Rosalba e Saretta
“È me patri”
È me patri
l 'ùrtimu carritteri di lu munnu
lu veru cavaleri du travagghiu
È me patri
chi parteva prestu a matina
e chi turnava tardu a sira
cu suli e cu ventu
cu lustru e cu scuru
E cu suduri e cu l'umiltà
fici na casa forti di veri qualità
Strudiu a so vita p'a famigghia
e io chi sugnu sò figghia
pozzu sulu ringraziari u Signuri
chi mi desi stu ranni unuri.
Saretta Sgrò
Il ricordo dell'ultimo carrettiere nel centenario di Capo d'Orlando richiama l'attenzione sulle trasformazioni che ha attraversato la comunità. Il paese con la sua posizione strategica lungo la costa siciliana ha avuto sin dalle sue origini una forte connessione con il commercio e i trasporti. Il lavoro del carrettiere era essenziale per il trasferimento di merci agricole, prodotti locali e materie prime. Capo d'Orlando si svegliava con il tintinnio delle campane e il rumore cadenzato degli zoccoli sulle strade sterrate. I veicoli a motore erano rari e i carretti procedevano nel ritmo costante di un tempo che sembrava non avere fretta. Il carrettiere non si limitava a spostarsi all'interno del paese, i suoi viaggi al passo lento del cavallo, lo portavano nei paesi vicini e anche in quelli dell'entroterra. Per le tratte più lunghe non si partiva mai da soli, si viaggiava in piccoli gruppi di due o tre per affrontare meglio le insidie e la solitudine del viaggio. Molti carrettieri lavoravano in conto terzi e per farlo dovevano conoscere bene gli animali, saperli guidare, rispettare, e soprattutto consegnare la merce senza danni, puntuali, affidabili. L'ultimo protagonista di questo mestiere antico è Ciccio, testimone storico di un secolo di cambiamenti raccontati da fotografie, documenti, arnesi, ricordi. La ricorrenza è, per me e mia sorella, rendere omaggio ad un padre che ci ha dato tutto e, sopra ogni cosa, ci ha trasmesso la forza dell'umiltà. Francesco Sgrò, chiamato da tutti "Ciccio", è nato a Capo d'Orlando 1'11 marzo 1922 in via Statale Nazionale, 42 dove i genitori, Rosalia Costantino e Giuseppe Sgrò, avevano acquistato casa. Dopo pochi mesi di vita è affetto da meningite che gli provocava una parziale sordità. Cresceva comunque sano e forte; predisposto ad affrontare la vita con tenacia, coraggio e passione. Dopo Ciccio sono nate tre sorelle: Nunzia, Antonietta e Pippa. Il 24 aprile 1957 ha sposato la sua adorata Catena Ramondini, donna di infinita saggezza e di assoluta dedizione alla famiglia. Con Catena hanno comprato una casa in via Consolare Antica, 122, nella quale hanno vissuto fino alla fine dei loro g10m1. Dal loro matrimonio sono nate due figlie: Rosalba e Saretta. Una volta sposate, anche loro abitano tutt'ora, al primo e al secondo piano della casa sulla Consolare. Ciccio e Catena sono diventati nonni di quattro splendidi nipoti: Alice, Francesca, Emilia, Salvatore. Ciccio ha iniziato a lavorare all'età di undici anni insieme al padre, anche lui carrettiere; in seguito, maneggiava cavalli di altri proprietari che assumevano i carrettieri per le loro attività commerciali. A Capo d'Orlando il mestiere di carrettiere era molto diffuso perché, come già detto, il commercio e i trasporti erano il cuore pulsante del paese che stava nascendo. I carretti erano in legno, comprese le ruote che avevano intorno un cerchio in ferro, "u circuni", per essere idonee a percorrere strade sterrate e polverose. Sotto il carretto c'era attaccato "u rituni", una grossa rete dove riporre "u bummulu" per l'acqua, "u vacili" per dare da bere ai cavalli, "u paraccu" per ripararsi dalla pioggia, una robusta corda per ogni eventuale necessità. I carretti venivano costruiti e riparati dai carradori (o carrai), artigiani responsabili della struttura del carro: telaio, ruote, assi, tutti in legno. Le parti metalliche venivano forgiate e montate dal fabbro. Il lavoro finale era quello del pittore; i carretti da lavoro non avevano decorazioni particolari, erano semplicemente dipinti di rosso, verde o giallo. L'ultimo carradore orlandino è stato il signor Antonino Romeo, la sua "officina", in via Tripoli, era una struttura interamente in legno, al suo interno lavoravano anche fabbri e maniscalchi, pronti a soddisfare ogni necessità dei carrettieri della zona. I finimenti, "armiggi", (testiera, sottopancia, pettorali, redini) erano in cuoio decorati con borchie, specchietti e piccoli pompon. Tra il testale e le redini c'era la sonagliera, una striscia di cuoio alla quale erano attaccate le campane che, con il loro suono avvisavano del passaggio dell'animale. Era un tintinnio soave che seguiva il ritmo del passo del cavallo. I carrettieri avevano sempre con sé "a coffa", contenente cibo per i cavalli e "a zotta", una frusta usata solo per incitarli a cambiare passo, mai per colpirli. Sin dagli anni '30 i carretti da trasporto dovevano esporre una targa identificativa rilasciata dal Comune. Era una piccola lastra metallica inchiodata o rivettata sul retro del carretto, ben visibile. Aveva un colore differente in base alla destinazione d'uso del veicolo: verde per i carretti adibiti al trasporto di merci. Negli anni '30 -'40 i carrettieri orlandini affrontavano anche lunghi tragitti, dal mare fino all'entroterra. Si spingevano sino a Enna, ore e giorni di viaggio tra campi assolati e montagne silenziose per caricare grano. Andavano "alle marine", ossia le piantagioni di grano, così chiamate perché erano distese immense come il mare. Nelle strade polverose, deserte e buie, i carrettieri erano spesso preda di banditi che, puntando il fucile, li costringevano a consegnare il denaro destinato all'acquisto del cereale. Nei racconti di mio padre c'era anche quello della volta in cui, a Nicosia, è riuscito a sfuggire ad un agguato di ladri, salvando anche il denaro, nascosto dentro una scarpa. Durante la notte era obbligatorio appendere alla "cascia" del carretto il lume, necessariamente a petrolio, in quanto garantiva una durata più lunga rispetto a quello ad olio. Ulteriori mete di quel periodo erano Caronia, per "caricare" il sughero destinato alle fabbriche della zona produttrici di tappi, e Santo Stefano, per il trasporto di "quattare", "bumbuli", "baini" e ogni tipo di vaso per soddisfare le esigenze delle tante botteghe di terraglie. Il viaggio era particolarmente arduo quando si percorreva la Statale 113, nel tratto del fiume Rosmarino. Mio padre raccontava che la zona era così oscura, solitaria e silenziosa da destare profonda inquietudine. A quei tempi era l'unica strada percorribile per raggiungere i paesi lungo la costa orientale, dopo Capo d'Orlando. Dal 1942 al 1945 Ciccio è stato soldato durante la Seconda Guerra Mondiale; prima nella quinta Compagnia di Sussistenza di Trieste e poi nel Campo Poste e Riordinamento di Reggio Calabria. Raccontava gli avvenimenti di quegli anni trascorsi in guerra con orgoglio e fierezza, soprattutto del periodo in cui si occupava di cavalli nelle scuderie della base militare di Cosenza. Tornato dalla guerra ha comprato il suo primo cavallo, baio con le zampe posteriori bianche. Diceva che la prima cosa da fare con un cavallo nuovo era montarlo a pelo: il contatto diretto permetteva di entrare in sintonia. In quegli anni, i trasporti dei carrettieri consistevano soprattutto in casse di limoni che, dai luoghi di raccolta, venivano trasferite nelle tante aziende orlandine, dove si lavoravano e si distribuivano i pregiati agrumi. Per questo tipo di trasporto si utilizzava la carrozzella, una piattaforma in legno senza sponde. La stessa veniva adoperata anche per carichi di legname, sacchi contenenti vari tipi di merce, balle di ghiaccio avvolte nella pag Inoltre, sin da quando si erano insediati a Capo d'Orlando importanti commercianti di nocciole, i carrettieri facevano la spola tra i magazzini di deposito in via Alessandro Volta e la stazione ferroviaria, dove degli operai trasferivano le merci nei vagoni in partenza per le spedizioni.


