Do per scontato, con questo post,
di dare un fortissimo dispiacere a M.B. Sperando pure di non perdere un altro
dei pochissimi visitatori di questo blog. Visitatore peraltro attento, a
giudicare dalle sue rinnovate cortesi considerazioni sul mio banale operato.
Coltiviamo con M.B., amorevolmente direi, una antica amicizia e condividiamo un
sentire politico che viene da molto lontano. Ciò non toglie che, pur mettendo
in conto una sua riprovazione, debba dire qualcosa sul tema. Ed il tema del
giorno non può che essere, nella distrazione generale che anche l’ultimo
Lucifero concorre a diffondere, lo scambio telefonico Mancino-Quirinale. Incontrandomi
al mio ritorno a ****** per la pausa estiva M.B. ebbe modo di apostrofarmi – “Non
mi toccare Napolitano” – in verità con il sorriso sulle labbra e molto
bonariamente, aggiungendo considerazioni molto positive sull’operato dell’uomo
di Stato. Ora, è pur vero che in questo paese allo sfascio essere un tantino
migliori, ma proprio un tantino soltanto, della media non costa una gran
fatica: basta, possibilmente, volerlo. Non sempre è così. Una cattivissima
sorte sembra impedirlo ai tanti nel bel paese. Ma da questa banalissima considerazione
in poi ne deriva che un uomo di Stato abbia ben altre responsabilità sulle
spalle che pedagogicamente debba necessariamente tirare fuori per non fare
affondare il marcescente vascello alla deriva. E nella fattispecie ho cercato
di dire a M.B. come le cose non siano andate per come ci si sarebbe aspettato
da cotanto uomo. Si è ripetuta amaramente la tragicissima storia all’italiana
del “tenimmo
tutti famiglia”. Con ciò volendo dire che la “famiglia” di qualcuno,
indistintamente parlando, è più “famiglia” della mia o di quella di
M.B. Che con il sentire politico che viene da lontano e che condivido con M.B.
non ci sta proprio bene. Intanto perché la storia tristissima ed italianissima
è di una semplicità estrema che cerco di riprendere per sommi capi per
convincermene sempre di più – della sua inequivocabile semplicità - e non tanto
per convincere M.B. X telefona all’ufficio di Y. Gli risponde Z. Non si è
capito bene sino a qual punto a titolo puramente personale. X cerca un aiuto,
un rimedio, al suo incauto comportamento in un’indagine grossa grossa nella
quale si parla anche di stragi. Di stragi, signori. Di morti ammazzati. Punto.
Z intercede presso Y, e su questo non ci piove. Y avrebbe avuto l’opportunità,
chiara e senza giri di parole, di fare sapere a X, tramite Z, che l’argomento
non aveva dignità – dignità - d’ascolto
per le sue auguste orecchie. Punto e basta. Ciò non è accaduto. Punto e basta,
in nome di quella escrescenza maligna che viene dal detto “tenimmo tutti famiglia”. Scrive
malignamente – ma quanto malignamente poi? -
nel Suo volume “Il cuore oscuro
dell’Italia” il corrispondente inglese Tobias Jones: (…). La dietrologia è l’aria che
si respira in Italia. È il risultato della paranoia e della gelosia e serve
solo a esaltare un’intelligenza intricata. È come Otello con il fazzoletto di
Desdemona: un oggetto innocente può scatenare infiniti sospetti. È un gioco che
fa la gente, quasi per mettersi in mostra. Io preferisco non vedere una
cospirazione che esiste che vederne una dove non c’è. (…). È un’arte
tutta italiana. Ed ecco allora i soliti turiferari dispiegare le loro arti. Ed
una storia semplicissima del tipo “tenimmo tutti famiglia” diviene,
quasi d’incanto, ma non troppo, una caccia all’untore, un attentato alle alte
(?) cariche dello Stato, alla strega di turno per via delle sue fatture
perverse e, per la magia di quell’arte sublime, si preferisce “non
vedere una cospirazione che esiste che vederne una dove non c’è”. È che
la storia tristissima che stiamo vivendo sulle nostre pelli madide - di quest’estate
infernale - non ha niente di una “cospirazione”, che nella Storia
grande ha avuto anche una sua dignità e tanti servigi ha offerto al progresso
dell’umanità eliminando despoti e tiranni di varia natura e coloritura. È stata
solamente una storiaccia – ma proprio una storiaccia - del tipo molto diffuso “tenimmo tutti famiglia”. E
su questo non ci piove. Scrive come sempre pedagogicamente Franco Cordero sul
quotidiano la Repubblica del 22 di agosto – “Le parole incaute del Colle” - : (…). Vent’anni fa uomini del re
negoziavano con la mafia accreditandola quale potere concorrente: consta da res
iudicatae; vale o no la pena sapere cos’avvenisse tra le quinte? Vi ostano
potenti interessi. Cerimonie ipocrite velano collusioni organiche.
Ricapitoliamo i fatti: voci del Quirinale conversano solidalmente con l’ex
ministro in cerca d’aiuto contro la procura intenta alle indagini (in
particolare temeva il confronto con due ex ministri); colloqui editi svelano
gl’interna corporis; l’effetto è deprimente e vari gesti l’aggravano. L’uomo al
vertice afferma d’avere solo adempiuto dei doveri: esorta gl’italiani a stare
tranquilli, perché terrà d’occhio le macchine giudiziarie; in materia
d’intercettazioni aspetta novità delle quali abbiamo gran bisogno (restrittive,
ovviamente, nel testo berlusconiano su cui voterà Montecitorio, e l’attuale
premier manda segnali). Ancora parole incaute, sia concesso dirlo col rispetto
che la persona merita: vanta consensi da tutti gl’intenditori interloquenti
nell’affare e «il più largo riconoscimento»; lancia accuse d’ascolto abusivo;
esige la distruzione dei materiali, mentre sarebbe bello esporre al pubblico i
due dialoghi occulti; rovescia le bilance sollevando un clamoroso conflitto
davanti alla Consulta. Spettatori equanimi guardano esterrefatti. In una
circostanza dolorosa (è morto il consigliere compromesso) quirinalisti
volontari gridano l’«assassinio mediatico ». Nell’Italia postfascista non s’era
mai visto tanto plumbeo mimetismo, sebbene siano motivo ricorrente le partite
ad armi impari. Pedagogicamente, dicevo. Accade sempre che, se la
lettura di un qualsivoglia pensiero – minimo come lo è il mio o massimo come
quello del professor Franco Cordero non ha importanza -, messo sulla tradizionale
carta che si può appallottolare e buttare con fastidio nel cestino o su di un
foglio elettronico come avviene su questo blog, non viene incontro alle aspettative
del lettore, a ciò che il lettore si aspetta che gli venga detto, a conferma
delle sue costruzioni mentali, scatta inconsapevolmente quel bisogno perverso
della “dietrologia” che “è l’aria che si respira in Italia”.
Un’aria sempre maleodorante ed insana. Per gli uomini e per le bestie.
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