Scriveva Michele Prospero in “Il comico della politica. Nichilismo e aziendalismo nella comunicazione di Silvio Berlusconi”
- (2010) edito da Ediesse, pagg. 280 € 15,00 -: “(…). Il comico che irride e
dissacra è una forma espressiva che Berlusconi rende congeniale al populismo
che con il sorriso beffardo accoglie la catastrofe del sistema politico”. Ci
danno le cronache politiche ferragostane inquietanti notizie di un ritorno
sulla cresta dell’onda dell’uomo di Arcore. Sembra sfuggano alla memoria
collettiva i disastri istituzionali, materiali, morali ed etici compiuti, nella
sua incontrastata opera catastroficamente demolitoria, da quell’uomo, disastri che
hanno permeato la vita collettiva per tanti lustri e che fanno risentire ancora,
come lunga lugubre ombra, la loro funesta azione anche dopo che i “poteri forti”
d’Europa ne intimarono la resa. In “Le
oligarchie dei giri che infettano la democrazia” – pubblicato il 26 di
marzo dell’anno 2010 sul quotidiano la Repubblica - Gustavo Zagrebelsky, ad un
certo punto della Sua dotta riflessione – che di seguito trascrivo parzialmente
-, scrive, senza domandarsi: - per combattere le oligarchie, occorre
creare «momenti eroici», con le violenze e le distruzioni che li accompagnano (?)
–
. È la riproposizione del famoso “Che fare?”, che ci si pone, nel
cosiddetto popolo della sinistra, dopo ogni singola disillusione politica. O
schianto elettorale che sia. Accolta – alla luce di un incontrovertibile
principio di realtà e del buon senso - la prospettiva finale avanzata dall’illustre
Autore rispetto alla “possibilità di creare «momenti non eroici»
di distruzione delle oligarchie”, rimane, per la cosiddetta “sinistra”
sempre, l’impegno e la sfida a contrastare la deriva dirompente in atto nel bel
paese, affidati anche o soprattutto alla battaglia della “parola”. Poiché,
bisogna amaramente pur dirlo, di quelle oligarchie dei “giri” ne è infestata la
politica tutta del bel paese. Senza esclusione di schieramento alcuno. Su tutto
l’arco costituzionale, per l’appunto. È forse proprio questa tristissima
constatazione, fatta propria dall’elettorato più avvertito e “riflessivo”, che
ha determinato i risultati nel corso delle ultimissime vicissitudini politico-elettorali,
e che determinerà in seguito, permanendo la situazione dell’oggi, anche l’esito
dell’oramai prossimo esame elettorale. Con il ritorno dell’uomo di
Arcore&C. La “parola”. Rimane il primato della libera “parola” dei singoli,
come della libera “parola” dei tanti, che possa in prospettiva divenire la “parola”
appresa e fatta propria da moltitudini sempre più larghe, coscienti e
politicamente più responsabili. Affinché essa possa farsi luce, lungo un
cammino irto, nell’immediato futuro, pregno di immense difficoltà. L’impegno
della “parola”, nell’incertezza sempre più opprimente e devastante dei tempi in
cui si è chiamati a vivere ed a testimoniare:
Tra tutti i regimi politici, la
democrazia è quello che più si presta a generare e mimetizzare oligarchie.
Oggi, questa tematica è trattata parlando di caste. (…). Le oligarchie odierne,
in società di individui sciolti da appartenenze e liberi di fare di sé quel che
vogliono e di legarsi a chi vogliono, si costruiscono, si modificano e si
distruggono su moti circolari ascendenti e discendenti dove tutti si
confondono. Per comprendere la differenza, occorre partire da un po´ più
lontano, dal conflitto tra chi appartiene e chi non appartiene a un qualche
«giro» o cerchia di potere. Intendo con questa espressione – il giro –
esattamente ciò che vogliamo dire quando, di fronte a sconosciuti dalla storia,
dalle competenze e dai meriti incerti, o dai demeriti certi, i quali occupano
posti inconcepibili per loro, ci domandiamo: a che giro appartengono? I giri
sono la nostra costituzione materiale. Ci si scambia protezione e favori con
fedeltà e servizi. Questo scambio ha bisogno di ‘materia’. (…). L´asettico
«giro» in realtà è una cloaca (…). Qual è la forza che lo muove? Poiché la
protezione e i favori stanno su e la fedeltà e i servizi giù, dietro le
apparenze di allegre comunelle e della combutta innocente, si annidano
sopraffazione e violenza. Distribuendo favori, può sembrare un sistema
benefico, una forma di democrazia come potere per il popolo. Ma non è così.
Ognuno vede nell´altro solo risorse da sfruttare. Ogni giro è un crogiolo di
rivalità e ferocia e di gradini, da pestare per salire più in alto. Sul più
alto e su quello più basso troviamo solo arroganza e solo servilismo. Sugli
intermedi si è arroganti con i sottoposti e servili con i sovrapposti e mano a
mano che si sale o si scende cambia il rapporto tra arroganza e servilismo.
Padroni e servi, a tutti i livelli del giro, sono legati da patti, ma patti tra
complici. La fedeltà ai patti è garantita da favori e minacce, blandizie e
intimidazioni e ricatti. (…). Dove si alimenta la forza che alimenta i giri?
Nella disuguaglianza e nell´illegalità. Essi, i giri, tanto più si diffondono
quanto maggiore è il malessere sociale e quanto meno le leggi valgono
ugualmente per tutti. Tanta più insicurezza e ingiustizia, tanto più richiesta
di «patronato»; tanto più patronato, tante più violazioni della legge uguale
per tutti. La democrazia, mancando uguaglianza e legalità, diventa una
dissimulazione di sistemi di potere gerarchici, basati sullo scambio ineguale
di favori tra potenti e impotenti, e sulla generalizzata illegalità a favore di
chi appartiene a oligarchie. Una violazione che può essere la semplice, e
apparentemente innocente, raccomandazione o diventare associazione a delinquere
secondo il codice penale. (…). …il sistema del patronato e dello scambio di
fedeltà non può essere universale. Ci sarà sempre chi non può o non riesce a
entrarci. Innanzitutto, per ragioni pratiche. Le risorse di cui esso deve
disporre (posti, finanziamenti, favori) non sono illimitate. Per quanto si
tenda a estenderle e ramificarle (ad es. con la moltiplicazione dei posti in
enti inutili), vi sono limiti di sostenibilità, dettati dalla limitatezza delle
risorse, dall´impoverimento della società e dalla rapacità di chi sta (più in
alto) nella gerarchia. Ma c´è anche una ragione di principio. Le oligarchie dei
giri non potrebbero esistere se tutti godessero dei loro privilegi. La
generalizzazione dei privilegi è concettualmente la contraddizione delle
oligarchie. Esse, per esistere, hanno bisogno che vi sia chi ne sta fuori. Le
oligarchie portano dunque nel loro seno la contraddizione. (…). Chi non
partecipa, in una misura anche minima, al sistema dei privilegi, che cosa può
fare se non contrapporre idee generali (valori e ragioni, per l´appunto) agli
interessi dai quali è escluso? Per chi è inserito in un sistema di scambi, il
suo utile potenziale è proprio solo il suo, e tutto il resto può andare a
ramengo; per chi non vi è inserito, invece, quello che, per i primi, è quel
‘resto’ è invece l´essenziale. (…). Coloro che hanno passato la propria
esistenza, o si accingono a passarla, non come uomini liberi ma come scalatori
di luoghi dove vige servilismo e opportunismo verso i potenti e arroganza
travestita da paternalismo verso i deboli, non possono non portarne i segni sul
loro modo d´essere, di mostrarsi e di fare. Il loro è un habitus
caratteristico, che li distingue e che difficilmente possono dismettere o
nascondere. Norberto Bobbio ha parlato una volta di «promesse non mantenute»
della democrazia e, tra queste, ha messo la scomparsa delle oligarchie. Poteva,
questa promessa, essere mantenuta e non lo è stata, oppure non poteva proprio
essere mantenuta ed era quindi una falsa promessa? (…). È vero: la democrazia
come autogoverno del popolo è tanto più irrealizzabile quanto più è
idealizzata. Ma non è la stessa cosa se, per combattere le oligarchie, occorre
creare «momenti eroici», con le violenze e le distruzioni che li accompagnano,
o se basta fare appello, contro l´illegalità di cui esse si nutrono e la
segretezza con cui si proteggono, alla forza della legge applicata in modo
uguale per tutti e alla libera circolazione delle informazioni: in una parola,
alle precondizioni che permettono oneste misurazioni del consenso e del
dissenso. La democrazia è dunque forse solo questo: la possibilità di creare
«momenti non eroici» di distruzione delle oligarchie. (…).”
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