"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 17 settembre 2025

MadeinItaly. 62 Pino Corrias: «Transitando dalla opposizione al governo del Paese, non ha mai fatto i conti con il suo passato, né con il suo presente. Fatica a pronunciare la parola “antifascismo”, considerandola sequestrata dalla sinistra. Che attacca ogni volta che può, ma sempre maneggiando l’arma del vittimismo, il fantasma degli alti salotti, dei nemici “in giacca e cravatta”. Salvo che a forza di fingersi hobbit, gli “abitanti dei buchi”, saranno quei buchi (di storia, di studio, di ipocrisia) a imprigionarli».


Ognuno ha il suo cinema che lo accompagna, metà memoria metà visione, e per me Redford sarà per sempre Jeremiah Johnson, il cacciatore solitario del film omonimo di Sydney Pollack che fu rititolato, in Italia, “Corvo rosso non avrai il mio scalpo”, alla maniera sgangherata del western nostrano. Insieme a “Dersu Uzala” di Kurosawa e a “Balla coi lupi” di Kevin Costner, quel film occupa, nel mio piccolo pantheon, uno spazio importante, quello dove si illustra e si illumina la dura simbiosi tra l’uomo e la natura. L’uomo che vive a stretto contatto con le bestie, i fiumi, i boschi, la neve, il vento, il gelo, la fame - e la civiltà è molto lontana. Solo Jack London, e certe poesie di Walt Whitman, si collegano, nella mia testa, a quel confondersi magnifico del corpo umano con gli elementi. Le riprese furono nello Utah, e il fiume dove è stata girata la scena finale è uno dei posti che vorrei sognare ogni notte. Dopo strenue vicende di sopravvivenza, di caccia, di lotta, Redford sta bevendo, sfinito, l’acqua di quel fiume. Alza la testa e vede, a pochi metri, il suo nemico acerrimo, il capo dei Corvi, che lo sovrasta dal suo cavallo. Il nativo e l’invasore bianco sono al varco del duello finale, e il bianco cerca di afferrare il fucile. Ma il capo alza la mano, inerme, in un segno di saluto, di rispetto e di conciliazione. Oggi nessuno ucciderà nessuno. L’acqua del fiume, e le montagne intorno, suggeriscono solo eternità e pace. In omaggio a Redford e come antidoto ai veleni del presente, bisognerebbe fare vedere quel film nelle scuole americane. Non è woke (è durissimo) e nemmeno Maga (dà ai nativi ciò che è loro). Dice che il vero valore degli uomini è nella scoperta di vivere lungo lo stesso fiume. (Alla cara memoria di Robert Redford. Tratto da “Uomini lungo lo stesso fiume” di Michele Serra, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi).

“Giorgia Hobbit e i cattivi maestri”, testo di Pino Corrias pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, mercoledì 17 di settembre 2025: Ma davvero Giorgia Meloni, a 48 anni compiuti, non è ancora uscita dalla penombra della sezione missina di Colle Oppio, dove scalò l’adolescenza e la militanza? (…). Dal 1969 al 1980 abbiamo avuto, qui in Italia, 7 stragi di matrice neofascista: Piazza Fontana, Gioia Tauro, Peteano, Questura di Milano, Piazza della Loggia, treno Italicus, stazione di Bologna. Tutti labirinti di inchieste, depistaggi, processi che hanno condotto al filo nero delle trame e ai responsabili, titolari di odio e di tritolo, variamente distribuiti nelle organizzazioni del terrorismo nero, da Ordine Nuovo a Ordine nero, da Avanguardia nazionale ai Nar. A loro volta intrecciati, finanziati, coperti da quell’altro mondo dei poteri occulti, i Servizi segreti, la P2, la rete anticomunista e clandestina di Gladio. Gli identici poteri che sempre qui, in Italia hanno lavorato a tre tentativi di colpo di Stato, nel 1964, nel 1970, nel 1974. Sollecitati dal crescente allarme delle lotte sociali di quegli anni che rischiavano di sbilanciare a sinistra la Repubblica, la sua appartenenza al blocco occidentale, esito stabilito alla fine di una guerra persa, la Seconda guerra mondiale (combattuta in camicia nera al fianco della macchina di sterminio nazista) liberata, protetta e insieme occupata dalle forze militari americane. Accadde certamente che la violenza di quegli anni non fu a senso unico, né poteva esserlo. Protagonista di quella stagione di sangue non fu la sinistra che si riconosceva nel Partito comunista, ma quella che lo contestava da sinistra, quella extraparlamentare dei movimenti giovanili che si presero le piazze e le cronache, i teorici della “Nuova resistenza” imbracciata per rimediare al tradimento di quella vecchia che segnò, dal 1943 al ’45, il riscatto dell’Italia dal ventennio fascista, depositato a fondamento della nostra Costituzione. Le Brigate rosse – malamente rievocate in questi giorni – non c’entrano nulla con l’oggi. Nascono per metà dalla matrice cattolica di una radicale militanza cristiana, per l’altra metà dalla cultura marxista-leninista in forte contrasto proprio con il Partito comunista, che più di tutti fu protagonista di quella guerra di liberazione “interrotta”. Che ne rivendicava le radici. E che a differenza di quello che crede Giorgia Meloni e la vulgata opportunista della destra, si oppose al terrorismo nero tanto quanto a quello rosso, affiancandosi – non solo sul piano politico – all’azione di contrasto di carabinieri e polizia, esercitando la sua influenza sulla classe operaia e le forze sociali progressiste che in parallelo ai disordini che infiammavano le piazze e al sangue versato, contribuì al nuovo ordine delle conquiste sociali e civili dell’intero decennio anni Settanta. Renato Curcio e Mara Cagol, fondatori delle Br, hanno matrice cattolica, prima che leninista. Franceschini, Gallinari, Pelli, Paroli, Ognibene, vengono dalle file del Partito comunista e partigiano di Reggio Emilia, sono loro il nucleo giovanile e insofferente che contesta il Pci fino alla scissione e alla scelta della lotta armata. Cento altri futuri militanti usciranno dalle formazioni extraparlamentari, Lotta Continua, Potere operaio, Servire il popolo, Autonomia operaia. Tutti credendo finito “il tempo della mediazione e dei partiti borghesi” e inevitabile la scelta dell’avanguardia armata, del “comunismo che diventa percorso al comunismo”. Nemico lo Stato. Ma nemico anche il Partito comunista di Berlinguer e del suo ministro dell’Interno ombra Ugo Pecchioli, che dello Stato si sentono fondamento e anche baluardo, spesso con più fermezza della Democrazia cristiana. Nelle piazze, nei quartieri di Milano, Roma, Torino, Genova, Padova, Napoli, si combatte un’altra guerra, con le parole d’odio, le spranghe, i coltelli, le pistole, i ragazzi morti ammazzati. Guido Salvini, magistrato che per una trentina d’anni a Milano si è occupato di quel sangue versato – da Piazza Fontana a Sergio Ramelli, a Fausto e Iaio – ha provato a contabilizzarli quei morti, 19 ragazzi di sinistra uccisi, 7 ragazzi di destra. E se ogni morte com’è giusto pesa in sé, anche la proporzione pesa, non per intestarsi il primato di un delitto o di una colpa, ma per la verità dei fatti. In quanto alle parole d’odio, Giorgia Meloni ha accanto a sé l’archivio vivente di quel catalogo, Ignazio La Russa, oggi presidente del Senato, che di quegli anni fu protagonista, insieme con Almirante, Servello, Pisanò e i rispettivi busti di Mussolini riscaldati dalla fiamma tricolore, durante la stagione missina a Milano e Roma, con le scorribande delle frange più o meno violente dei camerati del Fronte della gioventù.