Da “Alla ricerca dell'autorità perduta” di Ilvo Diamanti, pubblicato
sul quotidiano la Repubblica del 22 di agosto dell’anno 2011: Viviamo
un passaggio d'epoca. Questa crisi, infatti, non scuote solo le Borse,
l'economia, la condizione di vita della gente. Ha aggredito, con violenza,
anche il principio di autorità. Il Potere stesso, che a differenza
dell'Autorità, non ha bisogno di legittimità e di consenso. Dovunque, si
assiste alla rapida e diffusa caduta di ogni autorità. E di gran parte dei
"poteri" che regola(va)no il nostro mondo. Anzi, il mondo, in
generale. (…). La crisi finanziaria che scuote l'economia globale, (…),
riflette un'evidente incertezza di "poteri" e di regole condivise.
Nessuno che sia in grado, davvero, di prevedere e di orientare il corso dei
mercati - e delle Borse. La relazione tra finanza ed
economia è debole (per usare un eufemismo). La politica ancor di più. Si dice,
anzi, che la debolezza della politica e degli Stati sia causa della crisi delle
Borse. Prive, a loro volta, di metri e, soprattutto, "autorità" in
grado di regolarle. Le agenzie di Rating, con i loro "voti", possono
produrre (e hanno prodotto) effetti pesanti. Ma sono, a loro volta, poco
credibili, dopo la pessima prova offerta nel 2008, al tempo della crisi dei
subprimes. Il Nobel dell'Economia, Paul Krugman, sul New York Times le ha
definite, impietosamente, "clown". E ha riproposto, come prima causa
della crisi finanziaria, la debolezza della politica e degli Stati (Uniti). Una
crisi di autorità, insomma. (…). La crisi del Potere e - soprattutto -
dell'Autorità, (…), è particolarmente visibile in Italia. Dove la Politica è
debole, più ancora della Finanza e dell'Economia. Dove i leader di governo
cercano di non dar nell'occhio. Si affidano alla supplenza di altri poteri
(relativamente) più autorevoli, come la Bce. Mentre l'opposizione stenta a
trasformare l'impotenza della maggioranza in potere. A guadagnare autorità. Il
nuovo moto di insofferenza contro la casta non deriva solo dal riprodursi di un
sistema di privilegi - e di corruzione - che,
in effetti, non è mai cessato. Ma dall'assoluta perdita di autorità della
classe dirigente. Soprattutto dei leader che governano il Paese da 10 anni, in
modo quasi ininterrotto. Quelli che, fino a un anno fa, avevano trasformato
Villa Certosa nella rutilante capitale estiva del Paese. Affollata di veline e
velinari. Quelli che parlano di politica con un linguaggio antipolitico. Usano
il turpiloquio come linguaggio pubblico. E alzano il dito non per mostrare la
luna ... Come immaginare che possano riscuotere "prestigio" e
deferenza tra i cittadini? Se riproducono i vizi e le debolezze del popolo,
perché dovrebbero ottenere privilegi e riconoscimento da parte del popolo? Oggi
che la crisi minaccia la condizione economica e sociale, la vita quotidiana di
tutti? Questa fase mi pare particolarmente insidiosa. Difficile da superare. È
frustrata da un grande deficit di autorità
- e di potere. Da una grande
povertà di riferimenti etici e di comportamento. Un problema aggravato, (non
solo) in Italia, dalla scarsità di attori e persone credibili. In grado di
"dire" le parole necessarie a esprimere il sentimento del tempo. (…).
Ma, soprattutto, di tradurle in pratiche coerenti. Di dare il buon esempio.
Eddy Berselli, prima di lasciarci, ha rammentato, profeticamente, (L'economia
giusta, Einaudi) che "dovremo abituarci ad essere più poveri". Ma, a
maggior ragione, diventa importante chi e come ce lo propone. Insomma: è una
questione di autorità.
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