Incombe il “Natale”. Quello dei
credenti che coinvolge anche chi credente non lo sia. Un “Natale”, forse, con
minori fasti e soprattutto con minori consumi rispetto ad un passato ancora
molto recente. Non per scelta libera però. La “crisi” incombe e
determina stili di vita nuovi è più misurati. La “fede” non ha indotto
codesti nuovi atteggiamenti di fronte all’opulenza ed agli sprechi del passato.
Opulenza e sprechi non più a tiro dei tanti. Ma un ritorno all’essenzialità di
una fede, di qualsivoglia fede, sarebbe di già un buon segno. Farà piacere al
nuovo vescovo di Roma. Ho ritrovato, alla data del 20 di marzo dell’anno 2007 –
alle pagine 2166-2168 dell’e-book sopravvissuto al blog allora su di una
diversa piattaforma della vasta rete – un post senza un titolo della serie “Se
il divino diviene il problema”, contraddistinto col numero 25. Di
seguito lo ripropongo nella sua interezza.
Tralascio il panegirico che ho sempre preposto alle molto autorevoli
opinioni riportate in questa rubrichetta. Una scelta di merito. O di campo. Scelta
forzata. Considerata la durezza e cupezza dei tempi. Una domanda: ma come è
possibile far credere ai buontemponi, o meglio ai candidi in ispirito, ai soliti
gonzi, che la famiglia interessi
solamente ai cattolici? Domanda retorica, invero. Come se tutti gli altri,
delle altre confessioni o chi una confessione non ce l’abbia, fossero dediti a
distruggere le famiglie come in un orrendo gioco al massacro. Un tiro al
bersaglio: la famiglia, pum, pum! Ridicolo. È che, aver barbaramente mediatizzato
il tutto, la vita pubblica e la vita privata dei cittadini, comporta pur delle
conseguenze; non esiste più distinzione alcuna tra le due sfere, tutto si
intreccia e tutto si confonde, ed allora la professione della propria fede non
si fa più nell’ambito della vita quotidiana e privata, ma sul grande schermo
della vita pubblica, con o senza il monitor dell’orrendo elettrodomestico. I
grandi insegnano, grandi si fa per dire. Conducono una vita privata da
scandalo, ma predicano per gli altri ben più saggi, virtuosi e pii comportamenti.
In alcuni casi consigliano la pratica del cilicio. Da Medioevo. Oscurantismo
assoluto. Un ritorno alle pire fumanti. Non esiste un privato. Esiste un banale,
grottesco fatto pubblico. Alla mercé di
tutti. Senza anima. La fede del singolo oggi, nell’era della comunicazione di
massa più spinta, si sostanzia non nella dura, onesta pratica quotidiana, con
la messa in opera, con difficoltà a volte, delle proprie convinzioni, nel
rigetto di tutto ciò che possa entrare in conflitto con essa, ma solamente con
quel si blatera, a vanvera, comandati a bacchetta, per rifugiarsi rapidamente
nel comodo privato che è libero da condizionamenti di alcuna specie,
confortevole assai, ed in difesa del quale si invoca costantemente il rispetto
della riservatezza. Durezza dei tempi. La fede del singolo non esiste, non vale
molto nel gran mercato. Val bene quella fede diffusa e mediatizzata
convenientemente, con proclami roboanti, con mulinar di ferri, solo virtuali
per carità, con proclami ed editti di altri tempi. La ricerca del demonio. Ecco
un ritorno interessante. Un demonio moderno però. Senza corna, coda. Difficile
delinearne l’effigie. Il relativismo, il laicismo. Tutto ciò che non rientra in
certi orizzonti. E dietro ai proclami, la virtù individuale che non esiste, la
fede del singolo che si rifugia, si protegge, si maschera dietro i proclami
assordanti dei moderni comunicatori. Esempi recenti già visti e passati, di
gran prestigio sociale, di grande ricaduta mediatica. Capire i tempi ed
adeguarvisi. Con tutto ciò che ne segue. Ho conosciuto persone, degnissime, che
conducevano una doppia vita affettiva, in casa e poi magari nell’ambito del
posto di lavoro. Nulla di cui scandalizzarsi. Certe scelte possono sempre
essere rimesse in discussione, si capisce. Ciò che mi colpiva di quelle persone
la loro incrollabile professione di fede, ritualizzata quanto si voglia, enfatizzata,
esasperata anche, esteriorizzata ben bene alla domenica ed alle altre feste
comandate, mai interiorizzata con il proprio vissuto quotidiano, in lotta essa
con questo, in contraddizione stridente, e che esse riuscivano a far convivere
con quella abnorme duale vita affettiva. Abnorme, almeno ai miei occhi di non
credente. Beati i poveri in ispirito! Sarà loro il regno dei cieli! Forse
perché obbedienti. Ossequienti. Quanto credibili e coerenti è poca cosa. In
tempi diversi avrei sperato nella maturità del “cattolico quotidiano”, così
come ce lo rappresenta l’Autore nell’analisi di seguito riportata; ma,
considerati i precedenti e la mediatizzazione delle vite pubbliche e private,
mediatizzazione spinta all’ennesima
potenza, un brivido mi corre per la schiena. Saranno i ritorni imprevisti dei
rigori invernali? Lo spero tanto. Mi riesce peraltro difficile imbarcarmi in
una disquisizione sulla laicità dello Stato, in un’opera di ragionamento,
peggio di convincimento: ma cosa si è sempre pensato, detto e scritto sul senso
di appartenenza del cittadino quotidiano, della sua “stentatella cittadinanza”,
ben espressa nel quotidiano arrancare e nel rifugiarsi nel caldo e sicuro e più arretrato familismo?
Staremo a vedere, assisi sulla sponda da questa parte del Tevere. Prospettiva
da incubo, in verità! “Tempus edax rerum”. Il tempo divora le cose. O forse
meglio è “Tempus omnia medetur”. Il tempo rimedia, cura tutte le cose. Guarisce
tutti i mali. Ma fra quanti anni, lustri, secoli, la guarigione? Così solevano dire i latini! Da “La gerarchia
ecclesiastica e i cambiamenti della società” di Marco Politi. …l’Italia
è la trincea di Dio, (…). Se la famiglia rischia la rovina, allora è urgente
negare il riconoscimento alle coppie di fatto. Se il rapporto naturale tra uomo
e donna sta franando, allora è missione divina cancellare la pubblica
accettazione del patto d’amore tra due partner gay. Bisogna andare alle radici
culturali dell’atteggiamento di Benedetto XVI per capire la durezza dello
scontro in atto, che ha per posta la laicità dello Stato. O, per essere più
semplici, il diritto dei cittadini tutti di farsi democraticamente le leggi
senza attendere il timbro di un’autorità confessionale. Perché la sfida
culturale è questa: evitare di ripiombare nel XXI secolo in guerre di partiti
religiosi, ognuno dei quali brandisce il nome di Dio per richieste non
negoziabili. Laddove la politica è negoziato, confronto, anche compromesso tra
diverse visioni del mondo. Dice Ratzinger al clero romano che la ‘fede in
Italia è minacciata’. Parole pesanti. (…). Ma papa Ratzinger è ancora più
pessimista. – Siamo di fronte ad una multiforme azione, tesa a scardinare le
radici della civiltà occidentale -. (…). Corrisponde questo atteggiamento allo
stato d’animo dei milioni di cattolici quotidiani, che vanno a messa, si impegnano
in parrocchia, pregano, riflettono su Dio e la propria esistenza e comunque,
con minore o maggiore pratica, si sentono parte della comunità dei cristiani?
No. Va detto con assoluta franchezza. Quando da alti pulpiti si sente risuonare
minacciosamente ‘Non possumus‘, andrebbe subito domandato: non possumus chi? Il
cattolico quotidiano del Duemila vive tranquillamente accanto ai diversamente
credenti, senza complessi da stato d’assedio, senza l’ossessione di imporre la
propria visione. E tutta la questione delle convivenze di fatto e delle stesse
coppie gay è vissuta da anni molto serenamente, pragmaticamente, con umana
sensibilità dalla maggioranza degli italiani a qualunque credenza si
richiamino. Perché una cosa è chiarissima: la vicenda delle unioni civili non è
uno scontro tra cattolici e laici. Non è oggetto di una guerra tra fedi. Ciò
che emerge è il gap tra la gerarchia ecclesiastica e la società italiana come è
nella realtà. Per i cattolici quotidiani, e gli altri, le coppie di fatto non
sono un astratto drago rovina-famiglie. Sono i nostri figli, i nostri amici,
spesso noi stessi. Uomini e donne in carne e ossa, senza ideologie, con la
fatica dell’esistenza e il desiderio di essere un po’ felici. E le aborrite
unioni gay le incontriamo a cena, sui posti di lavoro, nei luoghi dove passiamo
le nostre vacanze. E sono normali cittadini e normali conviventi. (…). In altre
parole hanno impostato la propria vita secondo regole diametralmente opposte a
quelle ossessivamente indicate per decenni dalla gerarchia ecclesiastica. E ciò
nondimeno continuano il loro dialogo con Dio, vanno a messa, e spesso si
impegnano in iniziative ecclesiali. Il problema, allora, non è la Chiesa, la comunità dei
fedeli. Il problema è di una gerarchia ecclesiastica incapace di guardare con
umanità ai problemi di una società in trasformazione, in cui la famiglia è
radicalmente diversa da quella di cinquant’anni fa. Una gerarchia che pretende
di rappresentare in politica i cittadini cattolici, che né esistenzialmente né
politicamente hanno dato all’istituzione ecclesiastica un mandato del genere.
(…).
Rinuncerà il novello vescovo di
Roma all’intransigenza che ha contraddistinto le passate gerarchie vaticane? È
solamente su queste basilari questioni, che interessano milioni di cittadini, uomini
e donne con la “fede” vissuta o senza la “fede”, che si potrà cominciare a parlare
di una rivoluzione che si sia messa molto lentamente in movimento aldilà del
Tevere.
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