"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 6 aprile 2025

CosedalMondo. 40 Marco Travaglio: «C’è una terza ipotesi: che vogliano semplicemente abituarci all’idea della terza guerra mondiale come a un normale tran tran di routine, tipo i weekend fuori porta, le vacanze estive e natalizie, i picnic di Pasquetta».


(…). C’è una terza ipotesi: che vogliano semplicemente abituarci all’idea della terza guerra mondiale come a un normale tran tran di routine, tipo i weekend fuori porta, le vacanze estive e natalizie, i picnic di Pasquetta. Infatti ne parlano con grande nonchalance in ogni discorso e nelle risoluzioni che fanno votare agli allocchi Pd&FI. E, siccome il popolo si ostina a rifiutare il riarmo, hanno incaricato i loro trombettieri di inventarsi dei padri nobili per giustificarlo. I serrapiattisti hanno scomodato le buonanime di Spinelli, Colorni e Rossi per mettere loro in bocca cosa mai dette né pensate. I catechisti a mano armata confondono i Vangeli con le Sturmtruppen. E Rep spara un bel titolo civettuolo: “L’Italia scopre il fascino del bunker. ‘Superiamo la paura dell’atomica’. Cosa c’è in un rifugio antiatomico privato: un alloggio a prova di bomba. Record di richieste per farsi costruire ricoveri in casa”. A parte il fatto che l’unico da ricovero è chi inventa quella robaccia, chi di voi non sogna di murare porte e finestre di casa per vivere il resto dei suoi giorni in un grazioso e arrapante cubo di cemento armato? Sentite che figata: “Camere da letto, bagni, soggiorno e zone fitness tra 1,5 e 5 m. sottoterra, porte blindate pesanti fino a 400 kg. in ferro e calcestruzzo, sale di decontaminazione con doppie porte e docce, aree per stoccaggio di cibo e acqua, sistemi elettrici di emergenza attraverso l’uso di cyclette (tocca pedalare, ndr), sistemi di smaltimento rifiuti e decomposizione”. Prezzi modici: “Dal modello base da 85 mila ai più cari da 1 milione che possono ospitare anche veicoli”. Per raggiungere il più vicino reparto psichiatrico. (Tratto da “Fascino da bunker” di Marco Travaglio pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, sabato 5 di aprile 2025).

E poi c’è quel “tale illustre” che enfatizza la “guerra” come salvacondotto per liberarsi, il povero uomo d’oggi, dalla noia e da quant’altro, donde scrive – certamente senza ripensamento alcuno - che la «guerra è uno straordinario strumento per scaricare l’aggressività che è essenziale alla vitalità. Se si comprime troppo l’aggressività, poi saltan fuori “i delitti delle villette a schiera” come li ha chiamati Guido Ceronetti. La guerra è uscita dalla noia, dal tran tran quotidiano».

“Groenlandia, grande gioco nell’Artico”, testo di Barbara Spinelli pubblicato su «il Fatto Quotidiano» del 3 di aprile 2025: L’avvenire della Groenlandia e delle popolazioni Inuit che la abitano non sembra smuovere oltre misura l’Unione europea, nonostante l’importanza crescente che l’isola sta acquisendo a causa dei minerali preziosi, del petrolio, del gas naturale, che lo scioglimento dei ghiacci renderà estraibili. E nonostante il suo rapporto di dipendenza dalla Danimarca. Trump vorrebbe accaparrarsi l’isola, la più grande del pianeta, pensando a quel che gli Stati Uniti potrebbero ricavarne: non solo terre rare e fonti energetiche ma anche la possibilità di una via di passaggio tra America e Asia, tale da rendere meno rilevante il Canale di Suez (…). Trump fantasticò l’annessione o acquisto già nel 2019, entrando in competizione con altre potenze, grandi e medie, mosse dagli stessi interessi: Russia, Cina, Canada. Un Grande Gioco geopolitico attorno all’Artico, che potrebbe anche degenerare in scontri violenti e ulteriori dissesti climatici. In Terrore, appunto. Intanto l’Unione europea tace, incredula. Anche la grande stampa europea dedica poca attenzione al Grande Gioco Artico: si limita a dissennatamente trasecolare e sorprendersi, giudica assurdo il progetto di Trump. Non così Mosca, che da decenni pensa alla penetrazione dell’Artico. Il 27 marzo Putin si è soffermato sulla questione, parlando a Murmansk nel Foro Artico Internazionale e ricordando a chi non se ne fosse accorto che le ambizioni statunitensi hanno “radici storiche lontane”, che “vanno prese sul serio”, e che anche Mosca ha interessi da difendere nella regione. Contrariamente a quello che affermano alcuni, Mosca non appoggia le mire statunitensi. Si limita a prenderne atto, nella qualità di potenza rivale ma non contraria a cooperare: “Purtroppo, anche la competizione geopolitica e la lotta per le posizioni in questa regione si stanno intensificando (…) È un grave errore considerare (gli interventi di Trump) come discorsi assurdi dell’amministrazione Usa. Niente di tutto questo. Washington aveva piani simili già nel 1860. Già allora, l’amministrazione valutava la possibilità di annettere Groenlandia e Islanda”. Putin aggiunge che la guerra in Ucraina e l’aggressività della Nato impediscono una cooperazione internazionale sull’Artico che permetta lo sviluppo della Groenlandia senza fatalmente danneggiare il clima, già molto compromesso. Nel 2022 la Russia è stata esclusa dal Consiglio Artico creato nel 1996, pur essendo il paese più artico della terra e partner cruciale per le ricerche scientifiche e il monitoraggio dei fondali. Solo l’Islanda ha deciso, saggiamente, di proseguire i lavori di ricerca iniziati con Mosca. Gli Stati europei sanno poco di quest’isola, che fa parte della Danimarca pur avendo ottenuto in due fasi, nel 1979 e nel 2009, un’autonomia molto estesa (politica estera e difesa restano nelle mani danesi). Ignorano il carattere indipendente e ribelle del suo popolo, per l’89 per cento composto di Inuit, e il legame che esso ha – come in Canada, nel Nord degli Stati Uniti, nel Nord Ovest della Russia – con la natura e con miti ancestrali. La Groenlandia fu conquistata attorno al 1720 dalla Danimarca, e gli Inuit furono colonizzati, cristianizzati, assimilati, “modernizzati” con la forza. Per secoli Copenaghen ha occultato la violenza del proprio colonialismo, descrivendolo come specialmente mite, inclusivo. Da qualche anno tuttavia sta emergendo una verità più cupa. Crescono di conseguenza le spinte indipendentiste, nei vari partiti groenlandesi, e il desiderio di seguire l’esempio dell’Islanda, che nel 1944 votò l’indipendenza dalla Danimarca occupata dai nazisti. Anche la Groenlandia prese allora le distanze dall’Europa, e fu temporaneamente attratta da un’alleanza con gli Stati Uniti. L’indipendentismo di Nuuk, capitale dell’isola, cominciò a affiorare nel 1982, con un referendum che sancì la sua uscita dalla Comunità europea. Proprio perché lungamente negata, la violenza degli ex colonizzatori si è protratta fino agli anni 70 del secolo scorso. Non solo è sempre esistita una diseguaglianza salariale, tra nativi e coloni danesi. Non solo le tre varianti della lingua inuit furono per molto tempo vietate, e le tradizioni religiose precristiane represse. Quel che pesa di più, nelle memorie groenlandesi, è stata la politica danese di riduzione forzata della natalità inuit, applicata fino a pochi decenni fa. In particolare va ricordata la campagna sui contraccettivi, applicata su larga scala fra il 1966 e il 1970. Spirali intrauterine venivano inserite nelle donne in età fertile, molto spesso a loro insaputa e comunque senza chiedere il loro consenso: circa la metà delle donne groenlandesi fu sottoposta al trattamento. Lo scrittore Peter Harmsen evoca in un articolo per la Bbc l’accusa formulata lo scorso dicembre dal premier groenlandese Múte Egede: “Fu un palese genocidio, quello attuato dallo Stato danese”. Altra ferita inferta da Copenaghen tra gli anni 50 e 70 del Novecento: il sequestro di circa 1600 bambini, sottratti alle madri e affidati a genitori adottivi danesi. “Forgiamo una nuova élite”, ci si vantava nei palazzi del potere. Ne parla in più romanzi lo scrittore francese Mo Malø. In alcuni casi le sottrazioni avvenivano senza il consenso delle madri biologiche. In altri, le madri non venivano informate del fatto che il legame con i figli sarebbe stato completamente tagliato. Solo da qualche anno la Danimarca comincia a fare i conti col proprio passato. Questo non significa che la Groenlandia sia pronta a passare sotto il controllo degli Stati Uniti, che dispongono nell’isola di una potente base antimissili (Thule). L’85% della popolazione è contraria, solo il 6% è favorevole. “La Groenlandia non è in vendita”, ripetono i partiti politici. Ma soprattutto, gli isolani vorrebbero preservare lo Stato Sociale di cui godono grazie al rapporto difficile ma proficuo con la Danimarca, e alle cospicue sovvenzioni versate da Copenaghen: 520 milioni all’anno. Un buco che Usa, Russia e Cina prometterebbero di riempire con forti investimenti, ma che Nuuk guarda non senza diffidenza. La Groenlandia non vorrebbe dipendere da nessuno, al momento. Si barcamena nel Grande Gioco dell’Artico. Ma una cosa è certa. Le sue popolazioni sono estremamente allarmate per il disastro climatico e lo scioglimento della calotta artica. Non vogliono che l’estrazione dei minerali preziosi e del petrolio intossichi la loro terra. Nel 2021, il governo ha bloccato l’estrazione di uranio e terre rare a Kvanefjeld, su pressione della popolazione. Nonostante le ferite inflitte dagli ex colonizzatori, gli europei potrebbero proteggerli dal dissesto naturale più efficacemente di Russia, Cina e Stati Uniti. Se solo smettessero la frenesia bellica e riavviassero la cooperazione artica con Mosca, Pechino e Washington, potrebbero divenire l’alleato meno infido della Groenlandia, perché più sensibile al collasso del pianeta.