Ho ricevuto, nei giorni scorsi, un
testo del carissimo amico professor Antonio Pasquale Pelaggi. Titolo del molto
documentato e lunghissimo Suo scritto: “Cronostoria
di un utopico progetto del nostro tempo: Stati Uniti d’Europa”. Per ragioni
prettamente editoriali ho dovuto fare ricorso alle spietate forbici, come di un
occhiuto censore, per la qualcosa me ne scuso con l’amico carissimo. E sì che
l’intero Suo scritto avrebbe meritato ben altra sorte, meritevole come non mai
nella sua interezza dell’attenzione e delle necessarie confutazioni laddove
alcune opinioni contenute le sollecitassero, ma non di meno le regole sono
regole e come tali non me ne sono potuto sottrarre. Conosco da anni il professor
Pelaggi (Ninì per tutti coloro che sono gratificati dalla Sua amicizia) e gli rendo
il riconoscimento di una grande onestà intellettuale e di uno spirito permeato
da grandissime idealità. Ma non di meno sento l’obbligo, in nome dell’amicizia
lunghissima che ci lega, di dargli una risposta che non sia delle solite. Per
sfuggire ad un inutile giro di parole, ad un “arrampicarmi sugli specchi”,
mi pare sia necessario ricorrere alla esperienza ed alla facondia lungamente
maturata di un’opinionista tra i più valenti, la giornalista Barbara Spinelli.
È questo il contributo che mi sento di dare, in questo scambio – forse
diseguale - di osservazioni ed opinioni, all’amico carissimo. Scrive infatti
Barbara Spinelli sul quotidiano la Repubblica del 10 di aprile 2013 col titolo “L’Europa di Kubrick”: (…).
…sempre più spesso, l'Europa è descritta come utopia, parente prossima di quei
messianesimi politici o religiosi che fioriscono in tempi di guerre, di
cattività, di esodo dei popoli. Il vocabolo ricorrente è sogno. I sogni hanno
un nobile rango: dicono quel che tendiamo a occultare. Resta il loro legame col
sonno, se non con l'ipnosi: ambedue antitetici alla veglia, all'attiva
vigilanza. Ebbene, l'Europa unita è qualcosa di radicalmente diverso da un
sogno, e ancor meno è un'utopia, un'illusione di cui dovremmo liberarci per divenire
realisti; o come usa dire: più moderati, pragmatici. E
molto pragmaticamente l’amico carissimo traccia la “cronostoria” di quello
che definisce “un utopico progetto del nostro tempo”: Nel Febbraio del 1992, Giulio
Andreotti nella qualità di Presidente del Consiglio, Gianni De Michelis come
Ministro degli Esteri e Guido Carli come Governatore di Bankitalia, firmano a Maastricht,
con gli altri dodici Stati Membri, il Trattato sulla costituenda Unione Europea.
Con questo inconsulto (inconsulto? n.d.r.) atto, effettuato senza alcun
referendum popolare l’Italia e gli altri undici Stati Membri, rinunciano alla
sovranità monetaria e nel contempo le Banche Nazionali, e, quindi anche la Banca d’Italia, rinunciano
alla loro piena autonomia, rimettendo il sistema monetario europeo nel suo
complesso alla mercè della Banca Centrale Europea, ovvero alla BCE. (…). Ed è a questo punto che il mio
fraterno contributo all’amico carissimo deve per forza fare ricorso alla
facondia di Barbara Spinelli. Scrive la valente opinionista nella riflessione
già citata: La crisi cominciata nel 2007
ha disvelato quel che avrebbe dovuto esser chiaro molto
prima, e che era chiaro ai padri fondatori: l'esaurirsi dei classici Stati
nazione. La loro sovranità assoluta, codificata nel trattato di Westphalia nel
1648, s'è tramutata in ipostasi, quando in realtà non è stata che una parentesi
storica: una parentesi che escluse progetti di segno assai diverso, confederali
e federali, sostenuti già ai tempi di Enrico IV in Francia e poi da Rousseau o
Kant. Gli effetti sulla vita degli europei furono mortiferi: questa
constatazione, fatta a occhi ben aperti, diede vita, durante l'ultima guerra
mondiale, non già al "sogno", ma al progetto concreto d'unificazione
europea. Nel frattempo tale sovranità assoluta - cioè la perfetta coincidenza
fra il perimetro geografico d'un Paese e quello del potere statuale da esso
esercitato - è divenuta un anacronismo non solo incongruo ma inconcludente, che
decompone governi e Parlamenti. I nodi più ardui da sciogliere - una finanza
mondiale sgovernata, il conflitto fra monete, il clima, le guerre, la
convivenza tra religioni differenti - non sono più gestibili sul solo piano
nazionale. Tanto meno lo sono con l'emersione di nuove potenze economiche (i
BRICS: Brasile, Russia, India, Cina, Sud-Africa). La loro domanda di energia,
materie prime, beni alimentari, è in rapida crescita e quel che esse
pretendono, oggi, è una diversa distribuzione delle risorse planetarie:
inquiete per il loro rarefarsi, esigono la loro quota. Non è più tollerato che
una minoranza di industrializzati perpetui tramite l'indebitamento il dominio
sui mercati: è attraverso il debito infatti che i ricchi del pianeta
s'accaparrano più risorse di quelle spettanti in base alla loro capacità
produttiva. È il motivo per cui debiti che erano considerati solvibili non lo
sono più: i BRICS non vogliono più rifinanziarli. Il debito sovrano, in altre
parole, non è più sovrano: va affrontato come incombenza mondiale, e per
cominciare come compito continentale europeo. Pensare che i singoli Stati lo
assolvano da soli, indebitandosi ancora di più, è non solo ingiusto mondialmente:
è ridicolo e impraticabile. Cala così sulla questione una realtà
storica che sembra sfuggire ai più. Ed è in quella realtà, magistralmente
delineata dalla Spinelli, che andrebbero inserite le discussioni. Scrive
l’amico Pelaggi: È interessante (…) ricordare come Carlo Azelio Ciampi, ex Governatore di
Bankitalia, ex Ministro del Tesoro, diventato
Presidente della Repubblica Italiana il
13 Maggio del 99, durante il primo governo D’Alema, abbia salutato l’entrata
dell’euro, dicendo: “l’euro è un grande disegno di pace. È l’impegno solenne
assunto dai popoli europei di vivere insieme. È soltanto il primo traguardo
raggiunto e, come la lira dalla sua nascita nel 1862 fu veicolo dell’unità
d’Italia, l’euro deve diventare motore dell’integrazione del vecchio continente
europeo!”. Bel discorso di augurio, ma nessun cenno alla perdita della
sovranità monetaria ceduta alla BCE, nessun cenno alla perdita di parte della
sovranità popolare riguardo le decisioni politiche nazionali da intraprendere e
nessun cenno soprattutto alla Unione di Stati in realtà ancora inesistente! (…).
Come di rimando (all’amico carissimo) scrive Barbara Spinelli: L'unità
politica fra Europei è insomma la via più realistica, pragmatica, e la più
promettente proprio dal punto di vista della sovranità: cioè dal punto di vista
del monopolio della coesione civile, del bene pubblico, della forza.
L'abbandono-dispersione del monopolio conduce all'irrilevanza del continente e
al diktat dei più forti, mercati o Stati che siano. (…). Non è più vero che il
re è imperator nel suo regno: superiorem non recognoscens (ignaro di poteri
sopra di sé), come nella formula del Medio Evo, quando l'impero era sfidato dai
primi embrioni di Stati. La formula risale al XIII secolo, e nell'800-900
divenne dogma malefico. Oggi il singolo sovrano deve riconoscere autorità
superiori: organi internazionali, e in Europa poteri federali e una Carta dei
diritti che vincola Stati e cittadini. Neanche la sovranità popolare è più
quella sancita nell'articolo 1 della nostra Costituzione: non solo essa viene
esercitata "nella forme e nei limiti della Costituzione" - dunque è
divisibile - ma sempre più è scavalcata da convenzioni transnazionali (il
Fiscal Compact è tra esse) che minacciano di corroderla e screditarla, se non
nasce una potente sovranità popolare europea. Chiude il Suo scritto
l’amico carissimo: (…). È (il Fiscal Compact n.d.r.), (…), l’atto finale di un vero e
proprio piano di annientamento e di consequenziale sottomissione dei Paesi
dell’Eurozona, in particolare di quelli che sono già in difficoltà economiche e
di quelli che presto lo saranno, alla detta Finanza dei Tecnocrati che si
nascondono dietro le Istituzioni UE, nominate da privati e controllate da
privati, a loro volta incontrollabili ed ingiudicabili, secondo le norme ed i
regolamenti di volta in volta inseriti nei vari Trattati. (…). E
Barbara Spinelli conclude: Dove sta allora, oggi, l'utopia? Sta nella
perpetuazione di sovranità nazionali fittizie: tenute in semi-vita da simulacri
di poteri e da cittadini disinformati (le due cose vanno insieme: più
spadroneggia lo status quo, più la realtà vien nascosta ai popoli). (…). Tepidezza,
incredulità, paura: questi i sentimenti che impediscono la nascita di ordini
nuovi. L'ordine vecchio è difeso con partigianeria, anche quando è
manifestamente defunto. Quello nuovo con tiepidezza, anche quando è
manifestamente necessario. (…). Dunque quando incontriamo un antieuropeo
dovremmo replicare, se vogliamo cambiare il mondo: sono io lo scettico, non tu
che stai sdraiato nel falso ordine vecchio per timore del nuovo che già è
cominciato. Ha scritto nell’incipit del testo l’amico carissimo: Negli
anni 50, subito dopo la seconda guerra mondiale ed ancora sotto gli effetti
disastrosi ad essa consequenziali, alcuni leader quali: Beyen, Adenauer, Bech,
Churchill,De Gasperi, Spaak Hallstein,Manshot,Monnet,Schuman e Spinelli, in una
condivisa visione di pace, stabilità, crescita e prosperità dei popoli europei,
hanno ispirato la creazione dell’Unione Europea, nella speranza di allontanare
dall’Europa il pericolo di nuove guerre fratricida. Mi chiedo, in una
scala di valori condivisi, quale altro imperativo possa sopravanzare la
ricerca, con tutti i mezzi possibili, della pace? I 68 anni di pace ad oggi vissuti
in Europa, pur nel brancolare di questa costruzione europea, penso che
rappresentino la garanzia unica per il futuro di tutti i popoli della vecchia
Europa.
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