"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 16 aprile 2013

Strettamentepersonale. 9 Noi e la “voglia” grande d’Europa.

A lato. Fernando Botero (1995). Ratto di Europa.
 
Ho ricevuto, nei giorni scorsi, un testo del carissimo amico professor Antonio Pasquale Pelaggi. Titolo del molto documentato e lunghissimo Suo scritto: “Cronostoria di un utopico progetto del nostro tempo: Stati Uniti d’Europa”. Per ragioni prettamente editoriali ho dovuto fare ricorso alle spietate forbici, come di un occhiuto censore, per la qualcosa me ne scuso con l’amico carissimo. E sì che l’intero Suo scritto avrebbe meritato ben altra sorte, meritevole come non mai nella sua interezza dell’attenzione e delle necessarie confutazioni laddove alcune opinioni contenute le sollecitassero, ma non di meno le regole sono regole e come tali non me ne sono potuto sottrarre. Conosco da anni il professor Pelaggi (Ninì per tutti coloro che sono gratificati dalla Sua amicizia) e gli rendo il riconoscimento di una grande onestà intellettuale e di uno spirito permeato da grandissime idealità. Ma non di meno sento l’obbligo, in nome dell’amicizia lunghissima che ci lega, di dargli una risposta che non sia delle solite. Per sfuggire ad un inutile giro di parole, ad un “arrampicarmi sugli specchi”, mi pare sia necessario ricorrere alla esperienza ed alla facondia lungamente maturata di un’opinionista tra i più valenti, la giornalista Barbara Spinelli. È questo il contributo che mi sento di dare, in questo scambio – forse diseguale - di osservazioni ed opinioni, all’amico carissimo. Scrive infatti Barbara Spinelli sul quotidiano la Repubblica del 10 di aprile 2013 col titolo “L’Europa di Kubrick”: (…). …sempre più spesso, l'Europa è descritta come utopia, parente prossima di quei messianesimi politici o religiosi che fioriscono in tempi di guerre, di cattività, di esodo dei popoli. Il vocabolo ricorrente è sogno. I sogni hanno un nobile rango: dicono quel che tendiamo a occultare. Resta il loro legame col sonno, se non con l'ipnosi: ambedue antitetici alla veglia, all'attiva vigilanza. Ebbene, l'Europa unita è qualcosa di radicalmente diverso da un sogno, e ancor meno è un'utopia, un'illusione di cui dovremmo liberarci per divenire realisti; o come usa dire: più moderati, pragmatici. E molto pragmaticamente l’amico carissimo traccia la “cronostoria” di quello che definisce “un utopico progetto del nostro tempo”: Nel Febbraio del 1992, Giulio Andreotti nella qualità di Presidente del Consiglio, Gianni De Michelis come Ministro degli Esteri e Guido Carli come Governatore di Bankitalia, firmano a   Maastricht, con gli altri dodici Stati Membri, il Trattato sulla costituenda Unione Europea. Con questo inconsulto (inconsulto? n.d.r.) atto, effettuato senza alcun referendum popolare l’Italia e gli altri undici Stati Membri, rinunciano alla sovranità monetaria e nel contempo le Banche Nazionali, e, quindi anche la Banca d’Italia, rinunciano alla loro piena autonomia, rimettendo il sistema monetario europeo nel suo complesso alla mercè della Banca Centrale Europea, ovvero alla BCE.  (…). Ed è a questo punto che il mio fraterno contributo all’amico carissimo deve per forza fare ricorso alla facondia di Barbara Spinelli. Scrive la valente opinionista nella riflessione già citata: La crisi cominciata nel 2007 ha disvelato quel che avrebbe dovuto esser chiaro molto prima, e che era chiaro ai padri fondatori: l'esaurirsi dei classici Stati nazione. La loro sovranità assoluta, codificata nel trattato di Westphalia nel 1648, s'è tramutata in ipostasi, quando in realtà non è stata che una parentesi storica: una parentesi che escluse progetti di segno assai diverso, confederali e federali, sostenuti già ai tempi di Enrico IV in Francia e poi da Rousseau o Kant. Gli effetti sulla vita degli europei furono mortiferi: questa constatazione, fatta a occhi ben aperti, diede vita, durante l'ultima guerra mondiale, non già al "sogno", ma al progetto concreto d'unificazione europea. Nel frattempo tale sovranità assoluta - cioè la perfetta coincidenza fra il perimetro geografico d'un Paese e quello del potere statuale da esso esercitato - è divenuta un anacronismo non solo incongruo ma inconcludente, che decompone governi e Parlamenti. I nodi più ardui da sciogliere - una finanza mondiale sgovernata, il conflitto fra monete, il clima, le guerre, la convivenza tra religioni differenti - non sono più gestibili sul solo piano nazionale. Tanto meno lo sono con l'emersione di nuove potenze economiche (i BRICS: Brasile, Russia, India, Cina, Sud-Africa). La loro domanda di energia, materie prime, beni alimentari, è in rapida crescita e quel che esse pretendono, oggi, è una diversa distribuzione delle risorse planetarie: inquiete per il loro rarefarsi, esigono la loro quota. Non è più tollerato che una minoranza di industrializzati perpetui tramite l'indebitamento il dominio sui mercati: è attraverso il debito infatti che i ricchi del pianeta s'accaparrano più risorse di quelle spettanti in base alla loro capacità produttiva. È il motivo per cui debiti che erano considerati solvibili non lo sono più: i BRICS non vogliono più rifinanziarli. Il debito sovrano, in altre parole, non è più sovrano: va affrontato come incombenza mondiale, e per cominciare come compito continentale europeo. Pensare che i singoli Stati lo assolvano da soli, indebitandosi ancora di più, è non solo ingiusto mondialmente: è ridicolo e impraticabile. Cala così sulla questione una realtà storica che sembra sfuggire ai più. Ed è in quella realtà, magistralmente delineata dalla Spinelli, che andrebbero inserite le discussioni. Scrive l’amico Pelaggi: È interessante (…) ricordare come Carlo Azelio Ciampi, ex Governatore di  Bankitalia, ex Ministro del Tesoro, diventato Presidente  della Repubblica Italiana il 13 Maggio del 99, durante il primo governo D’Alema, abbia salutato l’entrata dell’euro, dicendo: “l’euro è un grande disegno di pace. È l’impegno solenne assunto dai popoli europei di vivere insieme. È soltanto il primo traguardo raggiunto e, come la lira dalla sua nascita nel 1862 fu veicolo dell’unità d’Italia, l’euro deve diventare motore dell’integrazione del vecchio continente europeo!”. Bel discorso di augurio, ma nessun cenno alla perdita della sovranità monetaria ceduta alla BCE, nessun cenno alla perdita di parte della sovranità popolare riguardo le decisioni politiche nazionali da intraprendere e nessun cenno soprattutto alla Unione di Stati in realtà ancora inesistente! (…). Come di rimando (all’amico carissimo) scrive Barbara Spinelli: L'unità politica fra Europei è insomma la via più realistica, pragmatica, e la più promettente proprio dal punto di vista della sovranità: cioè dal punto di vista del monopolio della coesione civile, del bene pubblico, della forza. L'abbandono-dispersione del monopolio conduce all'irrilevanza del continente e al diktat dei più forti, mercati o Stati che siano. (…). Non è più vero che il re è imperator nel suo regno: superiorem non recognoscens (ignaro di poteri sopra di sé), come nella formula del Medio Evo, quando l'impero era sfidato dai primi embrioni di Stati. La formula risale al XIII secolo, e nell'800-900 divenne dogma malefico. Oggi il singolo sovrano deve riconoscere autorità superiori: organi internazionali, e in Europa poteri federali e una Carta dei diritti che vincola Stati e cittadini. Neanche la sovranità popolare è più quella sancita nell'articolo 1 della nostra Costituzione: non solo essa viene esercitata "nella forme e nei limiti della Costituzione" - dunque è divisibile - ma sempre più è scavalcata da convenzioni transnazionali (il Fiscal Compact è tra esse) che minacciano di corroderla e screditarla, se non nasce una potente sovranità popolare europea. Chiude il Suo scritto l’amico carissimo: (…). È (il Fiscal Compact n.d.r.), (…), l’atto finale di un vero e proprio piano di annientamento e di consequenziale sottomissione dei Paesi dell’Eurozona, in particolare di quelli che sono già in difficoltà economiche e di quelli che presto lo saranno, alla detta Finanza dei Tecnocrati che si nascondono dietro le Istituzioni UE, nominate da privati e controllate da privati, a loro volta incontrollabili ed ingiudicabili, secondo le norme ed i regolamenti di volta in volta inseriti nei vari Trattati. (…). E Barbara Spinelli conclude: Dove sta allora, oggi, l'utopia? Sta nella perpetuazione di sovranità nazionali fittizie: tenute in semi-vita da simulacri di poteri e da cittadini disinformati (le due cose vanno insieme: più spadroneggia lo status quo, più la realtà vien nascosta ai popoli). (…). Tepidezza, incredulità, paura: questi i sentimenti che impediscono la nascita di ordini nuovi. L'ordine vecchio è difeso con partigianeria, anche quando è manifestamente defunto. Quello nuovo con tiepidezza, anche quando è manifestamente necessario. (…). Dunque quando incontriamo un antieuropeo dovremmo replicare, se vogliamo cambiare il mondo: sono io lo scettico, non tu che stai sdraiato nel falso ordine vecchio per timore del nuovo che già è cominciato. Ha scritto nell’incipit del testo l’amico carissimo: Negli anni 50, subito dopo la seconda guerra mondiale ed ancora sotto gli effetti disastrosi ad essa consequenziali, alcuni leader quali: Beyen, Adenauer, Bech, Churchill,De Gasperi, Spaak Hallstein,Manshot,Monnet,Schuman e Spinelli, in una condivisa visione di pace, stabilità, crescita e prosperità dei popoli europei, hanno ispirato la creazione dell’Unione Europea, nella speranza di allontanare dall’Europa il pericolo di nuove guerre fratricida. Mi chiedo, in una scala di valori condivisi, quale altro imperativo possa sopravanzare la ricerca, con tutti i mezzi possibili, della pace? I 68 anni di pace ad oggi vissuti in Europa, pur nel brancolare di questa costruzione europea, penso che rappresentino la garanzia unica per il futuro di tutti i popoli della vecchia Europa.

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