“Anch’io ho commesso un errore”
avrebbe detto l’indimenticato Cesare Polacco in uno dei tanti spot del
“Carosello” d’un tempo. In un’Italia forse un tantino più ingenua ma mai e poi
mai innocente del tutto. Rubo a quel mitico “ispettore Rock” la
battuta. È che lui avrebbe poi aggiunto: “Non ho mai usato la brillantina Linetti”,
mostrando, con una lieve flessione del capo, il suo cranio glabro, nel senso
che più liscio e levigato non si può. Il mio errore è stato di ben altra natura,
però. È stato compiuto, l’errore intendo dire, nel post del 13 di dicembre che
ha per titolo “Quelli che non se ne può più”, della serie “Storiedallitalia”.
È che avevo chiuso quel post con un “Presto che arriva il natale!” all’indirizzo
del movimento pseudo-rivoluzionario dei cosiddetti “forconi” che di lì a
poco si sarebbe spento in vista della rinnovata santa natalità. Mi sbagliavo. E
di grosso. È che ho sperato sino in fondo che il carattere proprio degli
abitatori del bel paese, di non avere memoria alcuna, non mi costringesse ad
ammettere pur anco io di avere “commesso un errore”. È che,
trapassato senza rimpianti il vecchio anno ed accolto con ingiustificati
entusiasmi il novello virgulto, mi è giunta la eco di una cronaca a firma del
noto Michele Serra – “Arrivano i Cobas
dei tatuatori” – pubblicata sull’ultimo numero del settimanale l’Espresso.
La cronaca che ne fa l’illustre opinionista mi ha colto di sorpresa avendo
considerato, erroneamente, quel moto pseudo-rivoluzionario come estinto, o
meglio, ancora alle prese con i festeggiamenti inneggianti al “sole
invitto” che torna prepotente a risplendere nel cielo terso dopo
l’ansioso superamento del recente “solstizio d’inverno”. Donde “anch’io
ho commesso un errore”. I fatti narrati nella cronaca sembrano come provenire
da enormi distanze astrali. Scrive il nostro: Giorgio Napolitano, con un gesto
irrituale, riceve al Quirinale una delegazione del movimento dei Forconi,
formata da un camionista con sei figli rimasto senza lavoro e dal padroncino
che lo ha appena licenziato. I due, nel corso dell’animata discussione nel
Salottino Beige, vengono alle mani e si
rotolano avvinghiati sul pavimento, tra insulti atroci e urla di dolore. In
attesa che i corazzieri riescano a separarli, Napolitano rivolge alla
delegazione «il più sentito ma anche vigile sollecito affinché le ragioni del
dialogo prevalgano, mettendo da parte le inaccettabili inimicizie che tanto
danno arrecano al corretto dipanarsi della dialettica tra le parti sociali». E
sì che l’inclinazione del buon, arzillo vegliardo dall’alto dell’irto colle ad
ammannire moniti ad ogni pie’ sospinto penso non sorprenda più nessuno
nell’intera galassia e pur oltre, ma da che mondo è mondo ci vuole sempre un
po’ di misura. Niente. E così vengo ad apprendere da quella cronaca quasi
marziana che Un ramo oltranzista dei Forconi genera le Roncole, che in una
manifestazione di protesta disboscano Villa Borghese e con la legna ricavata
formano una gigantesca pira attorno alle mura del Quirinale appiccando il fuoco.
In un comunicato ufficiale, ancora leggibile nonostante sia parzialmente
annerito dalle fiamme, Napolitano «con pacatezza ma anche con fermezza invita
le parti sociali a non cedere a facili scorciatoie e a perseguire con
determinazione quella ricerca del dialogo che, unita alla necessaria analisi
delle concrete possibilità di intervento economico e legislativo da parte del
governo e delle sue diverse componenti, è in grado di individuare quelle
soluzioni che possono avviare un processo di distensione». Avevo a
bella posta rinunziato all’ultimo messaggio di capodanno del vegliardo dell’irto
colle. È che, nell’occasione ultima, mi era tornato alla mente l’alto monito
suo al momento del trapasso del precedente vegliardo anno – il 2012, in attesa del pargolo
“tredicino”
-, monito che, con inusitata veemenza e convinzione, rivelava al popolo
trepidante l’esistenza di “una crisi sociale” insospettata e della
quale sino ad allora sembrava non fosse giunta notizia sull’irto colle. Donde,
nell’ultima occasione, dicevo, mi è sembrato sensato, per la mia personale
salute mentale, sfuggire al monito al momento del trapasso del 2013. E così,
sempre dalla cronaca che ne ha fatto Michele Serra della permanente esistenza
di quel movimento pseudo-rivoluzionario detto dei “forconi” apprendo: Il
movimento compie il suo definitivo salto di qualità. Tra le sue componenti
prendono il sopravvento i costumisti, i coristi e le comparse degli enti lirici
(circa 300 mila, tutti in attesa del rinnovo del contratto) che saccheggiano i
magazzini dei loro teatri e allestiscono un’imponente armata in costume. Una
moltitudine impressionante di armigeri egizi (Aida), guardie pontificie
(Tosca), sentinelle cinesi (Turandot), banditi messicani (Fanciulla del West) e
lombardi alla prima crociata marciano su Roma e stringono d’assedio il Quirinale.
Incurante del nugolo di frecce che tempesta i suoi appartamenti e dei tremendi
colpi d’ariete che scuotono le mura, il Capo dello Stato si affaccia alla
finestra e rivolge agli assedianti «un severo monito affinché la legislatura
possa seguire il suo percorso naturale, senza quelle deplorevoli forzature che
impedirebbero ai diversi attori politici e alle parti sociali di stabilire i
provvedimenti necessari e le tempistiche opportune, per affrontare con la
dovuta serenità le difficili prove che attendono la nostra comunità nazionale».
Stremati dal discorso, i manifestanti tolgono l‘assedio e fanno ritorno alle
loro case. È la fine del movimento. E “stremato” e basito resto
anch’io che pur ho disertato d’ascoltare il messaggio di fine anno tenendo
molto alla mia incolumità mentale. Mi domando: quando ritorneranno “quelli
che non se ne può più”? Buon Anno ancora.
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