Il cosiddetto “blocco”
dello scrivano non si allenta. È come essere stretti in una morsa che impedisca
la formulazione di pensieri compiuti. E senza pensieri compiuti resta ben poco
da scrivere. Mi sorprendo d’essere sempre di più incline ai discorsi
convenzionali, banali, tipo del “che tempo che fa”. È la menomazione
propria dovuta al cosiddetto “blocco”. Dello scrivano per
l’appunto. È per sfuggire alla menomazione propria del cosiddetto “blocco”
che mi premuro di scrivere della diseguaglianza. Ancora della diseguaglianza,
direte! Ebbene, è un tema che anche nel recente passato mi ha portato a
scribacchiare per lungo e per largo. Ma è un tentativo, questo, per sfuggire
alla menomazione del “blocco”. Anche perché, della diseguaglianza
tra gli esseri umani come corruttrice e distruttrice della democrazia, ne sono
stato sempre convinto. Ho sempre sostenuto che la “crisi” dovrà in qualche
modo farci uscire “diversi” dal lungo ed oscuro tunnel nel quale ci ha
sprofondati. “Diversi” ed anche un tantino più eguali, nel senso che vengano
ad essere restituite le possibilità di ascesa che sono state sottratte a
larghissime fasce sociali. La “nuova povertà”, che imprigiona
masse sempre più numerose, è la conseguenza diretta della diseguaglianza
imposta da quello che è il capitalismo finanziario dominante e disumanizzante.
Non mi riesce di attribuire – a causa di
uno sciopero delle firme indetto dal Cdr – a quale giornalista del quotidiano
la Repubblica spetti la paternità del dossier che ha per titolo “Nel mondo ci sono 85 uomini d’oro in tasca
la ricchezza di metà popolazione”. In esso sta scritto: «Le
pari opportunità stanno diventando un miraggio a livello globale», afferma
l’Oxfam (che è un’agenzia internazionale per lo sviluppo, l’emergenza e
le campagne di opinione contro l’ingiustizia della povertà nel mondo n.d.r.),
accusando
le élite economiche mondiali di agire sulle classi dirigenti politiche per
truccare le regole del gioco economico, erodendo il funzionamento delle
istituzioni democratiche. È a tutto ciò che bisogna reagire; ché anche
per le diseguaglianze planetarie il discorso non diventi del tipo del “che
tempo che fa”. Poiché il rischio grosso è l’assuefazione. È che a
questo punto mi va di proporre un pensiero compiuto che ho letto in quello
stupendo libro che è “Bartleby, lo scrivano” di Herman Melville: È così vero, e così terribile,
che, sino a un certo punto, il pensiero e lo spettacolo della miseria suscitano
le nostre più nobili emozioni, ma in certi casi, oltre un certo punto, non più.
Errano coloro che asseriscono che, invariabilmente, questo mutamento è dovuto
all’inerente egoismo del cuore umano. Deriva piuttosto da un certo senso di
impotenza di fronte a un male eccessivo e radicale. Per un essere sensibile la
pietà non di rado è sofferenza. Quando si scopre infine che questa pietà non
può risolversi in aiuto efficace, il buon senso impone all’anima di
liberarsene. Continua l’anonimo giornalista del quotidiano la
Repubblica di oggi, riportando una riflessione di Winnie Byanyima che è la direttrice
di Oxfam International: «Viviamo in un mondo in cui chi detiene il
potere economico ha ampie opportunità di influenzare i processi politici,
rinforzando così un sistema nel quale la ricchezza e il potere sono sempre più
concentrati nelle mani di pochi, mentre il resto dei cittadini del mondo si
spartisce le briciole», (…). «Un sistema che si perpetua, perché gli individui
più ricchi hanno accesso a migliori opportunità educative, sanitarie e
lavorative, regole fiscali più vantaggiose, e possono influenzare le decisioni
politiche in modo che questi vantaggi siano trasmessi ai loro figli. Se non
combattiamo la disuguaglianza, non solo non potremo sperare di vincere la lotta
contro la povertà estrema, ma neanche di costruire società basate sul concetto
di pari opportunità, in favore di un mondo dove vige la regola dell’asso
pigliatutto». (…). Una denuncia spaventosa che non mi era ancora
capitato di leggere con tanta chiarezza e che avvalora la mia convinzione che
la “crisi”
non sarà mai superata se non saranno rimosse le storture introdotte da un
capitalismo senza sensibilità e “doveri sociali”. A questo punto
ritengo necessario che leggiate il resto del dossier dell’anonimo giornalista: Immaginate
una bilancia: su un piatto ci sono ottantacinque persone, sull’altro ce ne sono
tre miliardi e mezzo, ma l’ago è in perfetto equilibrio. È la metafora con cui
l’Oxfam, una della più importanti associazioni di beneficenza internazionali,
misura il gap ricchi-poveri sul nostro pianeta: 85 miliardari possiedono 1.200
miliardi di euro, l’equivalente di quanto detenuto da metà della popolazione
terrestre. (…). Non è la prima volta che circolano cifre simili: la ragione
fondatrice del cosiddetto movimento 99 per cento, quello di “Occupy Wall
Street”, era appunto l’idea che l’1 per cento della popolazione mondiale fosse
più ricco di tutti gli altri. “Plutocrats”, un libro- inchiesta della
giornalista Cinthya Freeland uscito lo scorso anno, andava oltre, sostenendo
che il vero oltraggio non è la ricchezza dell’1 per cento contro il 99 per
cento, bensì quella dello 0,1 per cento, la crema della crema, il club dei
miliardari. Proprio su questi si concentra lo studio di Oxfam: gente come il
messicano Carlos Slim, il fondatore della Microsoft Bill Gates, Larry Page di
Google e Warren Buffett. O come Michele Ferrero, Leonardo Del Vecchio e Miuccia
Prada, i tre italiani presenti tra gli 85. In Africa, nota il rapporto, le grandi
multinazionali sfruttano la propria influenza per ridurre la pressione fiscale,
riducendo le risorse che i governi locali potrebbero usare per combattere la
povertà. Lo stesso viene fatto dai giganti della rivoluzione digitale, che
sfruttano scappatoie e sotterfugi per pagare zero o quasi tasse sui loro
immensi profitti. In 29 su 30 paesi sviluppati o in via di sviluppo esaminati
dall’indagine la tassazione per i ricchi non fa che diminuire. E l’1 per cento
dei più ricchi delle terra detiene complessivamente un patrimonio di 180
trilioni di dollari. (…).
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