Ci sarebbe, poi, da parlare della
“felicità”.
O sulla “felicità”. Poco o molto che sia. Non importa. Impresa in
verità ardua. Anime sensibili hanno cercato di definirne gli ambiti. Non
riuscendoci esaustivamente. L’azzardo è massimo. Scrive a tal proposito Gustavo
Zagrebelsky sul quotidiano la Repubblica – “Il welfare del pensiero” -: (…). Gli antichi, con perfetta ragione,
dicevano che la felicità è il completamento di ciò che è “per sua natura”, cioè
è la realizzazione di ciò cui la nostra natura aspira. Possiamo, allora, dire
che nelle idee noi troviamo la felicità, per la parte che riguarda la mente. È
un punto di vista. Ricordo bene di un incontro tra amici tra i quali, molto
ascoltato, era un cosiddetto “strizzacervelli”. Parlando con molta discrezione
ci narrava di quel tale che, rimasto solo, gli confidava della felicità
coniugale trovata e goduta, negli anni, attraverso le più che soddisfacenti
risorse economiche delle quali la coppia disponesse. È un altro punto di vista.
Continua Zagrebelsky nel Suo pregevolissimo pezzo: Uno dei primi trattati sulla
felicità, il dialogo Gerone, il tiranno del poeta lirico Simonide (VI-V secolo
a. C.), tratta per l’appunto dei beni che fanno la felicità, quando li si
possiede, e l’infelicità, quando mancano. Non esistono beni di questo genere in
assoluto: dipende dalla natura degli esseri umani. Le persone sensuali
troveranno i loro beni «con gli occhi per ciò che vedono (gli spettacoli), con
gli orecchi per ciò che sentono (la musica), col naso per gli odori (i
profumi), con la bocca per ciò che ingurgitano (il cibo e il vino) e con ciò
che tutti ovviamente conosciamo in ragione del sesso (i corpi degli amati). C’è
poi il sonno, che genera felicità per il corpo e per l’anima, anche se è
difficile dire come e perché, forse a causa del sonno stesso che rende le
sensazioni meno chiare di quanto siano nella veglia». Ma poi conosciamo persone
per natura superbe e arroganti. Costoro trovano la felicità nel concepire
grandi progetti, portarli rapidamente a termine, avere il superfluo in
abbondanza, possedere cavalli d’ineguagliabile velocità, armi d’incomparabile
potenza e bellezza, gioielli squisiti per le proprie amanti, dimore magnifiche,
i servi migliori, poter danneggiare i propri nemici più di ciò che a chiunque
altro sia consentito, essere ammirati dal maggior numero possibile dei propri
simili. Ancora: ci sono le persone spirituali, per le quali i veri beni sono
quelli dell’anima, l’amicizia, l’amore, la saggezza, la contemplazione, la filosofia,
l’armonia con i propri simili, l’agricoltura, come armonia con la natura.
Ricordo pure, sempre a proposito delle cose detteci dal nostro carissimo
“strizzacervelli”, di quella inconsolabile che, a trapasso avvenuto del
coniuge, ebbe a confidargli della “felicità” coniugale goduta. È pur vero che
nel quartiere, nel quale la coppia aveva dimora, erano divenute proverbiali e
motivo di pubblica discussione, le scenatacce tra i due con volo di improperi
che non avrebbero mai potuto convivere con uno stato minimo di “felicità”.
Continua l’illustre Autore: (…). …nei tanti elenchi che riguardano
quelli che consideriamo i beni della nostra vita, non troviamo mai le idee.
Invece, possono dare anch’esse felicità, per qualcuno e in qualche momento,
anche più di altri beni alle, per così dire, persone di pensiero. Ciò vale per
le idee in quanto tali, indipendentemente dal fatto che siano vere o false,
giuste o ingiuste, buone o cattive. Non si tratta di giudizi sul contenuto
delle idee, ma d’idee in quanto tali. I giudizi vengono dopo. (…). E
qui debbo dire di quella volta che la mia dolce metà ebbe a chiedermi se fossi
felice della vita coniugale e del resto. Perplesso, risposi che in verità non
avevo guardato al mio vivere sotto questa insolita angolatura. E specificai
che, in verità, non mi sentivo di fare la “felicità” come categoria propria
della mia esistenza. Colsi nella sua espressione una buona misura di sorpresa.
Sostituita da una buona dose di delusione. Cercai di riparare
all’inconveniente. Spiegai che la “felicità” è qualcosa d’indistinto,
per il quale carattere mi sarebbe stato difficile farne la categoria del mio
vivere. Meglio, argomentai, sarebbe parlare di “benessere”, di quel
sostanziale equilibrio tra corpo e psiche che ci rende disponibili a vedere
tutto il mondo in rosa. Anche quando non lo è. Finse di convincersi. Ne dubito
tutt’oggi. Concordo invece con l’illustre autore: mi riesce d’andare aldilà del
benessere allorquando le idee giungono a riempire le mie giornate. Scrive
infatti: Chi abbia fatto una qualche (…) esperienza di scoperta d’idee, che può
giungere anche a punte d’esaltazione, non avrà dunque difficoltà nel
considerare le idee “beni della vita” e l’elaborazione d’idee qualcosa cui può
essere dedicata, in tutta o in parte, la propria esistenza, non meno degnamente
di come altri la dedicano all’autorealizzazione in altri aspetti dell’umana
natura. Invece, nella comune accezione, le idee non entrano affatto a far parte
dei beni della vita. Anzi: sembrano stancare, essere perdita di tempo,
divagazioni senza costrutto; nella migliore delle ipotesi, qualcosa di cui la
gran parte delle persone può fare facilmente a meno, per essere riservate solo
a qualcuno, coloro che chiamiamo, non senza una certa dose di sottinteso
disprezzo, gli “intellettuali”. Da qualche tempo, il tempo in cui tutto, per
esistere, sembra dover essere misurabile, quantificato, ci si dà da fare per
“calcolare” la felicità degli esseri umani. Perfino i governi si dedicano a
questo compito, evidentemente in vista di “politiche per la pubblica felicità”,
secondo gli intenti dei “principi illuminati” del ’700. Ora, questa politica si
vorrebbe impiantare su basi scientifiche e, a questo scopo, si usano mezzi
demoscopici, insomma sondaggi. (…). Si è andati al di là, suggerendo di
prendere in considerazione non solo la misura del prodotto e del consumo di
beni materiali, ma anche i cosiddetti “beni relazionali” come i rapporti
sociali e il tempo libero, la pubblica sicurezza, ecc. Altri, hanno aggiunto la
salute pubblica, l’istruzione, la certezza del lavoro, la casa, la vivibilità
delle città, il verde pubblico, gli affetti familiari e la loro stabilità, ecc.
A nessuno sono venute in mente le idee. Sembra che siano irrilevanti. (…).
Eppure, comprendiamo facilmente che una vita senza idee, una società che non
libera da sé idee, sono letteralmente “infelici”, cioè infeconde, non creative,
destinate non a vivere ma, nelle migliori delle ipotesi, a sopravvivere a se
stesse, come colonie. (…). …in generale, che cosa ci dice questo silenzio sul
valore delle idee, quanto ai caratteri dello spirito del nostro tempo? Forse
che è un tempo edonista, materialista, che ha bisogno di esseri mentalmente
programmati per un tipo di società che, a parole, esalta il pluralismo delle
idee e, quindi, la libertà della cultura ma, nella realtà ha bisogno che di
idee ce ne sia una sola, grande, omogenea, e che di quella libertà non sa che
farsi. (…). Ecco: quando le idee mi invadono la mente mi sento
pienamente felice. Oltre il “benessere”. Perché?
Il mondo delle idee è al di fuori dello spazio e del tempo e trascina in un'altra dimensione, una dimensione esclusivamente spirituale che ha qualcosa di affascinante, di eterno.Credo che sia questo a consentire di sperimentare quel senso di felicità piena e così unicamente appagante...
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