Quirinale e governo del paese: i
temi del giorno. Il bel paese ad una svolta? Lo si è detto anche in altre
occasioni. Ma ricorrente ed invincibile è da sempre il trionfo del cosiddetto
“status quo”, il cambiamento purché tutto rimanga come prima. Ed invece le
necessità incombono. E la necessità prima è rappresentata da una “rottura”
non più procrastinabile rispetto a pratiche che hanno come disossato il bel
paese, ne hanno “scarnificato” il pensiero. Con tutto ciò che tali pratiche
hanno comportato per la tenuta delle istituzioni, per l’etica ed il costume
sociale e per la stessa pacifica convivenza dei cittadini. Scriveva il 17 di
aprile dell’anno 2011 il filosofo Michele Ciliberto sul quotidiano l’Unità – “Dispotismo democratico” – usando
quell’ossimoro: (…) …il potere, specie quello di tipo dispotico, non ha mai tollerato
la dimensione ‘pubblica’, come spiegò a suo tempo Girolamo Savonarola nel suo
Trattato sul governo di Firenze: “...el tiranno è pessimo quanto al governo,
circa al quale principalmente attende a tre cose. Prima, che li sudditi non
intendano cosa alcuna del governo, o pochissime e di poca importanza, perché
non si cognoschino le sue malizie...”. Ecco: a questa denuncia del
grande ferrarese occorre più che mai che oggi si diano risposte vere, senza
sotterfugi. Ecco perché non hanno senso “larghe intese” o quant’altro possa
afferire a quel “dispotismo democratico” del Ciliberto che sotto traccia ha
segnato la vita politica e sociale del bel paese da un ventennio e passa. Oggigiorno
abbisogna un cambiamento, reale, nella prassi e nella sostanza. E tutto ciò che
andasse contro questa esigenza, espressa anche dalle urne delle politiche di
febbraio, andrebbe pericolosamente a rafforzare quel “dispotismo democratico”
che affossa presente e futuro del bel paese. Continua Michele Ciliberto: Ad
ogni forma di dispotismo il controllo pubblico è strutturalmente estraneo;
anzi, gli è antitetico. Il dispotismo può essere combattuto, e anche sconfitto;
ma non addomesticato. Specificando i tratti propri del tiranno, Savonarola ne
individuava anche un altro, che può essere utile citare, per comprendere
qualche tratto del governo dispotico attualmente al potere in Italia: “si trova
rare volte, o non forse mai, tiranno che non sia lussurioso e dedito alla
delettazione della carne”. Come si vede, alcuni comportamenti (…) erano stati
già illustrati alcuni secoli fa, come pure era stato messo a fuoco, sempre da
Savonarola nel Trattato, il rapporto del tiranno con la legge. Come
diviene possibile stringere accordi con un “dispotismo” che ha lasciato un
segno profondo nel corpo vivo del paese, minandone le istituzioni,
corrompendone lo spirito sino alle più sottili delle sue fibrille? Oggi si
gareggia per l’alto Colle ma lo sguardo è puntato oltre, altrove, per quello
che dovrà essere il governo del bel paese. Non esistono scambi che possano
giustificare pratiche oramai invise alla maggioranza dei cittadini. A quella
data – 17 di aprile dell’anno 2011 - Michele Ciliberto aggiungeva nella Sua
riflessione: Dal punto di vista del potere dispotico, la lotta con il potere
giudiziario è una questione di vita o di morte; né può essere conclusa da
qualche forma di tregua o di compromesso. Stupisce leggere ogni tanto commenti
politici nei quali si depreca questa situazione, auspicando una sorta di tregua,
se non di pacificazione. È un auspicio giusto e comprensibile. Chi non vorrebbe
che si uscisse da questa guerra quotidiana tra potere esecutivo e magistratura?
Ma illudersi su questo significa non aver compreso la situazione attuale
dell’Italia, la conformazione dispotica che ha assunto il nostro tempo storico.
Il ‘dispotismo democratico’ è fondato sul rifiuto della moderna distinzione dei
poteri. Quello che distingue il moderno ‘dispotismo democratico’ dalle forme
tradizionali di dispotismo è la diffusione a livello di ‘senso comune’,
quotidiana e ordinaria di questo modo di pensare. Il capo del moderno
‘dispotismo democratico’ usa la legge in chiave privatistica, capovolgendo, in
altre parole, il significato stesso della legge e sostituendo ad essa il
proprio arbitrio; ma ha avuto, e continua in parte ad avere, il consenso di una
larga parte del paese. Da qui la sua novità. A ben due anni da quello
scritto le vicende politiche inducono ad una assunzione di responsabilità che,
se tradita o disattesa, potrebbe condurre il bel paese verso scenari ancora più
difficili se non tragici. Aggiunge quasi in chiusura Michele Ciliberto: Non è
necessario citare Kelsen o Bobbio (…); è sufficiente pensare alla storia del
‘900 e alle forme dispotiche – anche di tipo democratico – che lo hanno
connotato: per quanto diverse esse fossero, sono state tutte costruite sul
primato del ‘popolo’ – cioè della sostanza – contro la ‘forma’ – cioè la legge.
(…). È questo il frutto più avvelenato del moderno ‘dispotismo democratico’.
Esso inquina l’ethos del paese, le ragioni sostanziali per cui un insieme di
uomini diventa una comunità di cittadini, una repubblica, uno Stato,
trasformando in un fatto quotidiano la distruzione della certezza del diritto e
della legge. In questo senso, per ricostituire in Italia la vita democratica
non bisogna ricorrere né ai carabinieri, né alla polizia; la prima cosa da fare
è ristabilire, contro la ‘sostanza’, il primato della ‘forma’, su tutti i
piani, a cominciare dalla vita quotidiana. È con la realtà forse
dimenticata – ma non superata - di quei giorni, così come la delineava magistralmente
Michele Ciliberto quel 17 di aprile dell’anno 2011, che il bel paese deve fare assolutamente
i conti: senza sconto alcuno, senza assoluzioni che sappiano di “è
cosa passata”, poiché il “dispotismo democratico” penso sia
la forma peggiore del cosiddetto “dispotismo” – assoluto, senza aggettivazione
– che il bel paese abbia forse inconsapevolmente vissuto, sottovalutandolo,
ignorandolo, ma pagandone oggigiorno un costo altissimo.
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