Afferma l’ineffabile Letta che “i
conti” dell’Italia sono a posto. E con ineffabile sicumera si perita di
bacchettare l’Europa intera. A posto come? In che senso? Per merito di chi? E
con quali sacrifici imposti? Su tutto ciò l’ineffabile non porge parola. Ne ha
scritto Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” del 3 di dicembre ultimo col
titolo “Larghi brodini”: L’altro
giorno il Corriere anticipava il rapporto 2013 sulle attività della Guardia di
finanza: oltre 5 mila tra funzionari e impiegati pubblici denunciati per
corruzione e truffa (dai falsi poveri ai finti consulenti), che nei primi 10
mesi dell’anno han provocato danni erariali da 2 miliardi e 22 milioni di euro,
più truffe per 1 miliardo e 358 milioni. Cioè hanno rubato quasi 3,5 miliardi
alla collettività: 350 milioni al mese. E questi sono soltanto quelli scoperti:
immaginiamo a quanto ammonta il totale. Qualche mese fa, il ministero
dell’Economia comunicò che i mancati incassi di evasione fiscale accertata dal
2000 al 2012, ma mai recuperata da Equitalia, ammonta a 545,5 miliardi di euro,
su un totale di “ruoli” da riscuotere già emessi per 807,7 miliardi. Una parte
dell’enorme buco (107,2 miliardi) è irrecuperabile perché riguarda soggetti in
fallimento. Ma questo non basta per giustificare la bassissima capacità di
riscossione di Equitalia, che non arriva al 5 per cento. Viene da
chiedersi: quale è il costo sociale di tutto quest’arraffare a tutti i livelli?
È qui che l’ineffabile dovrebbe, com’è di moda dire, “metterci la faccia”. Ma
come un rodomonte qualsiasi trova più giusto asserire il non asseribile in
barba a quegli stessi numeri che all’ineffabile saranno ben noti. È questo il
livello della politica nel bel paese. Una politica da bar. Scrive ancora e
giustamente Marco Travaglio: In un paese serio (ipotetica del terzo tipo:
un paese serio non avrebbe queste cifre di mancati introiti) si parlerebbe di
questo, e solo di questo. E un governo e un Parlamento e dei partiti seri eviterebbero
di perdere tempo appresso a corbellerie come la riforma costituzionale o
l’ennesima legge contro la custodia cautelare e contro i giudici; ma
concentrerebbero tutto il tempo e tutti gli sforzi disponibili a trovare il
sistema per mettere le mani in questo immenso serbatoio di nero. Che non è
numerologia astratta: sono somme accertate, con i nomi e i cognomi dei
corrotti, dei truffatori e degli evasori. Basterebbe recuperarne il 5 o il 10
per cento in più, aumentando l’efficienza della macchina dello Stato, per avere
a disposizione decine di miliardi per la mitica “ripresa”. Invece si continua a
cincischiare dietro i falsi problemi e le false soluzioni. E a bollare chi
chiede una seria lotta alla corruzione, all’evasione e al riciclaggio come
giustizialista manettaro. Poi uno guarda chi sono i ministri e i politici che
dovrebbero occuparsene, e capisce tutto. Viene da chiedersi, nonostante
l’ineffabile: ma chi è a tenere i “conti” in ordine? I soliti “fessi”.
I tartassati di sempre. Ha scritto a questo proposito sul quotidiano l'Unità
del 27 di novembre l’economista Nicola Cacace – “Il Paese dei ricchi, quello dei poveri” -: L’Italia oggi soffre da morire
per la crisi perché è divisa in due, quella dei poveri e quella dei ricchi ed i
governi lo ignorano. (…). Con poco meno di 9mila miliardi di euro, quasi il 6%
del Pil, la ricchezza privata italiana batte un record relativo mondiale. Anche
questi dati mostrano un’Italia profondamente divisa, un blocco fortunato
formato dal 10% delle famiglie che possiede il 46% di tutta la ricchezza, quasi
2 milioni di euro a famiglia, un blocco mediano, che la crisi sta erodendo,
formato dal 40% delle famiglie, che possiede il 10% della ricchezza, 500mila
euro a famiglia ed il blocco dei poveri, vecchie e nuovi, formato dall’ultimo
50% delle famiglie, di poveri vecchi e nuovi che possiedono come patrimonio
netto meno del 10% (9,8%, dati Bankitalia), 60mila euro a famiglia, di cui
30mila in immobili (molto meno di una casa in proprietà per famiglia) e 30mila
in risparmi liquidi. In queste famiglie, se sparisce il reddito, si vive poco
più un anno con i risparmi della vita, poi, chi ce l’ha, vende la casa, poi è
la fine. L’aumento della povertà dopo anni di crisi ha messo a terra almeno
mezza Italia ed i governanti non possono continuare a non tenerne conto.
Perché, di fronte ad un Paese diviso in due, l’Italia dei ricchi e quella dei
poveri, di fronte ad un debito pubblico crescente che ha superato i 2mila
miliardi ed il 30% del Pil, di fronte alla realtà di una norma, il Fiscal
Compact che ci imporrà presto di ridurre il debito in modi convincenti - di
almeno una ventina di miliardi l’anno come da Bruxelles il commissario Olli
Rehn ci ricorda in ogni occasione -, di fronte ad una ricchezza privata non
trascurabile, perché nessun governo azzarda qualche proposta in tal senso? (…).
Perché, per iniziare a salvare il Paese, non si può chiedere un contributo a
quel 10% di famiglie che posseggono 4mila miliardi di patrimonio netto? Monti
aveva obiettato che non ci sono dati certi ma non è più vero, c’è il catasto
per gli immobili e c’è la banca dati in mano alla Finanza per i beni mobili. Un
contributo straordinario dello 0,5% del patrimonio del 10% delle famiglie più
ricche, da 2 milioni in su, darebbe 20 miliardi di entrate e costerebbe una
media di 8mila euro a ciascuna delle 2,4 milioni di famiglie più brave e
fortunate d’Italia. Nessuno fallirebbe, la speranza di uscire dal buco nero
della crisi sarebbe più concreta, i valori di solidarietà del popolo italiano
sarebbero esaltati, alla luce dell’esempio di civismo che le classi dirigenti
darebbero. Possibile che le cose che ha scritto Nicola Cacace siano anch’esse
ignote all’ineffabile? È che l’ineffabile, di suo, non ci mette nemmeno la
faccia. Ma quelli per i quali i conti non tornano sono sempre gli stessi che
mal dovrebbero sopportare le querule comunicazioni dell’ineffabile di turno.
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