"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 9 settembre 2013

Lavitadeglialtri. 7 Sostiene Francesco, che è vescovo di Roma.



Sostiene Francesco, che è vescovo di Roma, dell’insostenibilità della “globalizzazione dell’indifferenza” nel mondo cosiddetto progredito e cristianizzato. Sostiene Francesco, che è vescovo di Roma, che è il dominio del denaro a dettare i tempi ed i modi delle guerre. Lo è stato da sempre. Anche allorquando i predecessori di Francesco, che è vescovo di Roma, benedicevano le navi in partenza oltre gli oceani sconosciuti per quell’opera di evangelizzazione e di morte che ha segnato la vita e la storia del mondo che è detto cristianizzato. Ha scritto il professor Umberto Galimberti sul settimanale “D” del quotidiano la Repubblica dell’8 di settembre dell’anno 2012 – “Il razzismo? Una brutta storia” -: (…). …abbiamo limitato il concetto di "prossimo" a quelli che sono come noi, che condividono gli stessi usi e costumi, che hanno una faccia bianca rassicurante, che parlano la nostra lingua, che hanno sufficienti risorse economiche per non chiederci niente, e soprattutto che non ci importunano sulla strada se non per un distratto buon giorno o buona sera. Questo è l'ambito entro il quale abbiamo circoscritto la nozione di "prossimo". Al di là di questo artificioso “prossimo tuo” vi è l’indifferenza tanto condannata da Francesco che è vescovo di Roma. Poiché anche i morti ammazzati per le contrade della Siria sono dovuti all’ingordigia del denaro e di quant’altro afferisca alla parte del mondo che soggioga tutto ciò che non rientri in quella sua aberrante “nozione di prossimo". In una dotta analisi della situazione in quell’angolo d’Oriente Gilles Kepel ha scritto – sul quotidiano la Repubblica del 2 di settembre, “Dietro il caos in Siria l’ombra dell’Iraq e i regni dell’oro nero” -: Le rivoluzioni arabe sono in primo luogo il prodotto della decomposizione di un sistema politico concepito per resistere alla paura della proliferazione terroristica dopo la «doppia razzia benedetta su New York e Washington» perpetrata da Bin Laden e dai suoi accoliti. Contro Al Qaeda, avevamo eretto un baluardo di regimi autoritari e corrotti, ma dotati di servizi di sicurezza efficienti. L’esigenza della democrazia era stata sacrificata sull’altare della dittatura, ma Ben Ali, Mubarak, Gheddafi e altri come Ali Saleh, non sono stati altro che dei despoti patetici che hanno cristallizzato contro se stessi il malcontento popolare, portando a delle rivoluzioni che sono dilagate da Tunisi al Cairo e da Bengasi a Sana’a nella primavera del 2011. (…). Le «primavere arabe» sono state accolte con benevolenza in Occidente, ma hanno comunicato un’ondata di panico nella spina dorsale delle monarchie petrolifere del Golfo. La prospettiva di un «contagio democratico » ha terrorizzato queste dinastie i cui membri monopolizzano i proventi del petrolio e del gas. Il pericolo toccava ormai la penisola arabica stessa, mentre la comunità internazionale guardava da un’altra parte lasciando prevalere gli idrocarburi in pericolo sui diritti umani a rischio. (…). È in questo contesto che si è sviluppata la rivoluzione siriana. All’inizio, aveva lo stesso profilo che in Tunisia o in Egitto: una gioventù istruita si metteva a capo delle rivendicazioni democratiche contro un potere autoritario. Ma l’intensità della repressione e la sua trasformazione graduale in guerra civile a carattere confessionale ha impedito il sollevamento delle forze armate contro il presidente. Il finanziamento in petrodollari e la distribuzione di armi provenienti dai Paesi del Golfo — uniti per sostenere i sunniti che avrebbero scardinato l’asse sciita se Damasco fosse caduta — ha cambiato la situazione sul terreno, favorendo la penetrazione militare dei gruppi islamisti e rendendo più difficile il sostegno alle forze democratiche della resistenza. La Siria diventa dunque l’epicentro dello scontro tra l’asse sciita e i suoi avversari sunniti, ostaggio di una guerra per procura fatta prima di tutto per controllare gli idrocarburi del Golfo. La vittoria di Assad rafforzerebbe Teheran e, dietro all’Iran, la Russia, messa da parte in Medio Oriente. (…). Ricevo dall’amico Giovanni Torres La Torre, che è scrittore e pittore di vaglia, l’ode “Per i bambini trucidati in Siria. Morte a Damasco” che volentieri di seguito posto.

Sotto calcinacci
restano sepolti nell’abbraccio
i bambini e le madri
nella notte della loro morte.
Il giorno dopo
gente che va e gente che viene
per strade affollate dalle macerie
e altre madri che urlano il loro dolore
maledicendo la guerra
e la sete e il pianto che torturano la voce.
Quando si coprono con lenzuoli
i corpicini stesi sui marciapiedi
coi loro volti sbiancati dal veleno,
cosa fa la luna annerita nel cielo
che pure sa orientare il tempo degli innesti
del parto e della semina dei frumenti?
La luna è sempre là,
calante e crescente
illumina come meglio può
sepolcri e serenate d’amore,
il volto degli innocenti
e la maschera dei loro assassini,
le tombe dei santi e le cupole dei paesi dimenticati,
i tetti di lamiera e le ricchezze del mondo.
Non c’è scampo, il disco di luce di pietra
indica la strada
a padri e madri e fanciulli scalzi
che non lasciano orme.
II
L’alfabeto degli antenati e il gioco dei numeri
riposano nelle acque dell’Eufrate
e del Mare Mediterraneo
con le ossa di naviganti e di fuggiaschi.
Altre pietre, tavolette e poemi dell’antica civiltà
sfidano il tempo
con la voce della poesia del deserto
canto che fu ammirato nella nenia
che risuona ancora nello smarrimento.
Non brillano più i cuori
e i giorni dei bambini sono privati dal loro splendore
perché la guerra distrugge la bellezza della scrittura,
e il volto delle figure di argilla e pietra
si insanguina nella bocca dei morenti.
Non ci sono più gemme alle fronde dei giorni
né vesti di primavera
né belati di armenti.
Occhi di perle bagnate di rugiada
non scrutano più l’orizzonte,
e non cercano più miracolosi prati le carcasse degli armenti.
III
Sulle fosse delle vittime non cresce l’erba
e non ci sono fiori a portata di mano.
La luna amica della gente
illumina la strada di un’antica preghiera
che una donna ha ancora voce di cantare
stringendo alle ossa del suo petto
un gomitolo di stracci,
sudario del figlio morente.

Capo d’Orlando, agosto-settembre 2013

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