(…). 1991, quarti di finale di
Coppa dei Campioni Olimpique Marsiglia-Milan. Il Milan aveva vinto la Coppa nei
due anni precedenti, avrebbe potuto accettare con una certa serenità la
sconfitta che si stava profilando (gol di Waddle). Non si può vincere sempre. A
cinque minuti dalla fine si spegne uno dei quattro riflettori dello stadio. Il
nobile Maldini, il nobile Baresi e altri giocatori circondano l'arbitro: con
ampi gesti indicano il riflettore spento, c’è troppo buio, non si può giocare,
la partita va ripetuta (si vedevano perfino le monetine che i tifosi del
Marsiglia stavano gettando sul campo per irridere a quella vergognosa
sceneggiata). L’arbitro, ovviamente, non gli dà retta. Allora Galliani, in collegamento
con Berlusconi, ordina il ritiro della squadra. Una cosa inaudita, grottesca,
che non si è mai vista nemmeno nei più scalcinati campetti dei campionati
minori Figc. Il Milan si beccherà una squalifica di un anno. Chi
ricorda questo fatto di disonorevole cronaca sportiva? Certamente pochi,
pochissimi, anzi nessuno. Se ne è fatto carico Massimo Fini su “il Fatto
Quotidiano” del 17 di settembre 2013 col titolo “Milan, la sconfitta è solo per gli altri”. Ma è un fatto di
disonorevole cronaca sportiva che va aldilà di quell’effimero mondo pallonaro
per divenire fatto sociologico ed antropologico che rende contezza di tutto
quanto avviene nel bel paese. E che rischiara, fino a gettarne nuova luce, le
cronache di questi giorni che sono susseguenti alla “decadenza” del signor B.
Poiché le incredibili cronache che hanno accompagnato quell’atto – della “decadenza”,
è ovvio -, intervenuto a sanare nelle istituzioni un episodio d’indegnità
acclarata, se lette secondo la narrazione di Massimo Fini, rendono appieno la
calamità che da lustri e lustri ammorba il vivere civile e politico del bel
paese. Si disvela quell’immensa bolla che ha avviluppato il paese e dalla quale
è stato ed è impossibile uscire senza una “redde rationem” – una “resa
dei conti” - fatta “senza se e senza ma”. “Redde rationem” che non
è stata fatta, che non si vuol fare, che non si farà mai e poi mai. Col
risultato che la bolla continuerà ad inghiottire la nostra vita sotto tutti gli
aspetti. Scriveva oltre Massimo Fini: Questa
incapacità di accettare la sconfitta, di cercare di evitarla anche ricorrendo
ai mezzi più sleali, è un riflesso del mondo morale di Berlusconi, di cui
abbiamo poi avuto ampia testimonianza nella sua attività politica (“Bastava il
Milan per capirlo” scrissi per l’Europeo nel gennaio 1995). Il calcio, si sa, è
una metafora della vita. Nel mondo morale di Berlusconi c'è anche che col
denaro si può comprare tutto: Guardie di finanza, testimoni, giudici. E anche
di questo la storia del “suo” Milan è stata testimonianza. Quando aveva già i
tre olandesi e sapeva di non poterlo far giocare, acquistò Savicevic, allora
uno dei migliori giocatori del mondo, solo per toglierlo alle altre squadre.
Con lo stesso scopo acquistava giocatori importanti senza farli giocare. Il
nazionale De Napoli, in due anni, vide il campo, in tutto, per sette minuti. Ma
il caso più emblematico è quello di Gigi Lentini. Nel 1992 Lentini, talentuoso
ragazzo del vivaio granata, aveva portato il Torino al terzo posto in
campionato. Ma Berlusconi lo voleva a tutti i costi. Gli fece offerte sempre
crescenti che Lentini rifiutò: nel Torino era entrato a otto anni, dal Torino
aveva avuto la fama, alla gloriosa e sfortunata società granata era legato da
fortissimi vincoli affettivi, il denaro non era tutto. Ma Berlusconi portò
l’offerta, fra ingaggio e acquisto del cartellino, alla sbalorditiva cifra di
64 miliardi e il ragazzo, figlio di una famiglia di operai delle Banchigliette,
cedette. C’è chi dice che i miliardi siano stati “solo” 30, ma ha poca
importanza. Berlusconi non aveva comprato le gambe di Lentini, che non potevano
valere né 60 né 30 miliardi, gli aveva comprato l'anima dimostrandogli (a lui e
al vasto mondo giovanile che ruota intorno al calcio) che i suoi ingenui
sentimenti di ragazzo non valevano nulla di fronte al potere del denaro.
Naturalmente la cosa andò a finir male. Lentini, frastornato nel nuovo
ambiente, ebbe uno stupido incidente automobilistico, calcisticamente si
rovinò, non servì al Milan né il Milan a lui. (…). Ha qui termine la
disonorevole cronaca sportiva di Massimo Fini. Che è divenuta disonorevole cronaca
anche nei campi ben più importanti del vivere civile, del vivere politico, del
vivere economico del bel paese al tempo del signor B. Ora il signor B. è stato
costretto ad abbandonare gli alti scranni senatoriali per “indegnità”. Ma come per
un perverso intrigo questo aspetto della vicenda della “decadenza” è sparito
dalle cronache giornalistiche. Almeno nelle furbate di una certa “cronaca
stampata” così come di una certa “cronaca parlata”. Il nulla. È
questo disastrato paese che non ha voglia di nessuna “resa dei conti”. Poiché
in esso si vive all’ombra di quel “familismo amorale” e di quel “tengo
famiglia” che non ha mai e poi mai consentito di scavare a fondo per
ricercare le ragioni dei fatti e degli avvenimenti che ne hanno avvilito e
lordato la storia. Ha scritto Barbara Spinelli sul quotidiano la Repubblica del
20 di novembre 2013 – “La nuova destra
dei camaleonti” – facendo riferimento alla nascita del cosiddetto “Ncd”:
Quel
che manca è la caduta di Robespierre. Riottosi, i vassalli di Berlusconi
rimangono vassalli. Annunciano il nuovo, ma non escludono patti con l’ex capo e
promettono di lottare contro la sua decadenza dal Senato. Le idee che avevano
sulla Costituzione, troppo parlamentare e giustizialista, son sempre lì.
Piuttosto viene in mente l’8 settembre ‘43: Badoglio proclamò un armistizio che
apriva agli anglo-americani senza chiudere a Hitler, poi col re fuggì da Roma
lasciando che i nazisti occupassero il paese. (…). Nessun inventario, nessun
rendiconto del berlusconismo, nessun taglio del cordone ombelicale (ma neanche
idee su economia, Europa, politica estera). Se si esclude la difesa del governo
di Larghe Intese, l’essenza berlusconiana è preservata. La lotta alla
magistratura indipendente prosegue, la decadenza del leader è rifiutata. Che
destra normale può nascere in queste condizioni, sempre che norma significhi
norma? Si fa presto a dirsi moderati, se la sovversione da cui ci si separa
resta ingiudicata. Qui è il pericolo che corre l’Italia: che cambino nomi e
padroni dei partiti, ma non la cultura dell’illegalità che ci ha ammorbati ben
prima che Berlusconi andasse al potere: (…). Tutto è permesso agli oligarchi.
Anche le telefonate fatte dalla Cancellieri a amici privati, i Ligresti:
telefonate in cui si «mette a disposizione», e 4 volte dichiara «non giusto»
(lei che è Guardasigilli) l’arresto appena avvenuto di Salvatore Ligresti e
delle figlie per reato di falso in bilancio e manipolazione di mercato (il figlio
Paolo, latitante, evita l’incarcerazione). (…). Tragicamente degenera la
democrazia quando la legalità è facoltativa. Di fronte a noi sfilano governisti
(spesso indagati, spesso ex P2) che abrogano il passato per non mettersi in
pericolo. Le tragedie si superano con la catarsi: una purificazione. E con un
giudizio, espresso dall’opinione pubblica che è il Coro. In Italia non sono in
vista catarsi, o giudizi: né a destra, né per ora a sinistra. (…). Come
può essere messo alla porta quel Galliani che abbiamo ritrovato nella cronaca –
dimenticata – di Massimo Fini? “Tenimmo tutti famiglia”. Ma quella “memoria”
ripescata nei polverosi archivi spazza via tutte le insensatezze e tutte le
ipocrisie che hanno preceduto e seguito la decadenza di colui il quale si è
macchiato d’”indegnità” per continuare a stare nelle istituzioni massime. È
questo il paese dei “gattopardi” e dei “camaleonti”. Con buona pace di
quelle splendide, innocenti creature.
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