La cattiva notizia alla fine c’è stata.
Non rimane che apprestare le opportune difese. Ha scritto Adriano Prosperi sul
numero 46 della rivista “Left” del
17 di novembre – “Un Paese illegale”
-: (…).
Con un decreto legge d’urgenza, il CAF (Craxi, Andreotti, Forlani) consegnò
l’Italia alla Fininvest e l’illegalità divenne legale (…). Poi nell’aprile del
1993 un plebiscito referendario cancellava il sistema proporzionale e
introduceva il sistema maggioritario. Un rimedio peggiore del male. (…). La
strada era aperta all’avventura del partito-azienda di Berlusconi. (…). Un
Paese che vedeva con favore chiudersi l’età
di Tangentopoli e aprirsi quella della libertà dalle leggi. (…). Nel
1991 un Norberto Bobbio ormai scorato scriveva: «La gestazione della seconda
Repubblica, se dovrà nascere, sarà lunga. Ma poiché, se nascerà, nascerà con
gli stessi uomini che non solo sono falliti ma sono inconsapevoli del loro
fallimento, non potrà che nascere male, malissimo, come male, malissimo è
finita la prima». (…). Sembra stia per ritornare “lo spirito del tempo”. Esisteva,
nel tra-passato (elettronicamente parlando) blog, una sezione che aveva per
titolo “Zeitgeist”, ovvero “lo spirito del tempo”, che è stata
un'espressione creata nel tardo secolo decimonono per indicare la natura della
cultura dominante in una certa era della Storia. Significato che, per un
processo d’adattamento ai momenti storici che siano in corso, ha l’ambizione di
definire l’aspirazione del presente come atto votato all'eternità. Tale sembra
essere la rinnovata “scesa in campo” che la cattiva notizia ci ha portato, nonostante
le disastrose prove d’inettitudine fornite nel governo della cosa pubblica.
Scorrendo i fogli elettronici dell’e-book, salvato dal “naufragio” elettronico, ritrovo
il post numero 48 di quella benemerita sezione – alle pagine 2.547-2.549, alla
data del 31 di maggio dell’anno 2009 – che ha per titolo “La menzogna in politica e il diritto alla verità“. Qual è la
verità che sta dietro la nuova “scesa in campo”? Lo ripropongo di
seguito.
“Si crede in Italia che l’era di
Berlusconi sia una particolarità, un’anomalia tipica del nostro paese. In
realtà, essa è piuttosto tipica del nostro tempo. Le ideologie sono tramontate,
le classi sociali sono sbiadite, ed emergono uomini politici di nuovo conio,
scelti dagli elettori non tanto per quel che rappresentano, tanto meno per il
partito che possono avere o non avere alle spalle, quanto per la loro
personalità, per le loro promesse, per la loro forza di attrazione: possiamo
dire per il loro carisma. È l’epoca, la nostra del populismo. (…). Nell’era del
populismo, il leader proviene dal nulla e rappresenta solo se stesso”. Avete
appena letto un altro brano tratto dall’ultimo lavoro di Piero Ottone – pagg.
166/167 - che ha per titolo “Italia mia”,
lavoro edito da Longanesi. Ricordo di avere in altra occasione parlato del
cosiddetto “mostro mite”,
un’intelligente intuizione del sociologo Raffaele Simone, ovvero dell’attuale
configurazione planetaria della destra rampante e vincente. A ben ragione anche
l’illustre Piero Ottone, autore del
brano sopra riportato, parla di un’anomalia, anomalia che ha l’esatta misura in
una configurazione delle compagini politiche oggigiorno vincenti che non è
limitata geograficamente ma “è piuttosto tipica del nostro tempo”.
Ed essendo in presenza di un’anomalia di fatto epocale, ci si misura
quotidianamente con uno stravolgimento delle regole politiche e della stessa
convivenza sociale con esiti che difficilmente, al momento, possono essere
intuibili e valutabili. Al riguardo ne ha scritto da par Suo Stefano Rodotà sul
quotidiano “la Repubblica” con un editoriale che ha per titolo “La menzogna in politica e il diritto alla
verità”. Di seguito ne trascrivo le parti più salienti. Si è discettato nei
giorni passati del limite pubblico/privato per un uomo che abbia scelto di “darsi
alla politica”. Di darsi, e non tanto di uomo invocato da alcuno per una sua provvidenziale
“discesa in campo”. Intelligenti pauca. Orbene, su quel limite è come
discettare del sesso degli angeli. O meglio, con un ritornello sentito nella
mia età più giovine, se venga prima l’uovo o la gallina. Irrisolvibile.
Basterebbe ragionarci sopra per cogliere il capo della intricata matassa. Si ha
un bel dire dai famigli del potente di turno che certe “cose” sarebbe cosa buona
e giusta che restassero nella sfera del privato. Se tale ambito fosse stato il
prediletto, in barba anche ad una funzione pubblica per la quale la
ristrettezza del privato va necessariamente sacrificata, per quale motivo di
difficile intuizione l’egoarca di Arcore ha costretto il vespide del piccolo
mostro ad imbandirgli immantinente un’apparizione nel corso della quale ha
riempito l’etere tutto di castronerie subito sbugiardate dalla libera stampa
del bel paese? Castronerie divenute di dominio planetario. È come per il
vescovo di Roma che, in quel d’Africa, ha avuto l’improntitudine di
pronunciarsi su argomenti di non sua competenza pretendendo anche che la stampa
dell’universo mondo tacesse sui suoi inqualificabili pronunciamenti. Lor
signori ambiscono di utilizzare la grancassa dei media a tutto spiano,
pretendendo al contempo di non esserne sbugiardati o quanto meno richiamati
alla concretezza.
“(…). Quali sono i doveri dell´uomo
pubblico? Quale dev´essere la sua moralità? Possono convivere vizi privati e
pubbliche virtù? Può il politico coltivare la pretesa di stabilire egli stesso fin dove può giungere lo sguardo dei
cittadini? E soprattutto: qual è il rapporto tra verità e politica nel tempo
della comunicazione globale? «La menzogna ci è familiare fin dagli albori della
storia scritta. L´abitudine a dire la verità non è mai stata annoverata tra le
virtù politiche e le menzogne sono state sempre considerate giustificabili
negli affari politici». Così Hanna Arendt, che tuttavia in questa lunga
abitudine non vedeva un dato da accettare in nome di un troppo facile realismo
politico. Al contrario, contro la menzogna bisogna lottare non solo per la sua
intrinseca immoralità, ma per i suoi effetti distruttivi proprio dello spazio
della politica. Dove esiste un establishment, un ceto politico consapevole
della necessità di mantenere la propria legittimità nei confronti dei
cittadini, la pubblica menzogna sui propri fatti privati porta all´espulsione
del mentitore. (…). Non un sussulto moralistico, ma l´affidabilità stessa del
politico rende inammissibile la menzogna. Questo significa che parlare del
rapporto tra menzogna e politica esige distinzioni. Vi è la menzogna in nome
della salute della Repubblica, quella su vicende private del politico, quella
che vuol salvaguardare uno spazio di intimità di cui nessuno può essere
espropriato. Né il primo, né l´ultimo caso possono essere invocati nella
vicenda che coinvolge Silvio Berlusconi. Per quanto sia divenuta totalizzante
l´identificazione sua con i destini del paese, non si può certo ritenere che il
suo parlar franco sui rapporti con una giovane ragazza metta a rischio il
sistema politico italiano. Al contrario, proprio le sue reticenze, i silenzi e
le contraddizioni stanno producendo effetti perversi nella sfera pubblica. La
difesa della privacy, il rifiuto di una politica fatta di un guardare nel buco
della serratura? Chi ragiona in questo modo sembra ignorare il modo in cui la vicenda
è stata resa pubblica, la denuncia circostanziata e impietosa di Veronica
Lario, i suoi diretti riferimenti politici. Lì si parlava della figura pubblica
di Berlusconi, non di qualche pettegolezzo privato. Da decenni, peraltro, è
cosa nota e consolidata che i politici godono di una più ridotta aspettativa di
privacy, proprio perché la decisione di vivere in pubblico e di gestire la cosa
pubblica impone loro di rendere possibile una conoscenza ampia e una
valutazione continua proprio da parte di quei cittadini al cui giudizio il
presidente del Consiglio sembra tenere tanto. Chi, allora, ha diritto alla
verità? (…). Molte volte si è sottolineato che le procedure di occultamento
della verità hanno sempre accompagnato i regimi totalitari, mentre l´accesso alla
verità è sempre stato una prerogativa delle libere assemblee, a partire dalla
democrazia di Atene. Il diritto alla verità, in questo caso più che mai, è
diritto di tutti. È stato proprio il presidente del Consiglio a rendere
ineludibile la questione con le sue reticenze, le doppie versioni, il
distogliere lo sguardo da fatti incontestabili. Il suo rifiuto di rispondere a
domande specifiche, e tutt´altro che pretestuose proprio perché riferite a dati
precisi, assomiglia assai a quella facoltà di non rispondere di cui giustamente
può giovarsi l´indagato o l´imputato. (…). Una menzogna può acquietare i fedeli
di un politico, ma lo spinge a rinserrarsi nel suo campo trincerato, corrode la
fiducia dei cittadini in un tempo in cui proprio la produzione di fiducia è
considerata un elemento indispensabile per restituire alla politica un vero
consenso. Non è il moralismo a spingere verso questa conclusione, anche se oggi
soffriamo proprio di un deficit spaventoso di moralità pubblica. La democrazia,
ricordiamolo, non è solo governo del popolo, ma governo in pubblico. Qui, in
questa semplice e profonda verità, sta l´inammissibilità della menzogna in
politica, che si trasforma proprio nella pretesa di non rendere conto dei
propri comportamenti da parte di chi ha liberamente scelto di uscire dal
rassicurante spazio privato per essere protagonista nello spazio pubblico.”
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