Per chi non avesse a mente il
pregevolissimo lavoro cinematografico di Ettore Scola “C’eravamo tanto amati”, lavoro che è memoria di un paese che è
stato e che non c’è più, lavoro che andrebbe recuperato alla memoria collettiva,
“
interessa? “ è la perentoria domanda che un venditore di accendini e di
quant’altre cianfrusaglie poneva agli avventori squattrinati della “ Osteria
della mezza porzione “ in una Roma del primo dopoguerra. Oggi la
domanda dovrebbe essere posta in questi termini: “interessa” sapere cosa
sta avvenendo nel campo della economia globalizzata, della finanziarizzazione
sfrenata, senza limiti, della vita e del destino di milioni e milioni di
inconsapevoli cittadini di questo pianeta chiamato Terra? “Interessa” saperlo, o
risulta meglio ignorare ogni cosa e continuare a credere ciecamente alle false
sirene? False sirene che, nel caso del bel paese, sono impersonate dagli stessi
reggitori della cosa pubblica, o meglio, dai cosiddetti governanti. Ma in un mondo
così complesso, nel quale non riesce facile distinguere i campi che si
contrappongono, le forze oscure che scendono in campo, cosa potranno mai
governare coloro che sono stati chiamati all’arte suprema della politica?
Purché la politica, ovvero l’arte di conciliare interessi diversi e
contrastanti in società estremamente complesse,
sia ancora e rimanga lo scopo principale di quegli uomini e di quelle
donne. Ho ritrovato, tra le mie carte, una interessante riflessione sulla
condizione dei prestatori di manodopera nel mondo della globalizzazione a firma
del professor Umberto Galimberti che ha per titolo “Sul mondo del lavoro“, che di seguito trascrivo: (…).
La
crisi che stiamo attraversando è stata generata dall'economia finanziaria che,
a differenza dell'economia industriale, non ha davanti agli occhi persone in
carne e ossa, biografie, famiglie legate al reddito da lavoro, ma solo flussi
finanziari, che vorticosamente si muovono per creare profitto nel minor tempo
possibile. I rappresentanti di questa economia generalmente non si suicidano o,
se lo fanno, è solo per il loro collasso economico a cui era legata la loro
identità. Nessun pentimento e nessuna considerazione per gli effetti che la
loro brama di denaro ha determinato nella vita reale di imprenditori e di
operai che operano nell'economia industriale, a cui le banche, che parlano più
volentieri con gli operatori della finanza che con gli imprenditori bisognosi
di prestiti, hanno per giunta sottratto ossigeno. A questa considerazione
aggiungiamo il fatto che l'economia da locale o nazionale è diventata globale,
con progressiva perdita delle relazioni umane e anche affettive che sono sempre
esistite tra il datore di lavoro e i suoi lavoratori, quando questi mostravano
competenza, professionalità, attaccamento al lavoro. La globalizzazione ha
portato in primo piano il costo del prodotto che deve essere il più basso
possibile perché l'impresa possa stare sul mercato. Ciò ha comportato la dislocazione
della produzione con conseguente perdita dei legami territoriali che concorrono
a creare e ad alimentare una sorta di familiarità tra imprenditori e
lavoratori. Finanza da un lato e mercato dall'altro hanno portato in primo
piano il valore delle merci e in secondo piano, quando non del tutto
trascurato, il valore degli uomini. Di tutti gli uomini, siano essi
imprenditori o lavoratori. La lotta di classe, che in età umanistica opponeva i
due, come ben descritto da Hegel nella dialettica servo/signore, nell'età della
tecnica finanziaria o mercantile non ha più ragione d'essere, perché sia il
servo, sia il signore si trovano non più contrapposti l'uno all'altro, ma
entrambi dalla stessa parte e hanno come controparte il mercato. Ma che cos'è
il mercato? Non una volontà che si può piegare come in età umanistica era
possibile piegare la volontà del signore, ma una pura e asettica razionalità, a
cui non importa la sorte degli uomini, ma la miglior circolazione delle merci e
del denaro al minor costo possibile. Contro questa razionalità, che ha espulso
qualsiasi considerazione umana, come si fa a opporsi, con quali strumenti e con
quali possibilità di successo? Il suicidio degli operai e (…) degli
imprenditori, oltre alla dimensione tragica di un così drammatico evento, va
considerato anche a livello simbolico, e precisamente come il più evidente
segnale che dice a chiare lettere come nell'età della tecnica, che ha
definitivamente chiuso l'età umanistica, l'uomo non conta più niente, è
qualcosa di antiquato come dice Günther Anders, la cui sorte non interessa
minimamente a quel generatore simbolico di tutti i valori che oggi si chiama
denaro.”
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