"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 4 agosto 2012

Capitalismoedemocrazia. 28 La finanza al tempo del Siv e dello Spv.


È un gioco perverso delle parti. Parla – inopportunamente? - il “drago” della banca centrale europea e le borse van giù che è una bellezza: - 4,6% di giovedì. Chiosa ingenuamente e con dire criptico il temporaneo reggitore della cosa pubblica del bel paese che i mercati sono tardi, ovvero lenti a capire il senso delle cose che avvengono sul pianeta Terra. È veramente strano. Velocissimi a spostare risorse finanziarie immense in un solo battito di ciglia, faticano a capire il senso delle cose dette durante lo svolgimento dell’alto consesso di quella banca. Trascorrono appena 24 ore, giusta una rotazione completa del pianeta Terra attorno al proprio asse, e la borsa di Milano registra un +6,3%. Mi viene da dare ragione ai cosiddetti “post-moderni” che, nel loro asperrimo scontro – per fortuna eminentemente intellettuale - con quelli del “nuovo realismo”, asseriscono che i fatti in quanto tali non esistono proprio ma esiste soltanto la loro interpretazione. I fatti della finanza impazzita, che sono reali, sembrano dar loro ragione. È come si vedono le cose di questo assurdo, ingiusto mondo! È la sempiterna storia del bicchiere che per alcuni è mezzo vuoto, per altri mezzo pieno. Sarà! Ma così il gioco diventa veramente pesante. I fatti sono fatti e c’è poco da scherzare. Afferma Martin Schulz, quello eletto Kapò dall’egoarca di Arcore di infelice e tristissima memoria: - I cittadini sentono l’Europa lontana. Non accettano che le decisioni sulla loro pelle siano prese da un gruppo ristretto. L’Europa non è delle banche. È ora che la politica riprenda il primato sui mercati -. Ben detto. Ma qual è, e dov’è, la politica che possa riprendere “il primato sui mercati”? Sarebbe la stessa politica che è rimasta indifferente – se non ne avesse creato anche le condizioni materiali - all’affermarsi della finanza predatrice che come un’idra a più teste divora l’economia reale? Ed il futuro delle giovani generazioni? Per avere contezza di queste affermazioni basta che si legga, con pazienza, quanto ha scritto sull’argomento il professor Luciano Gallino nella analisi pubblicata sul quotidiano la Repubblica col titolo “Sulla crisi pesano i debiti delle banche”, che di seguito propongo in parte. I fatti sono fatti e nulla può distogliermi da questo semplice convincimento, a dispetto dello scontro titanico tra quelli del “nuovo realismo” ed i cosiddetti “post-moderni”. Ne sembra convinto anche Moni Ovadia nella nota “Sto con i tartassati. Non è demagogia” nella Sua rubrica domenicale sul quotidiano l’Unità: - (…). L’ideologia dell’intimidazione demagogica contro chi chiede giustizia sociale, dignità e diritti, è figlia di una precisa pedagogia che per secoli e secoli ha costruito il mondo a misura dei potenti e dei loro privilegi. Dalla Rivoluzione francese in avanti, questa pedagogia è stata contrastata con crescente forza fino a tutti gli anni Settanta del Novecento, con conquiste significative e con un orizzonte di speranza. Ma dal crollo del cosiddetto comunismo in poi, la demagogia del privilegio si è riaffermata con questo messaggio: «Vi eravate illusi, lo Stato sociale è morto, vi spetta una vita grama, chinate la testa!» -. Ed i fatti stanno lì a dimostrarlo. Se ce ne fosse stato bisogno.

Il 20 luglio la Camera ha approvato il “Patto fiscale”, trattato Ue che impone di ridurre il debito pubblico al 60% del Pil in vent’anni. Comporterà per l’Italia una riduzione del debito di una cinquantina di miliardi l’anno, dal 2013 al 2032. Una cifra mostruosa che lascia aperte due sole possibilità: o il patto non viene rispettato, o condanna il Paese a una generazione di povertà. Approvando senza un minimo di discussione il testo la maggioranza parlamentare ha però fatto anche di peggio. Ha impresso il sigillo della massima istituzione della democrazia a una interpretazione del tutto errata della crisi iniziata nel 2007. Quella della vulgata che vede le sue cause nell’eccesso di spesa dello Stato, soprattutto della spesa sociale. In realtà le cause della crisi sono da ricercarsi nel sistema finanziario, cosa di cui nessuno dubitava sino agli inizi del 2010. Da quel momento in poi ha avuto inizio l’operazione che un analista tedesco ha definito il più grande successo di relazioni pubbliche di tutti i tempi: la crisi nata dalle banche è stata mascherata da crisi del debito pubblico. In sintesi la crisi è nata dal fatto che le banche Ue (come si continuano a chiamare, benché molte siano conglomerati finanziari formati da centinaia di società, tra le quali vi sono anche delle banche) sono gravate da una montagna di debiti e di crediti, di cui nessuno riesce a stabilire l’esatto ammontare né il rischio di insolvenza. Ciò avviene perché al pari delle consorelle Usa esse hanno creato, con l’aiuto dei governi e della legislazione, una gigantesca “finanza ombra”, un sistema finanziario parallelo i cui attivi e passivi non sono registrati in bilancio, per cui nessuno riesce a capire dove esattamente siano collocati né a misurarne il valore. La finanza ombra è formata da varie entità che operano come banche senza esserlo. Molti sono fondi: monetari, speculativi, di investimento, immobiliari. Il maggior pilastro di essa sono però le società di scopo create dalle banche stesse, chiamate Veicoli di investimento strutturato (acronimo Siv) o Veicoli per scopi speciali (Spv) e simili. Il nome di veicoli è quanto mai appropriato, perché essi servono anzitutto a trasportare fuori bilancio i crediti concessi da una banca, in modo che essa possa immediatamente concederne altri per ricavarne un utile. Infatti, quando una banca concede un prestito, deve versare una quota a titolo di riserva alla banca centrale (la Bce per i paesi Ue). Accade però che se continua a concedere prestiti, ad un certo punto le mancano i capitali da versare come riserva. Ecco allora la grande trovata: i crediti vengono trasformati in un titolo commerciale, venduti in tale forma a un Siv creato dalla stessa banca, e tolti dal bilancio. Con ciò la banca può ricominciare a concedere prestiti, oltre a incassare subito l’ammontare dei prestiti concessi, invece di aspettare anni come avviene ad esempio con un mutuo. Mediante tale dispositivo, riprodotto in centinaia di esemplari dalle maggiori banche Usa e Ue, spesso collocati in paradisi fiscali, esse hanno concesso a famiglie, imprese ed enti finanziari trilioni di dollari e di euro che le loro riserve, o il loro capitale proprio, non avrebbero mai permesso loro di concedere. Creando così rischi gravi per l’intero sistema finanziario. (…). Come notavano già nel 2006 due economisti americani, G. B. Gorton e N. S. Souleles, «i Spv sono essenzialmente società robot che non hanno dipendenti, non prendono decisioni economiche di rilievo, né hanno una collocazione fisica». Uno dei casi esemplari citati nella letteratura sulla finanza ombra è il Rhineland Funding, un Spv creato dalla banca tedesca IKB, che nel 2007 aveva un capitale proprio di 500 (cinquecento) dollari e gestiva un portafoglio di crediti cartolarizzati di 13 miliardi di euro. L’esilità strutturale dei Siv o Spv comporta che la separazione categorica tra responsabilità della banca sponsor, che dovrebbe essere totale, sia in realtà insostenibile. (…). La finanza ombra è stata una delle cause determinanti della crisi finanziaria esplosa nel 2007. In Usa essa è discussa e studiata fin dall’estate di quell’anno. Nella Ue sembrano essersi svegliati pochi mesi fa. Un rapporto del Financial Stability Board dell’ottobre 2011 stimava la sua consistenza nel 2010 in 60 trilioni di dollari, di cui circa 25 in Usa e altrettanti in cinque paesi europei: Francia, Germania, Italia, Olanda e Spagna. La cifra si suppone corrisponda alla metà di tutti gli attivi dell’eurozona. (…). Sono passati cinque anni dallo scoppio della crisi. Nella sua genesi le banche europee hanno avuto un ruolo di primissimo piano a causa delle acrobazie finanziarie in cui si sono impegnate, emulando e in certi casi superando quelle americane. Ogni tanto qualche acrobata cade rovinosamente a terra; tra gli ultimi, come noto, vi sono state grandi banche spagnole. Frattanto in pochi mesi i governi europei hanno tagliato pensioni, salari, fondi per l’istruzione e la sanità, personale della PA, adducendo a motivo l’inaridimento dei bilanci pubblici. Che è reale, ma è dovuto principalmente ai 4 trilioni di euro spesi o impegnati nella Ue al fine di salvare gli enti finanziari: parola di José Manuel Barroso. Per contro, in tema di riforma del sistema finanziario essi si limitano a raccomandare, esaminare e riflettere. Tra l’errore della diagnosi, i rimedi peggiori del male e l’inanità della politica, l’uscita dalla crisi rimane lontana.

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