“La fede risponde a esigenze che
non sono razionali, e tuttavia sono vissute come irrinunciabili dall'uomo: le
spinte alla continua ricerca di qualcosa oltre l'esistente”. Lo ha
scritto il professor Umberto Galimberti sul settimanale “D” del 21 di settembre
dell’anno 2013 – “Tra religione e
scienza non serve scegliere” -. La questione quindi è ostica assai,
controversa, sfuggente. Dio. La faccenda vissuta ha dell’inverosimile, dell’incredibile,
ed è tutta da dimostrare. Ma come dimostrarla? La storiella mi è stata
raccontata. Ha a che fare con un “dono di Dio”, Internet. Wow! (al
tempo prima di Internet si sarebbe forse detto “urca”!). Una scena
consueta di commensali che distrattamente orecchiano ciò che il piccolo mostro
casalingo va rimettendo a getto continuo. La notizia per l’appunto: “Il vescovo
di Roma sostiene che anche internet è un dono di Dio”. Sfugge prontamente ad
uno dei commensali: - Ci ha messo del tempo a fare il dono! -. Una battuta o
una solenne, pensata riflessione dal sen sfuggita? Piccata la risposta di una
dei commensali: – Certo, ha voluto che gli uomini arrivassero da se a quel dono
-. Il primo commensale di rimando: – Ma che diavolo di dono è allora! -. Non mi
è stato raccontato il prosieguo della conversazione. Mi è venuto da pensare al dio
del vecchio testamento, signore degli eserciti, diffusore di cataclismi,
pestilenze, piogge di sale e quant’altro atti a seminare morte e distruzione di
massa, istigatore di sacrifici umani – uno, per fortuna non andato a buon fine
-. E che dire poi della sventura toccata ai progenitori di tutto il genere
umano, quell’Adamo e quella Eva puniti, con le conseguenze che sono tuttora
sotto gli occhi del mondo, solo per aver voluto assaggiare il frutto di un certo
albero spinti com’erano dal desiderio della “conoscenza”? Ripeto,
della “conoscenza”. Dubito che quel vecchio, burbero dio avesse a
cuore la “conoscenza”. È pur vero che quel dio ha lasciato il campo, almeno
nel nuovo testamento, ad una figura più umana e più caritatevole, quell’uomo di
Nazareth, ma tant’è che mi è parso esagerato quanto il vescovo di Roma vada
incautamente sostenendo. Continua a scrivere il professor Galimberti: Siamo
d'accordo nel dire che la scienza non dice cose "vere", ma solo cose
"esatte", cioè ottenute dalle premesse (…) che ha anticipato. Su
questo convengono anche gli scienziati, così come sono d'accordo nel negare
alle loro conclusioni il carattere di verità assolute, perché altrimenti non ci
sarebbe progresso scientifico, che si realizza ogni volta che al posto delle
premesse precedentemente assunte se ne assumono altre più esplicative. (…)…nella
storia la scienza ha smantellato tante credenze religiose, senza che questo
abbia in alcun modo modificato il sistema di credenze a cui aderiscono le
persone di fede. Dobbiamo allora concludere che la fede religiosa risponde a
esigenze che non sono razionali, e tuttavia vengono vissute come
irrinunciabili, perché l'uomo è abitato anche da una dimensione irrazionale che
può esprimersi solo uscendo dal recinto stretto della razionalità. Che risposte
razionali possiamo dare all'esperienza del dolore, che non di rado affligge la
nostra esistenza? Oppure all'esperienza dell'amore che si nutre di ogni cosa
all'infuori che della razionalità? O alla domanda sul senso della nostra
esistenza, che non di rado vaga e tracolla nell'insignificanza? Tutte le
religioni raccolgono queste istanze e le proiettano nella trascendenza, che
sarà pure un mondo inventato, ma che risponde comunque a quell'esigenza
incondizionata propria della natura umana che non si accontenta dell'esistente,
ma è in ricerca continua del suo oltrepassamento. E questo vale non solo in
ambito religioso, ma anche in ambito scientifico (altrimenti non avremmo
progresso), in ambito sociale (per un miglioramento delle condizioni di vita) e
in ambito personale (nella ricerca mai interrotta di una migliore realizzazione
di sé). E allora i conti li dobbiamo fare non contrapponendo le risposte della
scienza e quelle della religione, ma con quell'esigenza incondizionata di
trascendenza, (…) …di oltrepassamento della situazione esistente, che è tipica
dell'uomo, che proprio per questo si distingue dall'animale. Che poi a questa
esigenza non si diano risposte sicure, questo fa parte della condizione tragica
dell'uomo, a cui la religione a suo modo cerca di porre rimedio. Ritengo
che sarebbe oggigiorno molto più accettabile un messaggio (religioso) diverso che
non cercasse commistioni improprie e non realizzasse inaccettabili forzature
per il buon senso comune degli uomini d’oggi, che è divenuto tale, buon senso
intendo dire, solamente grazie al progresso compiuto dal genere umano,
progresso realizzato anche a dispetto o addirittura contro il pensiero ostativo
di quella che passa per la ispirata chiesa universale di Roma. E per tornare
allo scritto del professor Galimberti: Siamo inoltre d'accordo che non si danno
"verità di fede" perché la fede crede proprio perché non sa, mentre
la dove si sa, non si crede. Io non credo che due più due faccia quattro perché
lo so, mentre, se ho fede, credo che Cristo sia risorto perché non ho nessuna
evidenza né dimostrazione, ma solo la fede di coloro che ne hanno dato
testimonianza.
Caro Ettore, per me non è difficile ricordare. Negli anni quaranta ero adolescente. Mio padre che era macchinista delle FF.SS rischiò molte volte di morire. Sul deposito S. Lorenzo caddero 180 bombe ma lui, per servizio, era da un' altra parte.Una volta scampò la deportazione in Germania grazie ad una civilissima Signora che, dalle 5 del mattino, era ad una finestra di via dei serpenti, a Roma, per avvisare gli uomini che se avessero fatto altri pochi passi sarebbero stati deportati.Non sai quante volte l' ho benedetta. Un abbraccio. Franca.
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