"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 3 settembre 2013

Cronachebarbare. 20 Azzeccagarbugli e giureconsulti.



Nel paese della “quasità”, ove tutto è un “quasi” infinito ed ove non esiste certezza alcuna. Ove tutto, ma proprio tutto, è divenuto una unica opinabile opinione anche quando opinione non lo è più. Nel paese della “quasità”, divenuto nel tempo un immenso campo di Agramante nel quale tutti lottano contro tutti, per finta, fintantoché non ci sia da salvare anche uno solo degli appartenenti alla cosiddetta “casta”. Nel paese della “quasità” ove tutti son detti uguali – o “quasi” – ma c’è pur sempre uno che sia più uguale degli altri, al pari dei maiali di orwelliana memoria presso i quali qualcuno era sempre più maiale degli altri. Ebbene, nel paese della “quasità” esistono e girano liberi azzeccagarbugli di chiara e rinomata fama che amorevolmente soccorrono con la “quasità” della loro giurisprudenza il condannato di Arcore. Della quale loro “quasità” ne rende contezza Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” del trentuno di agosto col titolo “L’arma segreta”: Intanto c’è da preparare il ricorso alla Corte di Strasburgo per i diritti dell’uomo, annunciato l’altro giorno alla giunta del Senato con una lettera a sua (dell’egoarca di Arcore n.d.r.)  firma che citava i “sensi dell’art. 7 della legge 4/08/1955 N. 848”. Purtroppo, come ha scoperto Marco Bresolin su La Stampa, la suddetta legge ha solo due articoli, dunque l’esistenza di un “art. 7” è altamente improbabile, anche nel diritto creativo seguito dagli onorevoli avvocati e dai principi del foro che assistono il Cainano. Con quello che li paga, potrebbero almeno evitargli certe figure barbine. E, già che ci sono, potrebbero anche spiegargli che la Corte di Strasburgo non è un quarto grado di giudizio, né il santuario di Lourdes con piscina di acqua miracolosa, dunque non è in grado di ribaltare le sentenze definitive dei tribunali nazionali: al massimo potrebbe risarcirlo per il danno inferto dai giudici ai suoi diritti umani, ma è altamente improbabile che accada. Anche perché poi l’eventuale danno dovrebbe rifonderlo lo Stato italiano: cioè la vittima delle colossali frodi fiscali oggetto della sua condanna, che lui deve restituire. Ove si parla per l’appunto di “diritti” umani per la qualcosa un giureconsulto di antica data non si esime dal profferir parola dotta. Ma è la “quasità” del miserevole paese a consentire al “quasi” giureconsulto di librarsi in pindariche elucubrazioni invocando il rispetto dei “diritti alla difesa” del condannato di Arcore. Come se fosse possibile, nel paese della “quasità”, ove tutti sono eguali di fronte alla legge, anzi “quasi” eguali, conculcare i “diritti” d’un appartenente alla “casta”. Donde il fine giureconsulto, sottratto provvidenzialmente a suo tempo ai palazzi ove si amministra la giustizia, invoca il rispetto di quei “diritti alla difesa” che a nessuno, nel paese della “quasità” – ed è tanto dire - era parso essere stati negati. Ma al fine - “quasi” - giureconsulto, sottratto per fortunosamente a quegli austeri palazzi di giustizia per occupare gli scranni di ben diversi e più sollazzevoli palazzi del potere, non poteva sfuggire l’enorme delitto che venivasi a compiere nel paese della “quasità”. Donde la sua lacerante invocazione a ché i “diritti alla difesa” siano riconosciuti ed accordati al condannato di Arcore. E l’implorazione sua non poteva non suscitare esilaranti osservazioni sol che si lasciassero le contrade ubertose del paese della “quasità”. Ché con la penna arguta e graffiante di Curzio Maltese – sul quotidiano la Repubblica del 2 di settembre, “Chi crede ai trucchi del Cavaliere” – rivelava al popolo colto ed all’incolto che “Per settimane i media sono corsi dietro al bestiario di falchi e colombe e pitonesse, prima di rendersi conto che era il solito teatrino di cortigiani dove il padrone passa ogni tanto a distribuire le parti in commedia. La recita è finita secondo la logica. Il governo va avanti e il Parlamento voterà la decadenza di Berlusconi da senatore. La guerra o la guerricciola istituzionale è finita. Peccato che la destra si sia dimenticata di avvisare qualche amico del Pd. Nessuno per esempio ha avvertito Luciano Violante, che continua a combattere nella jungla come un soldato giapponese la sua battaglia contro il nemico che più l’ossessiona: l’antiberlusconismo. Per la verità sono molte le cose delle quali il senatore sembra rimasto all’oscuro, (…). Il senatore Violante ha ricordato il diritto alla difesa di Berlusconi contro le tentazioni del Pd di trasformarlo in un nemico assoluto e ha esortato il proprio partito ad ascoltare le ragioni dell’avversario. Violante non è stato informato che Berlusconi oggi non è più il nemico assoluto e tecnicamente neppure un avversario del Pd, ma il suo principale alleato di governo. Come tale le sue ragioni sono ascoltate tutti i giorni dal partito di Violante e anzi, secondo molti elettori del centrosinistra, perfino un po’ troppo. Altra informazione non pervenuta al senatore è che il processo a Berlusconi si è già celebrato in questi anni, in cui l’imputato ha potuto largamente usare e anche abusare del diritto alla difesa dentro e fuori le aule, nel processo e dal processo. Ormai non rimane, secondo Costituzione, che prendere atto della sentenza definitiva. Berlusconi non intende farlo, ma ci vuole un bel coraggio per definire un simile atteggiamento «diritto alla difesa». E già. Ma tutto ciò può avvenire nel martoriato paese della “quasità”. Ove tutto è una libera opinione e di una solo certezza non esiste traccia. Soccorre, nella ricomposizione di un quadro di minime certezze, Liana Milella sul quotidiano la Repubblica del 30 di agosto col titolo “Gioco di specchi sugli illeciti”, ove con innegabile abilità traccia il quadro delle certezze giudiziarie inoppugnabili conseguite riportando nel Suo scritto i passi essenziali delle motivazioni della Corte di Cassazione. Se non si fosse nel paese della “quasità” quei passi potrebbero essere come pietre tombali tanto da seppellire ed interrompere l’inconcludente chiacchiericcio di questa dannatissima stagione. (…). …ecco cosa si può leggere a pagina 186 del testo sottoscritto dai cinque giudici del collegio: «Le risultanze processuali dimostrano la pacifica diretta riferibilità a Berlusconi dell'ideazione, creazione e sviluppo del sistema che consentiva la disponibilità di denaro separato da Fininvest e occulto, cioè di quel meccanismo delle società facenti capo a lui». (…). «Mediaset trattava gli acquisti, mediante suoi uomini di fiducia, direttamente con le Major Usa. Linearità commerciale e fiscale avrebbe dovuto comportare che quegli acquisti le venissero fatturati. Invece le fatture che la società usava a fini di dichiarazione fiscale le erano rilasciate da altro soggetto (la società Ims), all'uopo costituita all'estero. L'importo dei costi in tali fatture indicato non era commisurato al prezzo d'origine, bensì enormemente maggiorato in esito ai passaggi intermedi, privi di ragion d'essere commerciale». La triangolazione è tutta qui. Mediaset da una parte, il socio americano Frank Agrama dall'altra, i passaggi tra le società con il prezzo che sale ogni volta. Alla fine della strada c'è la falsa dichiarazione fiscale allo Stato italiano. Raramente, con parole così semplici ma efficaci, è stata riassunta la truffa Mediaset. (…). Chi ha inventato, gestito e utilizzato il «giro dei diritti»? Ovviamente il Cavaliere. Scrive la Cassazione: «I giudici di merito, con una motivazione solida e coerente, hanno individuato le caratteristiche del meccanismo riservato, direttamente promanante in origine da Berlusconi e avente, sin dal principio, valenza strategica per l'intero apparato dell'impresa che a lui fa capo». I giudici danno atto alla Corte di appello di Milano di aver ragionato e scritto «con assoluta linearità logica». Soprattutto quando hanno ricostruito la storia economicamente criminale di Berlusconi. Che, a questo punto, la Cassazione fa sua e consegna alla definitività della sentenza quando mette in evidenza «la continuità della gestione dei diritti di sfruttamento delle opere televisive nella forma dell'acquisizione attraverso passaggi di intermediazione fittizi, tutti accomunati dall'aumento considerevole di prezzo lungo il percorso». Prima, durante e dopo c'è sempre il Cavaliere, checché ne dicano gli avvocati quando cercano di cavarlo d'impaccio. L'analisi della Cassazione è (…): «L' avvio del sistema in anni di diretto coinvolgimento gestorio del dominus delle aziende coinvolte - Silvio BERLUSCONI (volutamente riportato in caratteri maiuscoli, ndr.) - e, poi, l'evoluzione del medesimo sistema secondo schemi adattati alle modifiche societarie e anche alle necessità d'immagine esterna». (…). …nell' affaire Mediaset dove «i personaggi vengono mantenuti sostanzialmente nelle posizioni cruciali anche dopo la dismissione delle cariche sociali da parte di Berlusconi e sono in continuativo contatto diretti con lui, di talché la mancanza in capo a Berlusconi di poteri gestori e di posizione di garanzia nella società non è dato ostativo al riconoscimento della sua responsabilità». (…). La Cassazione considera del tutto inverosimile «l'ipotesi alternativa che vorrebbe tratteggiare una sorta di colossale truffa ordita per anni ai danni di Berlusconi da parte dei personaggi da lui scelti e mantenuti nel corso degli anni in posizioni strategiche». (…).

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