(…). Il sistema italiano ricorda
sempre meno un`economia di mercato alimentata dai redditi commerciali e
d`impresa, cioè aperta. Il corso della storia non prevede la retromarcia, ma
credo vada presa sul serio la diagnosi proposta dall`economista Luigino Bruni
(Le prime radici, Il Margine) quando adombra il pericolo di una sorta di nuovo
feudalesimo di ritorno: "A distanza di qualche secolo stiamo tornando a
una situazione molto, troppo simile a quella feudale, poiché il centro del
sistema sta tornando a essere la rendita. E quando l`asse si sposta dal lavoro
e dall`impresa alle rendite, l`arricchimento di alcuni non produce più vantaggi
sociali per molti, perché sono molto ridotte, se non sono nulle, le ricadute di
quella `ricchezza` nei territori e nell`economia circostanti". Così
ha scritto Gad Lerner il 4 di aprile – sul quotidiano la Repubblica col titolo “Il revival feudale della democrazia”
-. Sembrava, a prima vista, che la Sua fosse una “boutade” o, se non
proprio, un’esagerazione, una forzatura del pensiero minimamente intelligente.
Un ritorno al feudalesimo? Ma via! Orbene, vi invito ad osservare con
attenzione il grafico posto a lato. È la rappresentazione molto schematizzata
dell’antica piramide della vita feudale. Un monarca, più o meno illuminato; una
sotto-corte di famigli e cortigiani, d’intrallazzatori e saltimbanchi che
all’ombra di quel monarca vivono, ed una moltitudine di disperati che
sopravvivono, legati permanentemente alla “zolla” – “gleba” nell’antica
lingua di Roma -, per la qualcosa gli storici li han denominati “servi
della gleba”. Mancano, nella schematica rappresentazione, i chierici,
stanziali a corte, sempre dalla parte del potere, i cavalieri e tutto quel
mondo che viveva parassitariamente sulla fatica di quei servi. Accadeva poi che
quei servi si potessero sottrarre ai loro doveri di eterni, indefessi sfruttati
abbandonando i luoghi di nascita per trasferirsi nell’inferno, per loro, delle città
di quel tempo. In verità quella opportunità era concessa ai “servi
della gleba” nella Germania di quel tenebroso tempo, tanto che si era
diffuso il detto "stadtluft macht frei", ovvero "l'aria della città rende
liberi". Cose da brividi, solo a pensare che qualche secolo dopo in
quei luoghi vigeva il detto “arbeit macht frei”, ovvero il “lavoro
rende liberi” nei campi della morte nazisti. Il cinismo della Storia! Ecco
perché si è detto che la storia non fa che ripetersi. Riporta una citazione il
professor Umberto Galimberti in un Suo scritto – pubblicato sull’ultimo numero
del settimanale “D” del quotidiano la Repubblica col titolo “Siamo ancora schiavi?” -: Scrive
l'antropologo Claude Meillassoux: "La schiavitù non è finita. Essa perdura
nelle società che si definiscono umanistiche, anche se edificate sulla
spoliazione dell'uomo". Nell'Introduzione al libro dell'antropologo Claude
Meillassoux, Antropologia della schiavitù (Mursia), Alessandro Triulzi
individua l'essenza della schiavitù nel fatto che gli schiavi sono "socialmente
sterili", nascono e si riproducono biologicamente, ma non nascono nella
società, dove non hanno rilevanza. Hanno lo statuto della merce e al pari della
merce rispondono ai criteri del valore d'uso e del valore di scambio.
L’analisi è penetrante ma al contempo capace di rischiarare l’orizzonte cupo
del tempo che ci è toccato di vivere, tempo in cui il paventato da Lerner
ritorno ad un “feudalesimo” da terzo millennio sembra realizzarsi nella
confusione e nella sprovvedutezza dei più. Continua così la riflessione del
professor Galimberti: …la nostra Costituzione si definisce
"fondata sul lavoro", perché il lavoro è la porta d'ingresso nella
società, ma se il lavoro non c'è perché il mercato non lo richiede, i nostri
giovani rientrano nella categoria dei "socialmente sterili", proprio
come gli schiavi. Talvolta vengono impiegati per un certo periodo di tempo,
rispondendo al pari delle merci al valore d'uso, e poi, quando il contratto a
tempo scade, si offrono al valore di scambio diventando "flessibili".
L'unica differenza rispetto alla schiavitù classica è che gli schiavi
dell'epoca coloniale avevano un padrone (come peraltro ancora oggi gli
immigrati che, in condizioni disumane, raccolgono nel meridione pomodori o
arance), mentre gli "schiavi" odierni e i loro "padroni"
sono dalla stessa parte e hanno come controparte il mercato. E come fai a
prendertela col mercato o a ribellarti al mercato, anche quando esso confligge
col mondo della vita, al punto da creare masse sempre più ingenti sotto la
soglia della povertà? Mancano gli strumenti, non si intravvedono strategie, al
massimo si sfoga la propria indignazione in manifestazioni che non modificano
alcunché. Sta tutta qui la “cecità” storica di questo tempo.
Aver fatto ritrovare, a differenza di quel composito quadro che è stato il
feudalesimo, gli sfruttati dalla stessa parte degli sfruttatori, anzi i primi
ad avere, erroneamente, gli stessi obiettivi, rincorrere gli stessi stili di
vita dei secondi. Ma quando il meccanismo si è inceppato –
produzione/consumismo/alterazione dell’ambiente/depauperazione delle risorse
naturali – quella contrapposizione sfruttati/sfruttatori, sempre vigente seppur
minimizzata, si è materializzata a pieno con un crescente impoverimento delle
masse, con una crescente negazione dei diritti. Conclude il professor
Galimberti: Con riferimento alle forme di schiavitù mascherata, mai chiamate col
loro nome, (…), possiamo dire che quando parliamo di "precariato"
diciamo subordinazione della vita umana alle esigenze di mercato. Quando
diciamo "delocalizzazione" dovremmo dire sfruttamento di mano d'opera
nei paesi meno sviluppati. Quando parliamo di immigrati dobbiamo pensare
all'abbattimento dei costi del lavoro, quando non al lavoro nero. La vita dura
in media 70 o 80 anni, ma chi perde il lavoro a 50 è troppo vecchio per
trovarne un altro, e perciò, al pari degli schiavi, rientra nella categoria dei
"socialmente sterili" per la sua irrilevanza sociale, allo stesso
modo dei "troppo bravi", costretti a emigrare da un paese che ancora
fatica a riconoscere la meritocrazia. E poi c'è la schiavitù sommersa delle
donne, divise tra lavoro e famiglia, senza adeguate strutture di supporto per
la cura dei figli e un margine di tempo per pensare a se stesse e alla
realizzazione dei propri sogni. Se l'antica schiavitù massacrava i corpi con
pesanti turni di lavoro ed esemplari punizioni, la moderna schiavitù massacra
l'anima, rendendola esangue nell'implosione di ogni progetto e nel brusco
risveglio da ogni sogno anche solo accennato. Sono le nuove forme di schiavitù,
proprio da “servi della gleba”, che la ridistribuzione tra le “classi”
sociali della ricchezza e la sua nuova destinazione, dal mondo della produzione
e del lavoro al mondo della finanza e della speculazione, in una lotta di
classe che, vado ripetendo da qualche tempo, si è realizzata all’incontrario,
rendono sempre più attuali. E Gad Lerner rinforza i toni del Suo scritto: “I
nuovi ricchi non hanno più bisogno dei `poveri` delle loro città, perché vivono
in sub-città segregate, acquistano i beni in tutto il mondo, e pagano le tasse
se e dove vogliono". Le conseguenze sociali di questa prevalenza della
rendita in un`economia di mercato soffocata sono già drammaticamente evidenti
nella vita quotidiana dei molti che ne sono tagliati fuori. Meno chiare sono le
ripercussioni sulla nostra democrazia di questo revival feudale. (…). Nel
feudalesimo di ritorno è naturale che politica ed economia tornino spesso a
sovrapporsi, in deroga alle più elementari regole democratiche, fino a
coincidere. Basti pensare ai potentati venutisi a determinare nei settori
convenzionati: dalle infrastrutture ai trasporti alla sanità, fino al caso
clamoroso delle frequenze televisive. Rendite di posizione che hanno da tempo
snaturato il mercato e che occupano più o meno vaste porzioni di territorio, a
beneficio di veri e propri potentati. (…). Così la politica s`è fatta sempre
più rancorosa non perché guidata da un eccesso di convinzioni morali, ma
esattamente per il contrario: perché svuotata di contenuto morale e spirituale.
Infeudata. Ed allora lo scandalo
morale ed etico dell’”antipolitica” che è al governo del
bel paese trova in quest’ultimo passaggio dello scritto come un disvelamento,
se ce ne fosse stato bisogno, e quella piena visibilità che ben difficilmente si
riesce a ritrovare nelle analisi interessate o nella pubblicistica prezzolata corrente.
L’”antipolitica”
al potere, intesa nella “casta” che ha impresso il suo enorme
deficit di moralità e di eticità alla sua azione nella conduzione della cosa
pubblica, ha impregnato tutti i gangli vitali del bel paese, rendendo
subalterna la democrazia alla finanziarizzazione della ricchezza collettiva.
Scrive a conclusione Gad Lerner: È un docente di Harvard, il filosofo Michael
J. Sandel, di cui Feltrinelli ha appena tradotto il saggio ‘Quello che i soldi
non possono comprare’, a segnalarci come la logica di mercato nuoccia al nostro
dibattito pubblico. Che il massimo della libertà sia stato fatto coincidere con
la libertà di comprare tutto o quasi tutto, mercificando gran parte delle
nostre relazioni, ha svuotato di argomentazione morale la vita pubblica. Il
mercato si compiace di non giudicare i valori che non siano di natura materiale
e chiede alla politica di fare altrettanto, fino a bandire l`idea di vita buona
dal dibattito pubblico. Così, se una politica sempre più rancorosa rinuncia
alla passione morale espressa nei valori e nella spiritualità, perché dovremmo
scandalizzarci di fronte al cittadino indebitato che torna servo della gleba?
Ricevo dal prof. Antonio Pasquale Pelaggi
RispondiEliminaCari lavoratori e cittadini italiani, depressi e sfiancati dalla recessione e dalla crisi economica che ci sovrasta e ci priva del futuro, cosa aspettiamo a ribellarci, a manifestare fortemente il nostro dissenso scendendo tutti in piazza, tutti insieme, senza alcuna distinzione politica, per una pacifica ma decisa e spontanea manifestazione contro l’inefficiente politica e l’alta finanza? Siamo tutti nella stessa barca e saremo noi, purtroppo, a pagare il conto per gli errori che altri hanno commesso! (…). Politiche di estrema austerity e di tagli lineari intransigenti, che hanno distrutto le economie, le imprese, il popolo, in un periodo di piena crisi e di recessione, che ha indotto fallimenti e suicidi di imprenditori, fame ed indigenza tra la gente e che tra breve porterà alla rivoluzione civile!! (…). Ma veramente vogliamo ancora andar dietro a questi tecnici teorici ed esaltati, che intendono verificare sulla nostra pelle le teorie economiche del neoliberismo sfrenato? Veramente vogliamo illuderci di essere vicini all’uscita dal tunnel, per come più volte detto dall’ex Presidente Monti per farci accettare i sacrifici imposti dal suo Governo? La verità è che stiamo precipitando in un pozzo senza fondo. La speranza è che ci si aggrappi a qualcosa per poter risalire. Questo qualcosa è senza alcun dubbio il tentare di distruggere le istituzioni della Finanza e della Politica che hanno preparato questa crisi: la prima con scopi predatori e la seconda per partecipare ai “dividendi” della rapina. (…). Ma, visti gli avvenimenti di questi giorni: i due mesi che sono stati necessari per fare un Governo (a causa di un PD inizialmente intransigente, che ha poi calato le brache per non perdere le poltrone), e, visti anche i Ministri che sono stati proposti, ed, in particolare, con una Bonino, vecchia parlamentare europea certamente connivente con gli artefici delle distorte Politiche Europee, al Ministero degli Esteri, con un Saccomanni, economista e Direttore Generale di Bankitalia, grande amico di Draghi e protagonista "in primis" del percorso del Trattato di Maastrict, quale disegnatore dei confini tecnici del medesimo, al Ministero dell'Economia e con un Letta, grande amico del potere Politico e Finanziario, ex giovane delfino della Democrazia Cristiana, ex allievo prediletto di Andreatta, quale Presidente del Consiglio, sarà molto difficile, se non impossibile, (…), che qualcosa di nuovo e di positivo per la gente venga realizzato. (…).