"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 14 settembre 2025

Lastoriasiamonoi. 98 Michele Serra: «C'è un quid di ipocrisia, nella gentilezza? Sì, certo che c'è. Ma anche l'ipocrisia fa parte degli attrezzi necessari alla manutenzione della civiltà».


La democrazia è di tutti. La dittatura, solo di qualcuno. Una sola fazione che pretende di rappresentare un intero popolo. Un solo capo che decide per tutti e da tutti pretende le stesse idee, gli stessi comportamenti, gli stessi simboli, la stessa uniforme. Ogni 25 aprile, dal 1945, festeggiamo la restituzione dell’Italia a tutti gli italiani, dopo il lungo sequestro fascista. Si usciva in strada, in quella primavera, come se finalmente si fossero riaperte le porte del tempo. La coda insanguinata della guerra ancora frustava le città, le case e i campi. Ma entrava l’aria, dopo lunghi anni rinchiusi e provinciali. Cominciava l’epoca della libertà di parola, dei diritti politici e sindacali, del voto delle donne, dell’unità europea, dopo il ventennio della censura, delle violenze contro gli oppositori, dell’esaltazione nazionalista, del mito della virilità, della discriminazione politica, della persecuzione razziale, infine della guerra al fianco dei nazisti. Fu così generosa e fedele ai suoi princìpi, la democrazia, che consentì ai neofascisti, i suoi nemici appena battuti, di sedere in Parlamento. Niente marca la differenza, tra il prima e il dopo, come la decisione di lasciare posto, voce, diritti politici a chi non li aveva lasciati ai suoi nemici. Il patto era che non riorganizzassero ufficialmente il Partito Nazionale Fascista. Lo fecero ufficiosamente. Furono tollerati. Oggi festeggiamo anche quella scelta. Nella sua imperfezione, perfino nella sua debolezza, la democrazia ci salva dal mito totalitario della purezza e dell’uniformità. È anche la casa dei suoi nemici. È la patria di tutti. Anche di quelli che non la capiscono e non le sono grati. In questi lunghi ottant’anni molti dei buoni propositi dei costituenti non si sono realizzati. Il fumo della retorica (anche la democrazia, come la dittatura, purtroppo ne produce a tonnellate) non basta a coprire le omissioni e le delusioni. Rispetto ai passi energici di quei ragazzi e ragazze in camicia e fazzoletto, con il mitra e senza, che ogni 25 aprile rivediamo in fotografia, c’è più stanchezza. Ma la sostanza – la democrazia è di tutti, il fascismo fu un sequestro di patria – ha retto, e ha retto bene. Anche a prove durissime, come le stragi nere e il terrorismo rosso. Ha retto perché la libertà, alla fine, è un’idea semplice e chiara. Più semplice e più chiara del nostro incerto cammino. (Tratto da “La democrazia è libertà” di Michele Serra pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 24 di aprile dell’anno 2024)

“State allegri è la fine del mondo”, testo di Michele Serra pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” di oggi, domenica 14 di settembre 2025: «Non si sa dove andremo a finire», dicevano le persone bene educate e di buoni princìpi, quando ero ragazzo, di fronte alle turbolenze dell'epoca. La nuova disinvoltura sessuale, gli scioperi operai, i cortei studenteschi, la minigonna, i capelloni, le prime parolacce in televisione, ogni sconquasso piccolo o grande che minacciava di far deragliare le vecchie consuetudini (alcune delle quali, poi, effettivamente deragliate) erano l'innesco di quell'amaro sconcerto: di questo passo, non si sa dove andremo a finire. È il "signora mia" di Arbasino nella sua quintessenza, l'eterna complicità tra gli spettatori impotenti di ogni epoca, la piccola gente che borbotta spaventata, o indignata, perché il mondo le cambia sotto i piedi senza neanche averla avvertita prima. Beh, ve la dico tutta d'un fiato: il mio terrore è invecchiare (o essere già invecchiato) borbottando a mia volta «non si sa dove andremo a finire». Nei momenti di maggiore lucidità, o di minore vanità, mi guardo con sospetto e intravvedo il perbenista democratico che si mette le mani nei capelli perché il mondo, dannazione, ha deciso di non dargli più retta. Ah, signora mia, quel Trump! E quel Milei, con quella pettinatura! E quel Netanyahu, un pazzo che traccia i confini con la Bibbia! E quel Putin, con la sua fanteria che uno ne ammazzi, cento ne arrivano, sa come sono i russi! E i nazionalismi, le guerre, le picconate al welfare, l'intelligenza artificiale che già governa il mondo e non ce lo dicono, e i droni che ormai li fanno piccoli come mosche e ti ammazzano entrando dall'orecchio, e quei miliardari cafonissimi che non pagano le tasse e con la refurtiva si comperano Marte, e la fine di ogni inibizione e ogni regola democratica, e il bavaglio alla libera stampa, e le fake news, e la magistratura sotto tiro, e i cinesi che si sono mangiati l'Africa, e l'Europa che conta come il due di picche: dove andremo a finire, di questo passo? Intendiamoci: il precedente elenco (a partire dall'orrido Trump) ha ben poco di fantasmatico, molto di realistico. Non è una forma di paranoia democratica a ingigantirlo, è lo scenario politico di un'epoca - questa - che predilige i mostri, siamo in una fase splatter del grande spettacolo del mondo, dal "vieni avanti, cretino", siamo passati al "vieni avanti, Godzilla". Che a pensarci bene è perfino peggio di "vieni avanti, fascista", perché i fascisti già li conosciamo, i mostri sono sempre un'incognita. Ed è perfettamente vero che i diritti umani, la democrazia e la libertà sono sotto attacco, ovunque nel mondo e in qualunque forma si manifestino. Tutto vero, e tutto molto minaccioso. È la mia (la nostra?) reazione, che voglio mettere in discussione. È la mia (la nostra?) postura psicologica che necessita di una urgente risistemata. Di fronte ai mali del mondo e al loro febbrile aggiornamento, quanto vale e a che cosa serve la lagna perenne, la lagna come riflesso pavloviano, le braccia allargate e gli occhi al cielo? È perfettamente vero che non si sa dove andremo a finire, ma finirci con la faccia contrita, con questo mood ferito e impotente, magari è una cosa che si può evitare - per la serie: se non possiamo impedire la fine del mondo, magari facciamoci trovare in buono stato, quando arriva. Non prostrati e ploranti, ma in ottima forma, e sorridenti. Le persone democratiche (dicitura da interpretare in senso lato) smettano il lutto e la piantino di lamentarsi, pensino piuttosto a come organizzarsi la vita in modo da risultare meno vulnerati e dunque meno vulnerabili. Meno offesi, meno indignati, meno esclusi dai giochi. In ultima analisi: meno sbalorditi e perfino più contenti di vivere proprio qui e proprio ora - anche perché non è che ci siano molte alternative, al qui e ora. E forse, in virtù del miglioramento dell'umore, più energici, e con qualche possibilità in più di non soccombere; e addirittura di ricominciare a vedere vincere la loro parte politica, considerando che il palmarès della democrazia "in progress", facendo i giusti conti, non è poi così risicato. Di vittorie alle spalle il campo progressista ne ha a bizzeffe, tante quante ne dovrebbero bastare per avere voglia di tornare a vincere anche solamente passando in rassegna la bacheca: diritti della persona, diritti sindacali, ammortizzatori economici, salute pubblica e protezione civile, negli ultimi cento anni qualche passo in avanti è stato fatto. E adesso che arriva Godzilla, per distruggere la città dei diritti tutta intera, per quanto è lunga e larga, gli ci vorrà un bel po' di tempo. Tanto di quel tempo che nemmeno se lo immagina. Entrati nell'ordine di idee di levarsi di dosso, proprio metodologicamente, il malumore costante, proviamo a dare, per prima cosa, una piccola pezza d'appoggio etica a questa necessità. L'umore buono (che è molto di più del buonumore) non sarà immorale, messo a confronto con gli scandalosi dolori del mondo? Ogni sopravvissuto sa che c'è un senso di vergogna, nella sopravvivenza. Facciamo parte del novero degli scampati, noi occidentali delle ultime generazioni. E il benessere (quello materiale e quello dello spirito) non può che aggravarlo, questo senso di vergogna. A parte gli insensibili e gli stolti, non c'è chi non provi un'ombra di colpa quando passa in rassegna gli orrori che scorrono a rullo nei telegiornali mentre si sente al sicuro, magari con un bicchiere in mano, la tavola già pronta per gli amici e l'ultima luce dell'estate, là fuori, che riempie lo sguardo. Però, attenzione: c'è anche un senso di responsabilità, nella sopravvivenza. Se è un privilegio, e lo è, bisogna esserne all'altezza. Bisogna meritarselo. Possiamo dilapidarlo, questo privilegio, passando le giornate a lamentarci di questo e di quello (in genere fesserie, al cospetto della mattanza di Gaza, delle trincee ucraine, dei battelli che si rovesciano nel Mediterraneo). Si può ignorare la grazia di stare bene, poter parlare, scrivere, leggere, nutrirsi a piacimento, dormire nel proprio letto, frequentare città senza case sventrate e crateri, viaggiare per mare senza colare a picco, stare con gli amici. Si può fare finta che sia normale, vivere in pace e addirittura godersi la vita. Ma è proprio lo spettacolo delle distruzioni in corso a dirci che stare bene e sentirsi al sicuro non è per niente scontato. Non ci è dovuto. È una fortuna che dobbiamo onorare. Al diavolo dunque il senso di colpa: ci impedisce di fare buon uso del nostro tempo (in tutti i sensi: il nostro tempo di vita individuale e il tempo in cui viviamo). Ci rende noiosi a noi stessi e, quello che è peggio, inutili agli altri. E anche troppo prevedibili nelle conversazioni - attenti, che poi nessuno ci invita più a cena. Ecco un piccolo elenco (ognuno ha il suo) di cose da fare, e provvedimenti da prendere, per vivere meno abbacchiati, meno depressi e meno deprimenti, meno sulla difensiva e con qualche ragione di conforto che possa contagiare anche gli altri. Senza nessuna pretesa didattica o manualistica, solo per inquadrare un poco meglio l'argomento "basta lagnarsi!". Dosare l'indignazione. La persona di sinistra considera sempre obbligatorio indignarsi, una specie di dovere civico, ma attenzione: indignarsi per Gaza, o per la deportazione russa dei bambini ucraini, è un conto. Ma indignarsi per l'ultima dichiarazione di Vannacci, che pensa e dice le stesse antiche risapute frescacce dell'uomo qualunque sugli omosessuali e su tutto il resto; o perché sempre più spesso, facendo zapping, confondi la Rai con Retequattro; o perché Santanché e la sua borsetta non si sono ancora dimesse; no, non è il caso.