Scrive Massimo Giannini
sull’ultimo numero del Settimanale “Affari&Finanza” – 18 di febbraio 2013 -
nell’editoriale che ha per titolo “Il
Papa è moderno la finanza di Pietro no”: (…). La portata rivoluzionaria
delle dimissioni del Papa, che desacralizzano la Chiesa e ritrasformano
Benedetto XVI in Joseph Ratzinger, non è bastata. In qualunque altra
istituzione, per quanto millenaria, un evento del genere avrebbe dovuto
determinare un ripensamento profondo non soltanto del modo in cui si testimonia
il messaggio di Cristo, ma anche del modo in cui ci si rapporta con le
questioni di Cesare. Nutro grande considerazione e stima per l’illustre
opinionista e leggo sempre con grande interesse ed attenzione le “cose”
sempre valide che va scrivendo. Devo ammettere però – e penso d’avere espresso
in post precedenti sufficientemente il mio pensiero – d’avere provato una
sorpresa amara nel leggere di quella “portata rivoluzionaria”
nell’editoriale citato. Non si finisce mai di sorprendersi, e di imparare. Per
tal motivo la vita è interessante ma non bella. Ho avuto modo di dire che ben
altri turiferari della prima ora si erano spinti a parlare di scelta secolare,
rivoluzionaria, bla bla bla e via discorrendo. Non se ne può più, anche perché
il vescovo di Roma non abbisogna d’essere incensato. Lui, da buon tedesco, che
ha respirato anche se solo incidentalmente e forse contro la sua volontà l’educazione
della “Riforma” si sarà reso conto che la sua posizione era solamente
incompatibile ed impossibile da sostenersi nel “mercato” del potere temporale,
terreno che la sua religione divenuta chiesa esprime da secoli e secoli. Si
sarà ricordato di quell’uomo di Nazareth che, si racconta – ma sarà vero? -,
scacciò dal tempio di Gerusalemme i mercanti rovesciandone le bancarelle
attrezzate ai commerci più vari. È che da tedesco e da persona vissuta nei
luoghi della “Riforma” gli riusciva quanto mai difficile conciliare
l’inconciliabile con l’unico valore che la sua origine gli ha dettato e
continua a dettargli: la “responsabilità”. E se, come presumo,
è stato il senso della “responsabilità” personale e senza
intermediazioni – nella scia profonda della “Riforma” di Lutero - ad
averlo indotto nel “gran rifiuto”, allora sarebbe il caso di un’aggettivazione
forte che possa fare intravvedere e parlare di una “rivoluzione”. Ma sul
punto rimango guardingo. A ben ragione. L’uomo è rimasto, nel corso del suo
magistero, ben ancorato alla precettistica di sempre della sua chiesa che non
concede che ci possa essere una sfera prettamente religiosa-confessionale che,
in assoluta libertà ed indipendenza e con coscienza, sia “cosa” ben distinta e che
si perita di invadere la sfera civile dei diritti e dei doveri dove altre
credenze, verità e sensibilità necessitano d’essere accolte con rispetto ed
ascoltate. Affermava il professor Hans Küng – teologo tedesco - in una
intervista al quotidiano la Repubblica del 27 di gennaio dell’anno 2009 a firma di Andrea
Tarquini – “Nella Chiesa c'è una
restaurazione” –, a proposito della revoca della scomunica a quattro
vescovi seguaci di Lefebvre: "la questione della revoca della
scomunica ai quattro vescovi (…) secondo me, da sola, di per sé non è davvero
importante, ma ha un significato e va vista e inquadrata in un contesto
generale di restaurazione". Era l’anno 2009. Bene. Ed alla domanda
“Che significato hanno questo contesto
generale e gli ultimi eventi?” l’illustre teologo affermava: "Nel
contesto generale gli ultimi eventi sono un segno del continuo irrigidimento
del Vaticano, la continua marcia indietro, il continuo susseguirsi di un passo
indietro dopo l'altro". E ad una successiva domanda
dell’intervistatore – “Cioè il problema
non è solo la polemica cristiani-ebrei (a seguito del perdono accordato al
vescovo negazionista dell’Olocausto Williamson e ad altri tre presuli n.d.r.) bensì le idee di fondo della Chiesa sul suo
posto nel mondo moderno?” – rispondeva senza tentennamento alcuno: "Sì.
La questione è l'insieme del corso che Papa Ratzinger ha fatto imboccare alla
Chiesa. Purtroppo un percorso significativamente all'indietro". Era
l’anno 2009. Bene. Concludeva Andrea Tarquini la Sua intervista con una domanda
che sollecitava una schietta risposta:
“Il Papa vive davvero nel mondo moderno, capisce i fedeli?” La risposta del
teologo Hans Kung allora è stata: "Il Pontefice vive nel suo mondo, si è
allontanato dagli uomini, e oltre a grandi processioni e pompose cerimonie, non
vede più i problemi dei fedeli. Per esempio la morale sessuale, la cura
pastorale delle anime, la contraccezione. La Chiesa è in crisi, io spero che
egli lo riconosca. Sarei felice di passi di riconciliazione specie verso gli
ambienti dei fedeli progressisti. Ma Benedetto non vede che sta alienando se
stesso dalla gran parte della Chiesa cattolica e della cristianità. Non vede il
mondo reale, vede solo il mondo vaticano". In una intervista del
28 di maggio 2012 – tre anni dopo - sempre il giornalista Andrea Tarquini – su
la Repubblica, “Il Vaticano è rimasto
una corte medioevale” – chiedeva all’illustre teologo: E lei che opinione ha maturato di questa situazione (dopo gli scandali
dei cosiddetti corvi in Vaticano n.d.r.),
che lei appunto descrive come coincidenza di eventi legati l'un l'altro? «Tutti
questi eventi mi appaiono come sintomi della crisi di un sistema intero nel suo
complesso. Io parlo del sistema della curia romana, del sistema romano delle
cui caratteristiche negative soffre la Chiesa cattolica tutta, nel mondo
intero. E naturalmente questi eventi contemporanei danno l'impressione di una
incapacità papale. Di avere a che fare con un pontefice incapace. (…).». Per
un affondo finale poi che non ammette l’incenso a piene mani distribuito dai
turiferari d’occasione: Perché parla al
tempo stesso di crisi strutturale, di sistema? «Perché la struttura e
l'organizzazione della Curia romana cerca facilmente ma invano di ingannarci,
di nascondere il fatto-chiave: che il Vaticano nel suo nocciolo è restato
ancora oggi una Corte. Una Corte al cui vertice siede ancora un regnante assoluto,
con costumi e riti medievali, barocchi e a volte moderni e tradizioni
cristallizzate, consuetudini. Nel suo cuore il Vaticano è rimasto una società
di Corte, dominata e segnata dal celibato maschile, che si governa con un suo
proprio codice di etichette e atmosfere. E quanto più ti avvicini al principe
regnante salendo nella carriera ecclesiastica, tanto più in prima linea non
vale e non conta più la tua competenza, la tua forza di carattere, le tue
capacità e talenti, bensì conta che tu abbia un carattere duttile con una
capacità di adattarsi soprattutto ai voleri del regnante. È lui solo, il
regnante, a stabilire se tu sei persona grata o invece persona non grata».
Dove sta allora la “portata rivoluzionaria” di quel “gran rifiuto”? Solamente
non esiste. Conclude Massimo Giannini il Suo editoriale, che sconfessa da sé
stesso e senza mezzi termini la “portata rivoluzionaria” in
precedenza adombrata: Se è vero che a spingere il Pontefice alla
rinuncia ha contribuito anche la vicenda dell’Istituto delle Opere Religiose,
senza presidente da otto mesi e lambito dalle inchieste su Mps e Finmeccanica,
allora il Vaticano ha perso una grande occasione. Avrebbe dovuto approfittare
dello storico passo indietro del Santo Padre rispetto alla sua missione
cristiana, per compiere un gesto analogo di forte discontinuità rispetto alla
gestione della banca vaticana. (…). John Plender, sul Financial Times, sostiene
che la mancanza di trasparenza e di «accountability» della Ior è un
«anacronismo inescusabile». Ha perfettamente ragione: è ora che anche i Papi
«rendano conto» in questa vita, e non solo in quella ultraterrena. È
che un ravvedimento di quel clero è dato come storicamente impossibile vista l’enorme
concupiscenza, come brama e desiderio di potere in tutte le sue sfaccettature e
declinazioni, che lo divora da sempre.
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