuta ed il grado della “fiducia” sociale che
possa intercorrere, nella crisi globale che stiamo vivendo, tra quella classe e
le rimanenti. A me è capitato, fortunosamente e fortunatamente per la mia
curiosità, di verificarne lo stato. Ho potuto coglierne la cifra più intima e
significativa. Laddove, in un occasionale incontro con la cosiddetta “borghesia”
benpensante, a fronte delle anche asperrime contrapposizioni tra le diverse
scuole di pensiero su come bisognasse affrontare la crisi economico-finanziaria
in corso – reinventarsi una qualsivoglia spesa pubblica che alimentasse la
ripresa? Richiamare dall’oltretomba il genio del barone di Tilton, al secolo
John Maynard Keynes? – gli “animal spirits” dominanti di quella
classe hanno preso il largo invocando, per bocca di quelle persone, l’uscita
dall’euro e, sentite, sentite, l’incoraggiamento e la tolleranza della evasione
fiscale della “borghesia” che intraprende che da sola, l’evasione fiscale intendo
dire, consentirebbe la circolazione della ricchezza, la ripresa dei consumi ed
il ritorno al bengodi pre-“crisi”. A loro dire, tutte le altre
cose sono stoltezze e perdita di tempo. E sì che la rapina di quella classe,
nella distribuzione della ricchezza creata dal mondo del lavoro, da tutto il
mondo del lavoro, maestranze ed imprenditori, con le conseguenti disuguaglianze
sociali ingigantite, è oramai divenuta una certezza, fattuale e non teorica, che
solo la stoltezza di una certa “borghesia” si ostina a non voler vedere
e ad affrontare. È quanto, su una certa idea della “borghesia” e sullo
stato della “fiducia” sociale, dalla quale “fiducia” dipende
fortissimamente la pace sociale. Che succede “quando gli uomini si comportano
in maniera palesemente egoistica?”. Bella domanda. Quale la risposta? Ne
ha scritto, sul quotidiano la Repubblica, Roberto Esposito – recensendo
l’interessante ultimo lavoro editoriale del filosofo Michela Marzano “Avere fiducia”, Mondadori (2012),
pagg. 219 € 17,50 - in un “pezzo” pregiato che di seguito
propongo in parte. Titolo del pezzo: “Sulla
fiducia”. Per l’appunto.
(…). …inizia ad aprirsi quella
frattura antropologica che oggi minaccia di diventare una vera e propria
voragine: come conservare la fiducia nella solvibilità degli individui, delle
banche o degli stessi Stati che le garantiscono, quando gli uomini si
comportano in maniera palesemente egoistica? È come se tutto il castello
dell’economia moderna poggiasse su un fondamento di carta destinato a
strapparsi al primo urto. La storia delle molteplici crisi finanziarie, dalla
bancarotta del 1720 in
Francia a quella dei nostri giorni, al di là delle ovvie differenze di tempo e
di contesto, rimanda a questo vuoto originario, a partire dal quale la sfiducia
tende sempre più rapidamente a sfondare le fragili pareti della fiducia: come
scriveva Duclos nelle sue Memorie segrete, “la fiducia si ispira per gradi, ma
basta un istante per distruggerla, e, allora è in qualche modo impossibile ristabilirla”.
Senza una credibilità diffusa, l’intero sistema economico minaccia di crollare,
ma per crearla occorre che da qualche parte si dia prova di meritarla. È il
cortocircuito in cui la speculazione finanziaria ha trascinato prima l’economia
americana e poi il resto del mondo: il mancato pagamento dei subprimes ha
portato alla caduta del prezzo degli alloggi ipotecati senza copertura. Ciò, a
sua volta, ha determinato una generale crisi del credito e una conseguente
perdita di fiducia nei confronti dell’intero sistema finanziario. Tutto ciò è
ben noto agli economisti. Che però tendono a restare chiusi all’interno del
loro orizzonte, impedendosi così di vedere quella faglia che lo sottende, (…).
Quando il senso comune diventa quello efficacemente stilizzato nel film di
Ridley Scott Nessuna verità (2008) “Non fidarti di nessuno. Inganna tutti”, la
soglia di guardia è abbondantemente superata. La fiducia, ridotta a credito
economico, o a contratto giuridico, non è che l’ombra deformata della
diffidenza. A quel punto, rotti gli argini etici che tengono insieme gli
uomini, nulla può più arrestare la valanga. Quando, già nel 1937, Franklin D.
Roosevelt affermava che l’egoismo è cattivo non solo moralmente, ma anche
economicamente, coglieva l’anello decisivo della catena di crisi economiche che
avrebbero squassato il sistema capitalistico. Ad uscirne non bastano i - pur
necessari - provvedimenti economici. E neanche solamente quelli politici. Serve
un sommovimento generale delle coscienze che liberi l’idea, e la pratica, della
fiducia dalla sua sudditanza all’ideologia dell’interesse. Alla sua base non vi
può essere solo la fiducia in se stessi predicata dai nuovi addestratori di
manager e trader, quanto il coraggio di fare la prima mossa – credere negli
altri prima ancora che questi credano in te. Con tutto il rischio che tale
opzione comporta. (…). …l’eccesso di protezione immunitaria contro il possibile
pericolo conduce non solo alla rottura del legame sociale, ma anche al rischio
mortale di una malattia autoimmune.
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