“Sono tornata nella bella città
lucana, patrimonio della Umanità, dopo molti anni. Il primo pensiero su tale significativa residenza era
stato dettato dai ricordi fermi nella mia mente e nel mio cuore, dall’ultima visita. Nell’oggi
sono stati resi più reali, più coinvolgenti”. Inizia così la bellissima
memoria di viaggio di Carolina Benincasa. È che ho sempre desiderato essere un “viaggiatore”,
o un “viandante” per dirla con Galimberti, anziché un “turista” come si suol
essere oggi. Poiché c’è una bella differenza non tanto e non solamente nei
termini d’uso. Viaggiare è ben diverso che fare il turista. Viaggiare è una
partenza che non pensa alla meta ultima ma che anela a vedere e scoprire tutte
le meraviglie che ci sono tra la propria casa e la meta prefissata. Il
viaggiatore vive il viaggio e si avvicina alla meta con animo pieno del senso
della ricerca e della conoscenza. È così che ho immaginato Carolina nel Suo
viaggio. Un approssimarsi alla meta scoprendone al contempo tutto ciò che la
precede e che ne fa un seguito geografico, etnico, antropologico. Ed allora mi
sono ricordato di una bellissima altra corrispondenza, del professor Umberto
Galimberti per l’appunto – “Le ragazze
con l'asinello” sul settimanale “D” del 25 di settembre dell’anno 2010 -.
Ha scritto il professor Galimberti: "Io sono un viandante, diceva
Zarathustra al suo cuore. Infine non si vive se non con se stessi"
(Nietzsche). Tutti noi viaggiamo, ma, (…), non siamo "viandanti", ma
semplici "viaggiatori" diretti in un Luogo, che non sanno nulla dei
paesaggi che li separano dalla meta, puri interluoghi tra una partenza e un
arrivo. (…) Ma per noi, che a differenza del viandante, "viaggiamo",
che ne è dell'intervallo tra l'inizio e la fine? Che ne è del cammino per chi
vuol arrivare? Per chi vuol arrivare, per chi mira alle cose ultime, ma anche
per chi mira alle mete prossime, del viaggio ne è nulla. Le terre che egli
attraversa non esistono. Conta solo la meta. Egli viaggia per "arrivare",
non per "conoscere". Così il viaggio muore durante il viaggio, muore
in ogni tappa che lo avvicina alla meta. E con il viaggio muore l'Io stesso
fissato sulla meta e cieco all'esperienza che la via dispiega al viandante che
sa abitare il paesaggio e, insieme, al paesaggio sa dire addio. (…). Inutilmente
la via ha istituito viandanti, le nostre orecchie sono sorde alle loro voci e a
quelle dei luoghi, le sirene della "meta" e del "ritorno"
hanno cancellato ogni stupore, ogni meraviglia, ogni dolore. (…).” È
così che mi piace pensare Carolina nel Suo viaggio per i Sassi di Matera. Ella viaggia
non per "arrivare", ma per "conoscere". Prima
e dopo. Mi piace pensarla proprio così. Oggigiorno trionfa il “turista”. A me
sarebbe piaciuto essere il “viaggiatore”, il “viandante” del professor
Galimberti. Ritorniamo alla memoria di viaggio di Carolina Benincasa. “È
sera quando giungo presso uno dei tanti “affacci”, per vivere il Sasso
Barisano. Non sono molti i turisti ma tutti, al mio pari, vengono rapiti dallo
strano magnetismo che tali costruzioni emanano, avvolgendo lo spettatore,
penetrando in esso. Una sensazione forte e tenera al contempo che mi
lascia attonita ed immobile nell’ammirare
quell’insieme di costruzioni ove i vari livelli sembrerebbero essere una tradizionale
realtà urbana come si può evidenziare in
molti centri arroccati lungo i
crinali dei colli. Ma… Dopo un più attento esame si percepisce in tutta la sua
complessità, la reale struttura che rende sì magico il Sasso Barisano (etimo di
incerta origine). E questa convivenza
così stretta che rende il paesaggio compatto, quasi fosse una sola dimora,
paragonabile ad un gigante che non incombe sul visitatore ma lo avvolge in un abbraccio
tenero eppur forte, deciso come le braccia dello innamorato che racchiude la
sua amata con la tenera forza dell’amore. È un messaggio vivo, quasi telepatico
che raggiunge tutti i sensi degli astanti. Le luci poste ad
illuminare tale realtà
contribuiscono a rendere le
sensazioni ancora più magiche. A
stento riemergo da
questo sogno, ma non del tutto, la
magia continua quando mi inoltro
tra le vie del Sasso. Le stradine
strette, pulitissime, rese ancora più suggestive dalla scelta
delle luci dei lampioni che sottolineano, nascondono e rendono luminosa la
pavimentazione resa quasi preziosa come il marmo, grazie alla molta frequentazione.
Il silenzio non incombe, ma difende
quelle vetuste mura che narrano, in
assenza di rumori, il loro
andar nel Tempo. Se la luce
artificiale dei lampioni rende ancor più
suggestivo il cammino per il
Sasso, il giorno non riduce la
magia, la rende solo diversa. Il mattino che si era annunciato
con una nebbia bianca che, pur
lasciando intravedere il sole
poteva anche trasformarsi in pioggia, mi
regala un sole
quasi estivo. La visita diurna di tale patrimonio conferma la magia della sera, rivelandomi particolari:
qualche scorcio della gravina che si intravede da un vico, una cisterna che
serviva per il vivere
quotidiano, sita all’interno
della dimora, la cortesia e
l’ospitalità dei rari abitanti. Ancora
una
volta questo sito doveva
affascinarmi, stupirmi. Come ho già
accennato, Matera annovera non
solo il Sasso su descritto, ma anche le Chiese Rupestri costituite da
caverne distribuite lungo
la parete rocciosa
che si erge
a strapiombo su
una valle fluviale, in fondo
alla quale scorre il torrente Gravina. Furono scelte
come abitazioni e
luogo di culto dai frati greco-ortodossi che non si
limitarono ad antropizzarle, bensì adornarono le pareti di tali
grotte con immagini religiose nello inconfondibile stile pittorico.
Vernissage che, se pur datato, non ha certo perso il Suo fascino attraverso i mille anni di
Storia che essi
hanno percorso. Volendo ammirare in uno sguardo d’insieme le due realtà, mi reco in località Murgia Timone, un
pianoro ove il paesaggio dei
Sassi sembrerebbe quasi nascosto;
infatti si intravedono solo le “dimore” del Sasso Caveoso, le Chiese
Rupestri, poste nella zona alta
della Murgia ed il Sasso Barisano rimane nascosto ai miei occhi. Per poter
gioire della vista globale di questo
unico e suggestivo Patrimonio dell’Umanità, devo attraversare un prato di
asfodeli, alle cui basi si possono ammirare moltissime specie della macchia
mediterranea erbacea originaria quale tarassaco, malva che donano un aspetto variopinto al sentiero che
mi conduce sull’orlo della rupe, dalla quale
ammiro un paesaggio, talmente suggestivo
da suscitare in me profonda commozione. Non so quanto sono rimasta davanti a
tale quadro. Il Tempo si era fermato. In fondo alla valle correva, verso il
mare, la Gravina”.
*Memoria di viaggio tratta dal testo di Carolina Benincasa “Viaggio misterico nella magia della città dei sassi” edito da Atrimedia (2011). Per gentile concessione dell’Autrice. Carolina Benincasa si è
laureata in Economia. È docente di climatologia ed etnoantropologia presso
l'Università Verde e di Geografia Economica negli Istituti Tecnici. È Autrice
di articoli aventi per tema l’Archeologia industriale. Ha ricevuto premi
internazionali per la saggistica, la
poesia e… la cucina, intesa come momento geo-etno-antropico e storico. È
Consigliere Nazionale dell'Archeoclub. È presidente regionale e provinciale
nella sede del capoluogo calabrese. È collaboratrice della Sovrintendenza ai beni Archeologici e della
Sovrintendenza ai Beni mobili ed immobili. È collaboratrice della Società
Dante Alighieri.
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