Vi è stato il tempo del “pasticciaccio”
di Via Merulana. È questo il tempo del “pasticciaccio” del cosiddetto colle
del Quirinale. E tutto rotola di “pasticciaccio” in “pasticciaccio”.
Nel bel paese. È che il primo lo si deve alla fervida fantasia dell’Emilio
Gadda. Quest’ultimo lo dobbiamo all’imperativo primo degli abitatori del bel
paese – “tengo famiglia” - per i quali tutto ne segue. Soccorrono i
laudatori ed i turiferari che reggono alto il turibolo per incensare meglio.
Accade così che si tenti di trasformare un affare del “tengo famiglia” in un
attentato agli organi costituiti. In uno stravolgimento istituzionale. Un colpo
di stato. Bum! L’ho di già scritto tante altre volte. Scrive Gianluigi Pellegrino
sul quotidiano la Repubblica: (…). Il Presidente della Repubblica non è
sovraordinato, ma si colloca all’esterno dei tre poteri ed è chiamato dalla
Costituzione a sorvegliare che il reciproco controllo e quindi il reciproco
equilibrio tra loro, sia il più pieno e completo. Per questo suo ruolo unico di
garanzia, le funzioni del Capo dello Stato non sono mai sindacabili da alcuno
dei poteri, e rimesse alla sola Corte costituzionale in due eccezionali ipotesi.
(…). Ma quale equilibrio istituzionale, mio buon dio, veniva
salvaguardato con le telefonate intercettate? Quale esercizio della funzione
veniva esplicato nel corso di esse? Si allibisce. Si trasecola. Scrive
sull’argomento Marco Travaglio – “il Fatto Quotidiano”, “Stato di rovescio” -: (…). Nessuno nota (…) l’imbarazzato e
imbarazzante eloquio del comunicato della Corte là dove scrive, copiando paro
paro dalla memoria dell’Avvocatura dello Stato, che “non spettava alla Procura
di Palermo di omettere di chiedere al giudice l’immediata distruzione” delle
quattro telefonate incriminate. Perché i supremi giudici non hanno scritto che
“spettava alla Procura di Palermo chiedere al giudice l’immediata distruzione”?
Forse perché sanno benissimo anche loro che non esiste alcuna norma, ordinaria
o costituzionale, che lo preveda. Chi agisce male, pensa male e scrive anche
peggio. Che cosa penserebbe una ragazza se il suo fidanzato, anziché “ti amo”,
le dicesse “non spetta a me omettere di amarti”? (…). Stanno così le
cose in questo disastrato paese. In un altro “pasticciaccio” – in un
famoso lodo – venne fuori che il pronunciamento di un organo giudicante del bel
paese fosse preso “paro paro” dagli appunti vergati in uno studio privato di una
delle parti in causa. Tale è l’ignonimia che regna diffusa nel bel paese. E c’è
pure chi oggi asserisce di vedere il trionfo del buon diritto che sconfigge la
cosiddetta antipolitica. È un imbroglio: l’antipolitica è la pratica in uso
dalla politica condotta con altri mezzi. Ovvero dalla cattiva politica. Scrive
Franco Cordero – la Repubblica, “La
geometria del diritto” -: (…). Dall’estate pendeva un ricorso del
Quirinale davanti alla Consulta, contro i pubblici ministeri palermitani in una
causa assai grave, dove s’intravedono fondi cupi della recente storia d’Italia.
(…). La Corte doveva scovare nella Carta un equivalente dell’art. 4 Statuto
albertino («la persona del Re è sacra e inviolabile»). Solo così il Presidente
non sarebbe mai ascoltabile, fuori della cerchia in cui parla, salvo che vi
consenta graziosamente: (…). Trovare la norma ossia cavarla dal testo, perché
vigono solo fonti scritte, era compito erculeo: non esistono testi adoperabili
a tale fine; e l’arte ermeneutica ha delle regole. Dal fatto che il Presidente
non risponda penalmente degli atti d’ufficio (art. 90 Cost.) non è seriamente
arguibile il tabù su emissioni verbali private (...); né possiamo arguirlo
dalle funzioni enumerate nell’art. 87; chi lo tenti cade nel vaniloquio. (…).
La Carta è muta in proposito e i lavori preparatori non lasciano dubbi sul
disegno dei costituenti: avevano in mente una figura laica, senza cascami
d’ancien régime; gli negano l’immunità processuale che, senza fondamento,
l’attuale capo dello Stato rivendica. Le prerogative esistono in quanto una
norma le definisca. Non hanno più corso i misteri covati dalla ragion di Stato
(…) ed è manovra reazionaria ogni tentativo d’esumarli. I deliberanti devono
essersene resi conto, perché muovono un passo laterale puntando sull’art. 271
c.p.p. Infelice mossa del cavallo. L’art. 271 contempla due casi diversi dal
nostro: intercettazioni illegalmente eseguite (comma 1); e quando parli un
obbligato al segreto (c. 2). Qui nessuna norma codificata vietava l’ascolto, né
esistevano segreti (il conversante avrebbe guadagnato simpatia politica svelando
i contenuti, anziché nasconderli strenuamente, con qualche gesto eccepibile: ad
esempio, attribuendosi inesistenti poteri da organo censorio d’atti
giudiziari). L’art. 271 non detta divieti, li presuppone, stabiliti altrove, e
l’unica fonte possibile è la Carta, nella quale non ne esiste nemmeno l’ombra. Afferma
in proposito il professor Alessandro Pace – “il Fatto Quotidiano”, “Ma il Gip non è obbligato a distruggere
quelle bobine” di Silvia Truzzi - che ha difeso la Procura di Palermo
dinnanzi alla Consulta: - La mia opinione di studioso, e dico “di
studioso”, è nel senso che né l’uno né l’altro comma potessero applicarsi alla
specie. Non il secondo comma perché non sussiste l’eadem ratio per sostenere
che nella specie vi possa essere un’analogia tra il Capo dello Stato e un
avvocato e un sacerdote; ma nemmeno il primo comma, nel quale si parla di “casi
non consentiti di intercettazioni”. Esiste bensì il divieto di intercettazioni
“dirette” a danno del Presidente della Repubblica nell’art. 7, 3°comma, della
legge 219/1989, ma non esiste nel nostro ordinamento alcun divieto
d’intercettazioni indirette. Lo ha detto la stessa Corte Costituzionale nella
sentenza 390/2007 con riferimento alle intercettazioni dei parlamentari
interpretando l’art. 68 Cost. E lo si deve ripetere anche per il citato art. 7,
per la semplice ragione che le intercettazioni casuali costituiscono un fatto
fortuito, e i fatti fortuiti non possono essere né imposti né vietati. Se ne
possono disciplinare le conseguenze, ma non i fatti in sé e per sé -. È
questo lo stato dell’arte nel bel paese. Continua a scrivere il professor
Cordero, impareggiabile erudito in materia costituzionale: Pour cause i comunicanti tacciono
sull’art. 7, l.
5 giugno 1989 n. 219, invocato dal Quirinale: «I provvedimenti che dispongono
intercettazioni» sono ammessi solo nei confronti del sospeso dalla carica; non
è norma applicabile qui (non era lui l’intercettato, né pendono accuse votate
dal Parlamento in seduta comune). Vale il regime delle voci fortuitamente colte,
non equiparabili all’intercettazione mirata (le distingue l’art. 6 l. 20 giugno 2003 n. 140 a proposito dei
parlamentari). (…). Meno forbito, il comunicato esige l’immediata distruzione
dei materiali sacrileghi (…): la ordini il giudice, e sia eseguita
clandestinamente; nessun estraneo deve vedere o udire, meno che mai
gl’interessati al processo. Non stupisce sentirlo dal soi-disant inviolabile,
ma sono parole della Corte chiamata a custodire le norme fondamentali, quasi
avesse dimenticato gli artt. 24 («la difesa è diritto inviolabile in ogni stato
e grado») e 111 Cost., dove il contraddittorio figura due volte, requisito
immanente. (…). Abbiamo sotto gli occhi una decisione esemplare, in senso
negativo, rincresce dirlo: vi spirano nostalgie del segreto; sottintende la
mistica delle prerogative; tira in ballo un inesistente limite istruttorio
(art. 271 c.p.p.); e incredibile, viola norme costituzionali sul
contraddittorio. Ormai sa d’ipocrisia aspettare i motivi: quando anche li
compili un mago dialettico, il quadro resta; quel comunicato chiude la Corte in
gabbia. Fossero in ballo interessi disponibili, diremmo: ogni tanto capita; non
era buona giornata. Stavolta l’evento pesa in sede culturale e politica. Era
l’ultimo accidente augurabile all’Italia devastata dai quasi vent’anni
d’egemonia berlusconiana. Ritorno al professor Pace. Domanda Silvia
Truzzi: Vuol dire che i pm avrebbero dovuto staccare il registratore non appena
riconosciuta la voce di Napolitano? - Significa proprio questo. Il che urta però
con la consolidata giurisprudenza della nostra Corte di Cassazione secondo cui
è legittima la captazione accidentale di una conversazione rilevante come
notitia criminis o come prova in un processo penale. Mi chiedo: e se in un
futuro lontano venisse casualmente intercettato il Presidente della Repubblica
le cui parole facciano sospettare l’esistenza di fatti configurabili come alto
tradimento o attentato alla Costituzione nei quali egli sia implicato, cosa
dovrebbe fare il pm? Distruggere seduta stante il file e dimenticare
l’accaduto? -. Semplicemente è questa l’arte dell’antipolitica nel bel
paese. Sol che se ne voglia accettare l’esistenza, ma a ruoli rovesciati: ove
l’antipolitica è la cattiva politica condotta con simili ed altri sinistri mezzi.
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