La bambina (…) (a)ttende
il suo turno in fila con la letterina in mano. La mamma la guarda orgogliosa.
Ha certamente lasciato il Suv nel più vicino posteggio riservato ai disabili.
Al cospetto del ciccione in rosso, gli altri bambini si emozionano. Lei, no. Lo
scruta dal basso con due occhi di brace: "Tutto 'sto tempo in coda al
freddo per 'sta lettera del cavolo!". Babbo la fissa senza capire. La
piccola attacca: "Con tutti i soldi che fai, perché non ti sei comprato un
telefonino?". "Perché, scusa?". "Perché ti mandavo un sms.
È da scemi aspettare qui al freddo". "Va be', ma almeno ci siamo
conosciuti". "Ma tu sei vecchio e se ti ammali poi schiatti e non mi
porti più niente". Bambini e genitori in fila scoppiano a ridere, la mamma
del mostro batte la mani. Babbo Natale arrossisce e china la testa. Anch'io
chiudo gli occhi. Vorrei tanto che quest'anno la notte della vigilia quell'uomo
si togliesse il suo ridicolo costume per infilarsi una tuta da fatica gialla.
Vorrei che lasciasse in Lapponia la slitta insensata e le sue stupide renne a
brucare i loro licheni immangiabili, per volare nel cielo su un grande camion
giallo dei traslochi con la scritta Gondrand sulla fiancata. Vorrei che
entrasse in casa della bambina (…) e della sua mamma cattiva mentre dormono e
caricasse sul camion tutto ciò che possiedono. La mattina dopo si
sveglierebbero in stanze svuotate, spogliate di arredi, giochi, gioielli. E con
raccapriccio mi sorprendo a invidiarle. (…). Così scriveva Giacomo Papi
sul settimanale “D” del quotidiano la Repubblica del 21 di dicembre dell’anno
2011. Titolo di quel “pezzo”: “La
letterina”. Ho atteso che il Natale passasse per proporla a chi non
l’avesse a suo tempo letta. L’ho fatto per non essere colto in fallo ed essere indicato
come un vecchio brontolone per il quale nulla più gira per il verso giusto.
Alla fine non ho resistito ed ho ripreso quel ritaglio gelosamente custodito.
Il Natale 2011 è trascorso già da un pezzo. L’ultimo, quello del 2013, è già
caduto nel dimenticatoio. Come tutte le cose di questa società fondata
sull’illusionismo. Poiché è facile ed a buon prezzo illudersi d’essere buoni e
migliori a feste comandate. Ma quella “letterina” di Giacomo Papi contiene
in verità qualcosa che sarebbe da considerare “straordinario” solo che potesse
accadere: l’auspicio che quel “ciccione in rosso” portasse via
dalle nostre vite tutta quella paccottiglia d’inutilità che siamo andati negli
anni raccogliendo per il perverso gusto di avere e poi di avere e di possedere.
È il motivo per il quale ho atteso che il Natale passasse per proporre la “letterina”
di Giacomo Papi. Per non essere indicato come il “bastian contrario”,
l’inutile brontolone di turno. Ché, seppur questo Natale sia stato in tono
minore - se non deficitario - in quanto a regali e spese voluttuarie, grazie o
per colpa della “crisi” secondo i punti di vista, questo Natale ha conservato
gli schemi mentali e le consuetudini che si sono oramai radicate nelle un tempo
opulenti società dell’Occidente. È che ad esso, al Natale, la più grande fetta
della società non è capace di dare una impronta diversa che sia per la qual
cosa, seppur deprivato dello sfarzo dei consumi all’ingrosso delle annate
precedenti, permane una ricorrenza che per i più ha un significato “scipito”
e senza spiritualità. È che, in fondo, riesce difficile oggigiorno dare un
senso ad una ricorrenza che proviene dalla notte dei tempi. E che difficilmente
riesce a gettare una “luce” che sia veramente viva agli
uomini del secondo millennio. Ha scritto Marco Vannini sul quotidiano la
Repubblica del 24 di dicembre col titolo “Natale
mistico”: Si capisce (…) come la chiesa cerchi di (…) ravvivare quella fede che
una volta si riteneva fondata su reali eventi storici, ovvero sulla “storia
della salvezza” che da Adamo procede verso Cristo. Oggi, (…), dal momento che
quella storia appare per ciò che è, una mera costruzione mitico-teologica, la
fede si è ridotta a una combinazione di sentimento più fantasia: una cosa da
bambini, dunque. Non a caso ai nostri giorni il Natale è festa non solo per un
Bambino, ma soprattutto per bambini. La fede è (…) una credenza, che si difende
con una sorta di infantile testardaggine, ignorando la realtà, tanto storica
quanto psicologica. Se invece la fede è volontà di verità, essa guarda in
faccia la realtà , scoprendo che quella credenza è desiderio di consolazione e
rassicurazione, frutto del desiderio di permanenza di un ego che si sente
debole e incerto e che perciò cerca “salvezza” nel rimando ad altro fuori di
sé, restando così sempre nell'attesa, nell'anelito. La fede allora non produce
affatto credenze ma, al contrario, le toglie via tutte, smascherando come
menzogna anche l'immaginazione teologica. La fede - scrive san Giovanni della
Croce - “non solo non produce nozione e scienza, ma anzi accieca e priva
l'anima di qualunque altra notizia e conoscenza: la fede è notte oscura per
l'anima e, quanto più la ottenebra, tanto maggiore è la luce che le comunica”.
Fede come notte, dunque, ma una notte che mentre libera da ogni presunto sapere
di verità esteriori, fa risplendere una luce interiore, sapere non di altro ma
di se stessa, sapere che è un essere: questa, possiamo dire, è la vera stille
nacht, heilige nacht, notte silenziosa, notte santa. (…). Una “coscienza”
della fede che non c’è. Ché solo una fede che sappia far “risplendere una luce interiore”
porterebbe a considerare la condizione propria non come uno stato di “grazia”
precluso a chi la fede non possiede ma come un irrisolto bisogno “di
consolazione e rassicurazione” al pari della famosa coperta di Linus. E
solamente così potrebbe conciliarsi con una “fede” rinnovata un Natale che non
avesse ad improprio, blasfemo supporto i “consumi” che, con somma
disperazione dei più, stentano a riavviarsi. Ha chiuso Giacomo Papi la Sua “letterina”
dell’oramai lontanissimo Natale dell’anno 2011: Rispose a un giornalista, la
notte del 24 dicembre 1989, il vecchio poeta Junichiro Kawasaki: "Sono
animista. Non mi serve il Natale". Già, un Natale così non serve
poi mica tanto!
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