Oggi “non mi cale” di
scrivere. “Cale” che è voce del verbo “calere”. Ché, nelle sue
forme più contorte, del verbo “calere” intendo dire, fece scrivere
in una antica novella “Madonna, siccome poco v'è caluto di costui,
che tanto mostravate d'amare, così vi carrebbe vie meno di me”. Magistrali
coniugazioni del verbo “calere”. È che oggi “piove
a catinelle”. Che è cosa ben diversa da quel “sole a catinelle” di
quel guitto che è tanto di moda. E che ha fatto godere platee numerosissime. Beate
loro, le platee intendo dire. Anzi “beote”, che non è per nulla un
refuso del mio inesperto digitare, ma che intendo dire “beote” per l’appunto,
che per il dizionario Sabatini Coletti “beota” sta per “1 Della Beozia, in Grecia 2 Da
stupido; imbambolato: faccia b. • s.m. e f. 1 Nativo, abitante della Beozia 2
fig. Persona tarda d'ingegno, idiota SIN scemo: sorriso da b. • sec. XVII”.
Risale per l’appunto al secolo diciassettesimo. È che il cielo sembra essersi
appesantito nel grigiore di questa giornata di “pioggia a catinelle”.
L’aria è ferma. Non un refolo di essa. Ed il cielo plumbeo sembra quasi volersi
schiacciare, precipitare, sul mare immoto. È che oggi è il 5 di gennaio appena,
ed avremo ancora ben 360 giorni da scorrere e da contare. Con tutto quel che ne
segue. Ma il mio “non mi cale” è peraltro legato alla opprimente quotidianità
che nelle sue cronache non concede uno spiraglio che sia di cambiamento. Si
dirà, è “lo spirito del tempo” – nel senso storico e non atmosferico –
quello che i germanici amano definire “zeitgeist”. Ma questo stramaledetto
“spirito
del tempo” è sì da lungo tempo oramai che ingombra ed affligge i giorni
che ci sono dati da vivere. Poiché lo scrivere trova incoraggiamenti e spunti
dalla vita che pulsa – quando pulsa – attorno. E se essa, la vita intendo dire,
è come questa giornata grigia, immota, il cielo basso e pesante, il mare che
sembra d’avere scordato i suoi moti naturali di flusso e di riflusso, eterni, e
tutto sembra in uno stato d’attesa che fa pure paura, come in una sospensione
che non ha nulla di naturale, ben pochi stimoli ne vengono affinché si possa
vergare il foglio bianco – in verità si vergava in un tempo andato – per
parlare della vita e dei suoi accidenti. Ed in una giornata di “pioggia
a catinelle” nulla rimane se non l’amata lettura. Ché con essa, la
lettura intendo dire, non hai da inventarti di storie, non hai da farti venire
idee di quelle che gli altri – ma speri invano – possano trovare intelligenti e
stimolanti. – Quant’è stato stimolante quel tuo post! – per scoprire che con
quel post stramaledetto non eri riuscito a rendere palese quel che ti eri
ficcato in mente di dire, di trasmettere l’ideuzza che tanto ti era piaciuta, e
scopri invece che con quello stramaledetto post avevi fatto intendere tutto il
contrario dell’ideuzza tua. Ma così va il mondo. E se oggi “non mi cale” di scrivere
leggo, anzi ri-leggo il ritaglio dell’altro ieri da “il Fatto Quotidiano” – “Evasioni, storie di ladri: dall’idraulico
ai politici” - di Bruno Tinti. Del quale, Bruno Tinti intendo dire, per non
cadere in ulteriori equivoci, la redazione del quotidiano di cui sopra ha
offerto questa breve nota biografica: “Bruno Tinti, l’autore dell’articolo, è
stato magistrato dal 1967 al 2008. Tra il 1992 e il 2000 è stato presidente di
tre commissioni ministeriali per l’elaborazione di una nuova legge penale
tributaria per sostituire la 516/82; il Parlamento italiano approverà la nuova
legge con modifiche tali da snaturarne completamente l’impianto, sì da renderla
del tutto inefficiente”. E così, pur non avendo oggi voglia di scrivere
alcunché, per via della cosiddetta giornata di “pioggia a catinelle”,
qualche cosina sono riuscito a scriverla. Ma urge che io mi fermi, altrimenti
il cosiddetto “blocco” di un inesperto scrivano andrebbe a farsi benedire.
Non mi resta che consigliarvi la lettura del pezzo di Bruno Tinti che di
seguito trascrivo in parte. Allora scrive Bruno tinti… A un certo punto ho capito che
l’evasione fiscale era un crimine grave: 150 miliardi di euro in media all’anno
non li rubano nemmeno tutte le rapine, i furti e le truffe messi insieme;
quanto alle corruzioni, senza evasione fiscale non si potrebbero fare perché
non ci sarebbero i tesoretti riservati. Però quasi nessuno dei pm miei colleghi
aveva una gran voglia di occuparsene. Così ne radunai due o tre che erano
interessati e cominciammo a studiare; e poi a lavorare. Eravamo a metà degli
anni 80. Nel mondo dei ciechi… sapete come si dice. Finì che, a furia di
scrivere articoli e libri sul fatto che la legge penale-tributaria era tutta
sbagliata, mi nominarono presidente di una commissione tecnica incaricata di
scriverne una nuova. Io non ero più tanto giovane nemmeno allora; ma stupido e
ingenuo sì. Così ci credetti e cominciai a lavorare. Ci impiegammo sei o sette
anni (i governi cadevano e risorgevano come funghi e ogni volta si doveva
ricominciare da capo) ma, alla fine, venne alla luce una legge coi fiocchi. Era
anche ovvio: in commissione eravamo magistrati, funzionari delle imposte, Gdf,
avvocati, tutti del mestiere; se non lo sapevamo noi quello che si doveva fare
per contrastare l’evasione… Come metodo di lavoro adottammo le storie di vita
vissuta; ce ne erano a migliaia ma, stringi stringi, appartenevano tutte a tre
categorie: il “nero”, le fatture false e l’abuso del diritto (o elusione
fiscale). Poi gli avvocati insistettero per considerarne un’altra: la bugia
pura e semplice. E da lì cominciarono i guai. (…). Io raccontai la storia
dell’idraulico. Allora, c’è un idraulico che viene incaricato di rifare un
bagno nella casa di un pensionato. Presenta un preventivo, lo discute con il
suo cliente e alla fine si accordano: 3.000 euro. A lavoro fatto arriva il
momento di pagare. “Con fattura o senza?”, dice l’idraulico. “Che differenza fa
– dice il pensionato – abbiamo stabilito 3.000 euro”. “Sì, ma con fattura c’è
l’Iva, 600 euro. Capisci, debbo annotare la fattura in contabilità e a questo
punto l’Iva va versata”. “Ma così io debbo pagare 3.600 euro!”. “Eh, che ci
posso fare. Certo, se mi dai contanti, io non ti faccio la fattura, non devo
versare l’Iva, 3.000 euro avevamo detto e 3.000 sono”. Non gli dice che non
pagherà nemmeno l’Irpef, hai visto mai che il pensionato gli chieda uno sconto.
“Niente fattura – dice il pensionato – Passa domani per i primi mille euro in
contanti”. Rapido calcolo sull’ammontare globale dell’evasione: 600 euro di Iva
e 900 di Irpef (ipotizzando un’aliquota del 30%). L’idraulico ha fregato allo
Stato 1.500 euro. Come lui, milioni di artigiani, commercianti, professionisti,
piccoli e medi imprenditori, ogni giorno evadono con lo stesso elementare
sistema; alla fine dell’anno questo popolo dell’Iva sottrae allo Stato (secondo
Corte dei Conti, Eurispes, Agenzia delle Entrate) dai 100 ai 120 miliardi di
euro. In effetti è un fenomeno preoccupante. (…). Insomma, non basta creare una
contabilità falsa omettendo fatture, ricevute, parcelle e dunque omettendo
l’annotazione di quanto percepito: occorre qualcosa in più. Cosa, non si sa.
Che resta da fare al professionista che, dopo il quinto cliente, comincia a
farsi pagare in contanti e non emette fattura? Mah. Da allora gli idraulici
evadono in pace. E anche il resto del popolo dell’Iva. Se li beccano, solo
“dichiarazione infedele” è. Niente custodia cautelare, niente intercettazioni,
pena piccolina (la tariffa è 5 mesi e 10 giorni con la condizionale). Pensate
che un ladruncolo che si frega un navigatore da una macchina si prende come
minimo un anno. Naturalmente ci restammo tutti un po’ male (ma non gli
avvocati). Quello che mi dette da pensare per molti mesi fu che questo bel
regalo agli evasori non lo avevano fatto Berlusconi&Co. Il decreto
legislativo 74/2000 venne emanato da un governo presieduto da Massimo D’Alema,
con ministro delle Finanze Vincenzo Visco e ministro della Giustizia Oliviero
Diliberto. Da allora cominciai a essere meno stupido.
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