
Non ne ho mai scritto ma mi stupiscono e mi turbano assai, nella
vicenda di Eluana, le posizioni dei sedicenti o cosiddetti “credenti”. Credenti
in cosa? Non trovo risposta alcuna. Scrivo da non credente. A me pare,
semplicemente, che il divario tra il credente ed il non-credente passi per la “visione”
che si ha del concetto proprio di vita. E nella mia riflessione non voglio
assolutamente lasciarmi trascinare dalla mia “educazione scientifica”. La linea
di confine è collocata proprio in quella “visione” della vita: angusta, poiché
rivelatasi nell’occasione irrimediabilmente materialista da parte dei sedicenti
credenti, che legano, nella vicenda della sfortunata Eluana, la loro difesa
della vita alla difesa di “quella vita” ridotta alla sola materialità o meglio,
con minore crudezza, alla sola forma biologica; di grande spessore e che vola
alta invece e come insufflata da un anelito di insperata “spiritualità”, messa
laicamente tra virgolette, la “visione” espressa nell’occasione dai cosiddetti
non-credenti o laici che dir si voglia, che usurpano quasi quella “visione” della
vita che dovrebbe essere propria dei credenti nel senso non solo strettamente
lessicale. Come è possibile porsi a difensori di una vita che non abbia una “consapevolezza”
del proprio “essere”, del proprio stato, di una vita che non abbia nulla di
vita di relazione con gli altri e con la propria individuale storia? Quei
difensori della vita, di una vita ripeto ridotta allo stadio biologico,
dovrebbero, a rigor di logica, erigersi coerentemente a difensori di tutte le
forme di vita biologica; tralasciando le forme microscopiche per la loro
intrinseca non visibilità nel mondo reale dei sensi ed andando su su per la scala
della complessità biologica, dovrebbero erigersi a strenui difensori dei
platelminti, così come dei celenterati, e degli artropodi, e dei molluschi, per
non dire del resto dei vertebrati se non dei rimanenti mammiferi. Niente di
tutto ciò. Istruiti alla parola della provvidenza che sia divina, abbacinati da
un credo che li conduce a ritenersi creati “ a somiglianza” di un’entità
assolutamente astratta (dio!), hanno i credenti occupato il pianeta chiamato Terra da padroni assoluti e con i
comportamenti conseguenti verso tutte le altre forme di vita biologica. La “sacralità”
della vita umana ridotta al solo aspetto biologico rimasto viene tirata fuori
nella vicenda tristissima di Eluana; quella vita non più umana, ma soltanto
biologica, vita difesa con altisonanti proclami, e manca poco che si invochino
le ire e le saette dell’astratta identità superiore che tutto ha creato. Mi
sconcertano queste tristissime vicende del tempo nostro. È come se gli uni,
ovvero i credenti, avessero perso i connotati loro, il loro anelito alla
trascendenza, la loro visione della vita che travalica, o che dovrebbe
travalicare per l’appunto l’angusta “visione” della vita ridotta allo stato “miserevole”
( quante mortificazioni della carne hanno dovuto assaporare i credenti di questo
mondo ) della corporalità. Ma lo stato “miserevole” della corporalità non
dovrebbe rappresentare per i credenti solamente uno “stato del passaggio” verso
quella vita gaudiosa che li attenderebbe oltre l’azzurro del cielo? È,
quest’ultima, la visione della vita che manca al non-credente, al laico in
quanto tale. In questa tristissima vicenda di Eluana sembra che le parti si
siano invertire, come da un blasfemo copione. Preciso meglio. Ho sempre creduto
e sostenuto che l’unica “singolarità” che rende l’uomo “veramente umano” sia la
sua percezione della inevitabile e sempre imminente “fine”. Fine della propria
corporalità, non della storia. Solamente l’uomo veramente “umanizzato” – reso
umano sin dall’atto del concepimento, dallo stadio di zigote o magari oltre? difficile
questione assai – ha questa consapevolezza che lo distingue da tutte le altre
forme viventi. Ho sempre sostenuto come sia impropria se non da considerarsi
sommamente “errata” la tanto abusata espressione “venire al mondo”: “venire al
mondo” al pari di un verme qualsiasi, al pari di una formica qualsiasi ecc. ecc.
Tutte le forme biologiche nascendo “vengono al mondo”. Non per l’essere umano “umanizzato”.
Per l’uomo penso debba valere meglio il suo “venire nel tempo” che sta ad
indicare la sua consapevolezza di essere venuto sì al mondo ed al contempo la
sua consapevolezza di “doverne immancabilmente uscire”. Quale altra specie
biologica condivide con l’umana specie tale consapevolezza? Nessuna specie
biologica che io sappia. Nella scala della complessità biologica le varie forme
viventi hanno sviluppato anche “sensibilità” al dolore, alla familiarità, alla
filiazione, alla sessualità, ma nessuna forma biologica, che io sappia, ha
sviluppato la consapevolezza propriamente umana di “venire nel tempo”, di “essere
nel tempo”, di essere “entrati nel tempo” e di dovere un giorno “uscire dal
tempo”. Possiede Eluana tale consapevolezza che la riscatti dalla sua
insuperabile oramai “condizione biologica“? Di certo non la possiede da tanti e
tanti lustri oramai. Ecco ciò che mi sconcerta in questa tristissima vicenda di
Eluana; mi sconcerta pensare ai sedicenti credenti, credenti in quanto
portatori di una visione non materialistica della vita, portatori invece mancati
di una spiritualità vera che ispiri le loro esistenze e le loro azioni
conseguenti; mi sconcerta pensare a tutti i credenti che all’improvviso
sembrano scoprirsi come spogliati e privi di quella che avrebbe dovuto essere
la loro unica “visione della vita”, la visione di esseri che vivono come
insufflati da un anelito divino, e che nell’occasione, invece, si aggrappano
come disperati alla corporalità di Eluana, al suo corpo che diviene quasi
scialuppa di salvataggio per credenti svuotati dal di dentro di ogni anelito di
“divina” spiritualità. Attorno al corpo biologico di Eluana, spenta la
fiammella che lo avrebbe reso completamente “umanizzato”, con la consapevolezza
di “essere nel tempo” che inesorabilmente scorre, attorno a quel corpo di
Eluana ridotto alle sue sole funzioni biologiche, i signori della “religione”
fattasi chiesa cercano di fomentare schiere e schiere, fortunatamente
inesistenti, di intransigenti, di intolleranti, battagliando senza pietà alcuna
attorno a quel corpo martoriato dalle macchine, senza commiserazione alcuna per
la sventura grande nella quale Eluana e la sua famiglia – che da sola l’ha
tanto amata e curata in tutti questi anni – sono sprofondate tanti lustri
addietro. Siamo al tempo dei ruoli invertiti: di credenti che non credono più
di tanto all’anelito ed alla spiritualità di una vita compiutamente umana, e di
non credenti, quale io personalmente mi professo, aggrappati non alla
corporalità di Eluana, ma al suo diritto di spengere per sempre una vita resa
allo stato solo biologico, avendo perso nella tragedia della sua esistenza la
consapevolezza prima che la rende compiutamente umana: “essere nel tempo”,
sapere di dovere un giorno qualsiasi “uscire dal tempo”. È la “condizione”
questa che rende la vita degna di essere interamente, e dico interamente,
vissuta; è l’unica condizione che fa compiere alla corporalità dei viventi il
passaggio alla pienezza della umanità. Tutto il resto sono dolorosissime,
crudeli, inutili, ipocrite parole.
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