È bastato l’incipit della riflessione
proposta dal professor Umberto Galimberti sul settimanale “D” del 15 di marzo
ultimo per far emergere pensieri e ricordi che parevano essere stati sepolti
negli strati più profondi della mia memoria. Ha scritto l’illustre studioso
nella sua riflessione che ha per titolo “A
che cosa serve avere un Dio”: Più che discutere sull'esistenza o meno di
un essere supremo, conviene chiedersi se credere nella sua esistenza è di aiuto
o non è di aiuto alla vita, sempre esposta alla precarietà, afflitta dal
dolore, terrorizzata dalla morte. Sin qui quel folgorante incipit. Non so
di Voi, ma è accaduto a me qualcosa che trovavo inspiegabile. Maturando negli
anni, attenuandosi sempre di più illusioni e speranze mi sono ritrovato ad un
certo punto del mio cammino a compiere quella svolta dalla quale tutto il resto
ne è derivato. Dico che, educato ad una confessione religiosa che nel bel paese
va per la maggiore, giunto alla comprensione sempre più matura dei fatti e
degli avvenimenti della Storia, quell’abbraccio non scelto ma familiarmente tramandato
mi è parso d’improvviso come che mi impedisse un più libero respirare del mio
pensiero. Ed avvenne così che, già adolescente avanzato, ruppi quei legami che
mi avevano tenuto ancorato ad una struttura ecclesiale ed a tutta quella
creazione di ritualità che d’improvviso mi sembrarono vuote e financo
opprimenti. Ma la cosa più straordinaria è stata che quel distacco ricercato da
quella religione fattasi chiesa ha comportato un distacco dalla figura
principale di quella creazione confessionale, ovvero di quel Dio per il quale
da quel momento in poi non ho ricercato più contatto alcuno.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
lunedì 30 giugno 2014
venerdì 27 giugno 2014
Storiedallitalia. 56 “Al gran bar sport d’Italia”.
“Al gran bar sport d’Italia” non
accenna a zittirsi l’incontenibile, indecoroso, inutile chiacchiericcio
generato dalla disfatta dei cosiddetti “azzurri”. Un chiacchiericcio
insulso, vomitevole, che la dice lunga sull’impronta antropologica del
cosiddetto bel paese. Che la dice lunga anche su quella che è stata ed è la sua
Storia. Non basta sostituire le cariatidi – nel senso di “Persona che sta in silenzio,
muta, indifferente; estens. retrogrado, passatista” per come recita il
dizionario Sabatini-Coletti – che hanno per sì lungo tempo occupato gli scranni
alti del potere con le giovani e meno giovani acerbe menti della politica. Non
basta tutto ciò. L’occupazione del potere continua nello stile che sia più
consono a quell’impronta antropologica sulla quale hanno discettato in tanti,
sempre malamente sopportati ed inascoltati. Scriveva l’indimenticato,
sopportato, inascoltato Paolo Sylos Labini nel Suo “Diario di un cittadino indignato”: “La cultura è l’elemento
unificante di una società e nella cultura rientra l’arte. (…). Ma, per la
società, non meno importante è l’onestà civile della gente di ogni livello; è
l’onestà civile diffusa che rende vivibile una società. L’autostima a livello
popolare e la stima degli altri paesi sono la base dell’amor di patria e
dell’orgoglio di appartenere ad una comunità. Esortazioni, gare sportive e
festeggiamenti non sono inutili, ma senza quella base sono addirittura dannosi,
perché pongono in risalto il contrasto fra l’apparire e l’essere, e l’amor di
patria, quando c’è ipocrisia, invece di crescere diminuisce ulteriormente”.
mercoledì 25 giugno 2014
Uominiedio. 14 “Il boss e il prete”.
Sostiene il novello vescovo di Roma che “all’Inferno
ci andranno gli iniqui, i corrotti, chi vive solo per il denaro e fa male al
prossimo”. È la buona novella tanto attesa. Lo ha sostenuto in vista, forse,
della implorata “scomunica” per i malavitosi. Un bel passo avanti. Ma venendo
al merito ed alla Storia è sempre accaduto che la “scomunica” abbia riguardato
una parte del cosiddetto popolo di Dio, quello non avvezzo alla malavita. La si
è invocata ed irrogata per i più vari motivi, religiosi, politici ed anche per
il vivere coniugale o familiare non in linea con la predicazione della chiesa
di Roma. Non soccorrono occasioni per le quali si sia sentita tuonare quella
chiesa per i malavitosi che abbiano a delinquere nelle più svariate forme. È che
i malavitosi in tutte le forme hanno da sempre rappresentato il potere, la
lusinga del quale ha sempre attratto gli attori di quella religione fattasi
chiesa. Chiesa potente e nel tempo intollerante nei confronti di chi attentasse
alla sua pratica del potere pur se risultasse, quella pratica, distante assai
dall’annunciazione evangelica. E sulla “scomunica” come arma terribile per
soggiogare non già i malavitosi ma, il più delle volte, l’inerme popolo di Dio
riottoso, ne ha scritto il teologo Vito Mancuso sul quotidiano la Repubblica del
23 di giugno col titolo “La scomunica
come arma contro l’eresia criminale”.
lunedì 23 giugno 2014
Sfogliature. 26 “Chi andrà all’Inferno: i non credenti o gli iniqui?”.
“Inferno. Perché l’uomo ha bisogno che il male venga punito” è il
titolo di una riflessione del teologo Vito Mancuso pubblicata sul quotidiano la
Repubblica del 13 di giugno ultimo. È che il novello vescovo di Roma, con la
sua predicazione “assordante”, prova a mettere in forse le tante “credulità”
che le religioni ammanniscono in abbondanza. Si chiede l’illustre teologo nell’incipit
della Sua riflessione: Esiste l’Inferno? (…). Già Platone nutriva
la convinzione che l’aldilà riservi «qualcosa di molto migliore per i buoni che
non per i cattivi» (Fedone, 63 C) e Kant a sua volta ha affermato: «Non
troviamo nulla che già sin d’ora ci possa fornire ragguagli sul nostro destino
in un mondo futuro se non il giudizio della nostra coscienza, quello che il
nostro stato morale presente ci permette di giudicare in maniera razionale» (
La fine di tutte le cose ). Ma il Kant è puranco quel grande che ebbe a
dire: "Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre
nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di
esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”. Dell’infernale
problema mi ero interessato in un post del 21 di maggio dell’anno 2007 in
quella rubrichetta senza pretese che aveva per titolo “Se il divino diviene il problema”.
sabato 21 giugno 2014
Cosecosì. 83 “L’insopportabile truffa dei talk-show televisivi”.
Non so di Voi, ma da qualche anno a questa parte
vado conducendo una mia personale lotta, come un penultimo dei Mohicani, contro
il rischio della collettiva “scarnificazione del pensiero”. È che
da lungo tempo ho individuato tra i maggiori, subdoli artefici di quella “scarnificazione”
il piccolo mostro domestico. E poi, a discendere per “li rami”, i responsabili
massimi li ho individuati nei cosiddetti “talk-show televisivi”. A nessuno di
Voi sarà sfuggita l’inutilità di quelle trasmissioni di pseudo-informazione. Da
anni sono un disertore puntuale di quelle che definisco le colpevoli scempiaggini
del piccolo mostro. Non so per Voi, ma allontanare da me quelle inutili, dannosissime
trasmissioni ha comportato la riconquista di quella serenità che gli schiamazzi
e le scempiaggini ascoltate per anni e anni avevano di fatto distrutto. A questo
proposito ho trovato interessante una riflessione di Bruno Tinti su “il Fatto
Quotidiano” del 16 di maggio ultimo che ha per titolo “L’insopportabile truffa dei talk-show televisivi”.
venerdì 20 giugno 2014
Quellichelasinistra. 4 “Le mille piazze dove costruimmo la nostra identità”.
“Quellichelasinistra” che dicono che
la “sinistra” non esiste più. “Quellichelasinistra” che si sentono
come presi per i cosiddetti fondelli allorquando il pifferaio di turno blatera
che le riforme in cantiere sono come la “sinistra” non le ha avute mai. “Quellichelasinistra”
che credono che per essere veramente della “sinistra”… “come si può pensare di fare a
meno della Sinistra in una società nella quale il tasso di disoccupazione ha
superato il 12 per cento, la soglia di povertà è sempre più alta, e il senso di
impotenza dei giovani e meno giovani ha effetti deprimenti sull`intera società?
(…). …le sorti possono cambiare (…). Possono cambiare se sappiamo spiegare di
chi sono le responsabilità di questa crisi devastante: sono della Destra non
della Sinistra, del giacobinismo liberistico che ha conquistato il palazzo
d`Inverno prima a Londra e a Washington per poi mettere al bando in pochi anni
la social-democrazia del vecchio Continente e dimostrare che al benessere
diffuso si arrivava meglio e prima scatenando il capitale invece di
responsabilizzarlo e regolarlo. Si tratta ora di deviare da questo percorso: la
sfida non è facile, ma non utopistica (…). Certo, ci vuole coraggio.
venerdì 13 giugno 2014
Sfogliature. 25 Capitalismo e borghesia.
Per un fatto straordinario ed in
verità alquanto strano è capitato che sia stato proprio il quotidiano della
cosiddetta “borghesia” a rivelare
agli italiani una delle anomalie proprie del disastrato paese. Ha scritto
infatti Gian Antonio Stella - “I reati
finanziari invisibili” - sul “Corriere della sera” del 27 di gennaio 2014: (…).
…nelle nostre carceri, il 16% dei condannati con pena definitiva è dentro per
omicidio, il 5,3 per stupro, il 14,0 per rapina, il 5,3 per vari tipi di furto,
il 39,5 per droga il 16,4 per reati vari ma su tutto spicca vergognosamente
quello 0,4% dei detenuti per reati economici e finanziari, incluse le
fatturazioni false. Cioè l’unica imputazione che può portare un evasore a
varcare i cancelli di un penitenziario. Prova provata di come da noi i colletti
bianchi siano trattati in maniera diversa, molto diversa, da come sono trattati
i colpevoli di reati in qualche modo, diciamo così, «plebei». È la conferma di
una certa idea della società che fu riassunta da Franco Frattini: «I reati di
Tangentopoli non creano certo allarme sociale. Nessuno grida per strada “Oddio,
c’è il falso in bilancio!” ma tutti si disperano per l’aggressione
dell’ennesimo scippatore». Sarà… Ma è un caso se poi gli investimenti stranieri
si sono pressoché dimezzati in Italia passando a livello mondiale dal 2% del
2001 all’1,2% di oggi? Non va così, dalle altre parti. (…). …è che in Germania
i detenuti per aggressione e percosse (7.592) o per rapina (7.206) sono
addirittura meno di quelli sbattuti in galera per reati economici e finanziari:
8.601. I quali sono più o meno quanti i carcerati (8.840) per droga. Solo i
detenuti per vari tipi di furto (12.628) sono di più. Ma non molti di più. È
un’altra visione del mondo. L’idea che un’economia sana abbia bisogno del
rispetto delle regole. Lo «spread» tra la nostra quota di detenuti
per reati economici e finanziari e quella degli altri Paesi, del resto, è
vistoso non solo nei confronti della Germania. In rapporto agli abitanti, i
«colletti bianchi» incarcerati in Italia sono un sesto degli olandesi, un
decimo degli svedesi, degli inglesi e dei norvegesi, un undicesimo dei
finlandesi, un quindicesimo degli spagnoli, un ventiduesimo dei turchi fino
all’abisso che ci separa dai tedeschi. (…). Pensateci bene: su
questo fronte siamo i primi della classe! Da noi delinquono tutti tranne quelli
che un tempo venivano definiti i “colletti bianchi”. Ovvero delinquono
e come i “colletti bianchi” ma nelle carceri non ci vanno a finire mai se
non nella miserrima percentuale di “quello 0,4% dei detenuti per reati
economici e finanziari, incluse le fatturazioni false”. È il paese di
bengodi. Nelle carceri del bel paese i “colletti bianchi” sono come le
mosche bianche. Avete mai vista una mosca bianca? Provate a trovare uno dei “colletti
bianchi” nella anguste, sovraffollate carceri italiane. Tutto ciò sta a
dimostrare l’arretratezza politico-sociale del bel paese. Tutto ciò sta a
dimostrare anche quanto la legge sia disuguale nel bel paese. Ed a portarne la
responsabilità storica è quella che un tempo veniva definita la “borghesia”
delle arti, delle professioni e dei mestieri. Il 21 di ottobre dell’anno 2011
postavo su questo blog una riflessione dal titolo “Capitalismo e democrazia”. Ripropongo di seguito in parte il post
di allora che ha inizio con una riflessione del “Moro di Treviri”:
mercoledì 11 giugno 2014
Strettamentepersonale. 13 Omaggio a Enrico Berlinguer.
Non mi sento di scrivere oggi un qualsivoglia
panegirico dell’Uomo del quale ricordiamo in questa data la perdita. L’Uomo non
ne ha bisogno, per il solo motivo che ha informato e uniformato la Sua vita alla
concretezza, lontano essendo il Suo stile di vita dalle rappresentazioni e
dalle autocelebrazioni. La Sua proverbiale riservatezza mi spinge ad accostare
il ricordo dell’Uomo a quanto di più caro io conservi nella mia memoria, mio
padre. Cantava con il Suo fare quasi scanzonato Giorgio Gaber : “Qualcuno
era comunista perché Berlinguer era una brava persona. Qualcuno era comunista
perché Andreotti non era una brava persona”. È tra questi estremi che
si è consumata la vita di quell’Uomo. È che quell’Uomo, che ricordiamo
ancor’oggi con struggimento quasi, è andato sempre fino in fondo nell’inverare nelle
Sue parole e nei Suoi atti le cose nelle quali aveva riposto il modo Suo
d’essere. Oggi che lo ricordiamo con inconsolabile nostalgia mi va di accostare
alla Sua figura ed alla Sua memoria una riflessione che, fosse stato in vita “il
compagno Enrico”, avrebbe di certo sottoscritto. Quell’Uomo che, pur
provenendo da un ceto sociale d’agiatezza, comprendeva come fosse illusoria la
scomparsa di quel binomio “destra/sinistra” che nella tempesta
ideologica susseguente al liberismo più sfrenato si era dato per morto
assimilando in una poltiglia sociologica interessi, utopie, sogni e speranze
che restano e resteranno sempre legati a quel binomio che contrappone da sempre
gli uomini senza mediazione alcuna. La riflessione che mi viene di riproporre è
stata scritta da Anthony Giddens sul quotidiano la Repubblica del 15 di gennaio
dell’anno 2013 ed ha per titolo “Destra
e sinistra esistono ancora”.
lunedì 9 giugno 2014
Storiedallitalia. 55 “Mi manda la cosca”.
Ha lasciato scritto Leonardo
Sciascia nel Suo “Il giorno della
civetta” (1961): “Tutta l’Italia va diventando Sicilia.
Dicono che la linea della palma, il clima propizio, viene su, verso nord,
di cinquecento metri ogni anno. Io invece dico: questa linea della palma, del
caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già
oltre Roma…”. Lo scriveva in tempi ben diversi dai nostri che ci son
dati da vivere. Ma solamente chi non aveva voglia di vedere e di sentire ha
potuto ignorare l’intuizione letteraria dell’uomo di Racalmuto. La miopia
voluta ha portato allo stato attuale di disfacimento etico e morale. Hanno ben
poco da indignarsi coloro che, investiti da responsabilità istituzionali hanno
fatto, come suol dirsi, “orecchio da mercante”. È che con la “linea
della palma” si è diffusa dal sud al nord quella cultura del “tengo
famiglia” che tanto ha nuociuto e nuoce tuttora alla civile convivenza
nel bel paese. Ne scriveva l’8 di dicembre dell’anno 2012 il professor Umberto
Galimberti in una riflessione che ha per titolo “Mi manda la cosca”, riflessione pubblicata sul settimanale “D”:
venerdì 6 giugno 2014
Storiedallitalia. 54 “La Grande ipocrisia”.
Ha scritto ieri, 5 di giugno,
Massimo Giannini sul quotidiano la Repubblica un pezzo che ha per titolo “La Grande Ipocrisia”. È quella
categoria dell’essere, “la grande ipocrisia”, che ben si
attaglia e contraddistingue gli abitatori del bel paese nella loro stragrande
maggioranza. Li catalogherebbe il sommo Poeta tra gli “ignavi”. Indifferenti a
tutto ciò che non rientri nel proprio “particulare”. E sì che gli allarmi
non sono mancati. Anzi. Appena raggiunta la soglia minima della comunicazione,
anticamera della conoscenza, che mal si accompagna quest’ultima alla civica
consapevolezza responsabile, quegli impavidi, catalogati quali allarmisti, venivano
tacitati ed indicati quali mestieranti mestatori. La tranquillità del vivere e
del fare ha sacrificato sul suo rubro altare quanto di meglio la responsabile
civile convivenza avrebbe meritato e richiesto. Ha scritto Massimo Giannini: Il 17
maggio è entrata in vigore la legge numero 67, che introduce la possibilità di
chiedere l'affidamento in prova ai servizi sociali nei procedimenti per delitti
economico-finanziari con pene fino a 4 anni di detenzione. In questi casi, su
richiesta del soggetto incriminato, si sospende il processo e si avvia un
percorso di servizio e risarcimento, di durata massima 2 anni, al termine del
quale il reato si estingue. Nella lista dei delitti per i quali si può ottenere
il beneficio ci sono l'omessa dichiarazione dei redditi, la truffa, il falso in
bilancio e persino il furto. Questo sì, a tutti gli effetti, ha le fattezze di
un "colpo di spugna", studiato proprio per i reati dei "colletti
bianchi". Il Parlamento approva unanime la legge, il 2 aprile scorso,
nell'indifferenza dei più. (…). Delinquere non è poi così compromettente. Alla
fine si può scendere a patti.
giovedì 5 giugno 2014
Storiedallitalia. 53 “Uli Hoeness, chi?”.
Uli Hoeness, chi? E già. Nel
profluvio di comunicazioni che si rovesciano a catinelle ma che non sono
informazioni ve ne sarete di già dimenticati. Nell’era della comunicazione a
tutto campo ed a tutto spiano è importante comunicare, per l’appunto, e non già
informare. Sapevate, pertanto, che Uli Hoeness è dallo scorso lunedì ritenuto in
un carcere della supponente Germania per scontare la sua pena di frodatore del
fisco? Per ben tre anni da scontare! Sono certo che non lo sapevate. La notizia
l’ho scovata in un articoletto breve breve su “il Fatto Quotidiano”. Che Uli
Hoeness fosse entrato in carcere per rendere alla collettività della Germania il
maltolto non avrebbe interessato nessuno nel bel paese. O avete avuto traccia
della notizia? Smentitemi. È che notizie di questo genere nel bel apese non
interessano a nessuno. È qui la differenza tra il bel paese ed il resto dell’Europa.
E su queste basi non riusciremo mai e poi mai ad avere quella credibilità che
pretendiamo dagli altri. E tanto per rinfrescare la memoria vi rendo una
brevissima cronaca del misfatto di Uli Hoeness che al tempo ci è stata fornita da
Caterina Soffici su “il Fatto Quotidiano” del 15 di marzo ultimo col titolo “Evasione, Mr Bayern piange: all’estero si
va in galera”:
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