“Noi e la banalità del male a Gaza”, testo di Franco Cardini pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di ieri, martedì nove di decembre 2025: Ormai su Gaza e sul suo indicibile, inconcepibile sacrificio, sono stati detti e scritti fiumi di parole: tanto da farne un'immensa Biblioteca dell'Orrore, un indelebile Archivio della Vergogna. Un orrore, una vergogna che non pesano soltanto su chi ha sacrificato un popolo e una città per sete di vendetta, per cinico calcolo geoideologico e geopolitico. Su questa tragedia perpetrata da chi ha inteso dimostrare l'onnipotenza della sua intoccabilità, accettata da governi e da istituzioni che non hanno osato infrangere il silenzio complice che consente a un Re ormai Nudo d'incedere ostentando impunito la sua nudità, si è detto tutto e il contrario di tutto, si sono accumulati sofismi e ipocrisie pur di tacere la verità, pur di non pronunziare una semplice parola che avrebbe scosso le fondamenta del nostro tempo, sconvolto le basi dell'unico dogma sul quale ancora poggia la nostra Modernità. Quando la Forza violenta con aperta impudica brutalità le intime strutture morali di una società che si vanta di fondarsi sul Diritto, sulla Ragione, sulla Pace, a chiunque ha preteso di fondarsi, fino ad allora, su quei valori, non rimane che il silenzio. Eppure, resta nonostante tutto falso che chi tace acconsenta. Chi tace, tace e basta. Ma il suo silenzio gli grava addosso come una montagna. E le montagne sono di pietra. E le pietre - come sta scritto - gridano, quando gli uomini tacciono contro la Verità e la Giustizia. (...). Fino al 1948, Gaza restò una piccola, tranquilla cittadina con un buon porto: finché, in quell'anno, la sua popolazione esplose con l'arrivo dei profughi palestinesi all'indomani della guerra arabo-israeliana. La città fu posta sotto l'autorità del governo egiziano. Tra il 1948 e il 1967, alla vigilia del conflitto in corso, giunse a contenere il mezzo milione di abitanti su una superficie di circa 365 chilometri quadrati (40 chilometri di lunghezza latitudinaria, 8-10 al massimo di larghezza latitudinaria): la "Striscia di Gaza", abitata da 1.700.000 abitanti e considerata la prigione a cielo aperto più grande del mondo. Dal 1967, la "Striscia" passò al controllo egiziano insieme con la penisola del Sinai, restituita all'Egitto con il trattato di pace del 1979. Dal 1979, Gaza e Gerico furono le prime città palestinesi a ottenere una certa autonomia, che, però, non condusse ai risultati che si speravano. Impossibilitati a uscire dal perimetro della "Striscia", rigorosamente controllati dagli israeliani, i gazawi - quasi del tutto musulmani, a parte qualche piccola comunità cristiana - si trovavano anche in cattivi rapporti con l'Authority cisgiordana controllata dall'Olp. La tensione calò leggermente nel 2005, quando il governo diArielSharon obbligò a sgombrare i coloni israeliani abusivi. Ma le elezioni dell'anno successivo, il 2006, condussero alla guida dell'amministrazione cittadina il partito fondamentalista Hamas, che progressivamente agì in termini autoritari e repressivi nei confronti della sua stessa popolazione gravandola di ulteriori disagi. Fin qui, ho raccolto sommariamente qualche dato per rammentare a chi manchi o difetti anche dei dati storici di fondo di che cosa si sta parlando. Mi arresto al 2006, l'anno del successo di Hamas a Gaza - il successo di un organismo che molto riduttivamente si può definire soltanto "terrorista", in quanto ha svolto anche un'attività sociale e politica molto intensa guadagnandosi il credito che i palestinesi gli hanno a lungo accordato - non senza ricordare che ai suoi esordi il movimento venne energicamente favorito dalle autorità israeliane in quanto si riteneva primaria la necessità d'impedire il realizzarsi dell'intento politico dell'Olp, vale a dire la creazione di una coscienza identitaria nazionale in grado d'imporsi primariamente rispetto a quella religiosa: era la parola d'ordine di conio nasseriano ("Prima di tutto egiziani; quindi musulmani, cristiani e tutto il resto") che Arafat intendeva imprimere nell'anima e nel sentimento di ciascun palestinese per condurlo a impegnarsi con tutte le forze all'obiettivo della liberazione del Paese. Era per questo che in tutta la Palestina le istituzioni dei Terra Sancta Colleges, le scuole secondarie gestite dalla Custodia Francescana di Terrasanta, che accoglievano studenti sia cristiani sia musulmani, erano tanto detestate da buona parte del mondo ebraico: venivano accusate - e obiettivamente a giusto titolo - di costituire un potente strumento d'integrazione nazionale palestinese, di rafforzamento della coscienza civica di un paese che si voleva trasformare intimamente in popolo affinché fosse davvero in grado di promuovere la fondazione di un libero Stato. Eppure, va riconosciuto che l'apprensione circolante tra gli israeliani ebrei era giustificata. Nella prospettiva, da tanti auspicata, dei "due popoli-due Stati", come si sarebbe potuto evitare la possibilità che il libero Stato palestinese del domani, confinante con Israele, scegliesse di aderire a un sistema internazionale di alleanza opposto a quello dell'asse israelo-statunitense? (...).
ilcavalierdelamancia
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
mercoledì 10 dicembre 2025
Doveravatetutti. 40 “Olocausto: forse che sì, forse che no”.
(…). Le riflessioni di Hannah Arendt sul processo ad Adolf
Eichmann hanno segnato non solo il Novecento, ma la civiltà umana. Quel che
faceva, quel che diceva e come lo diceva: il boia nazista poteva essere una
persona qualunque, perché era una persona qualunque. Come lo erano i
volenterosi carnefici di Hitler raccontati da Daniel Goldhagen, cioè quei
milioni di tedeschi qualunque che diedero il loro contributo alla Shoah.
Pensavo a tutto questo guardando No Other Land, il capolavoro dei due
co-registi Basel Adra e Yuval Abraham, racconto in presa diretta della storia
dei palestinesi in Cisgiordania, che da quasi mezzo secolo subiscono le
violenze sistematiche dei coloni e dell'esercito israeliano. Lo dico subito,
per il profondo rispetto che ho per le comunità ebraiche: non voglio paragonare
all'Olocausto la tragedia che si consuma nel West Bank e a Gaza. Se quello
compiuto oggi da Netanyahu è genocidio secondo il diritto internazionale, come
sostiene l'Onu, mi pare resti incomparabile con quello perpetrato dai criminali
nazisti. Eppure le radici del male, quello spicciolo, quotidiano, a volte si
avvicinano e a tratti si intrecciano. (…). Quanto male c'è nel cuore dei
soldati che da decenni nel villaggio di Masafer Yatta spianano con ruspe e
blindati le baracche e i prefabbricati dove vivono intere famiglie, le casupole
dove fanno scuola i bambini, i recinti dove si allevano un po' di capre, di
pecore, di galline? Quanto male c'è nel cuore di civili che subito dopo occupano
quei terreni per costruirci le loro graziose villette con i fiori e il
giardino, senza uno straccio di rimorso per i poveri cristi ai quali hanno
tolto tutto? "Perché?", gridano in lacrime le donne palestinesi,
mentre guardano impotenti le loro catapecchie distrutte. (…). La banalità del
male sta in questo. In questa efficienza della "macchina" del potere
e in questa indifferenza al dolore degli altri. (…). E a proposito di
"normalità", sono grato a Giovanni De Mauro, che su Internazionale ha
pubblicato la lista dei prodotti di cui da oltre dieci anni Israele vieta
l'ingresso nella Striscia di Gaza "per ragioni di sicurezza". È
lunghissima, cito a caso. Lampadine, candele, fiammiferi, libri, strumenti
musicali, matite, materassi, coperte, pasta, tè, caffè, cioccolato, noci,
carne, posate, tazze, bicchieri, shampoo, balsamo, frigoriferi, computer
portatili, legname, succhi di frutta, albicocche, prugne, carote, latte,
strumenti chirurgici, gomme da masticare, stoffa, vestiti da sposa,
omogeneizzati, giornali, stufe, vasi da fiori, piante, pannolini. E carta
igienica, vietata anche quella, insieme a decine di altre cose della vita di
tutti i giorni. La lista del male. Gratuito e banale. (Tratto da “Chi
ha paura delle albicocche?” di Massimo Giannini, pubblicato sul settimanale
“d” del quotidiano “la Repubblica” del 6 di dicembre 2025).
lunedì 8 dicembre 2025
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