Sopra. Gianni Rodari
- Com'è questo Albergo Italia?
Un albergo del malessere, rispondo, del fastidio e dell'insonnia. Qua e là, sempre più, dell'ansia, della paura. Ma ha il fascino dei Grandi Alberghi declassati, con le lapidi che ricordano i soggiorni degli Imperatori e dei Musicisti; e poi è il mio... Mi conoscono, non ci sto come un Nessuno senza tuttavia starci come un Qualcuno, se di notte grido una mano arriva. Occupo una buona camera, sempre la stessa, con tendine per vedere e non vedere, ma la vista guardando dalla finestra via via ha perso grazia; è cosa in movimento, ogni poco tempo è toccata dall'inspiegabile: una collina sparisce e al suo posto c'è fumo e acciaio, un cortile con cariatidi che cantano ammutolisce in un colombario per costosi defunti, una nicchia per Madonnetta diventa motoraio, ai buoni odori di cucina e di giardino che sentivo sono subentrate esalazioni che bruciano la gola. Eppure, quando apro le imposte, dico: speriamo di sentire ancora gli odori acri che bruciano la gola, ormai consueti, che non ci arrivi un peggiore pugno. Sogni me ne mandano parecchi le fenditure del visibile, in questo albergo alla deriva; di amori ho ricordi dal pianterreno ai piani più alti, inesauribili di metafisica dell'oscuro sbaraglio, e qui ho scritto migliaia di lettere e forse un altro migliaio ne ho ricevute. Gli attuali occupanti, che incontro per i saloni, le scale, in ascensore, ambienti tenuti male dal pigro personale, o guardo rannicchiato in una poltrona sbindolata vicino al Bureau, con faccia lewiscarrolliana di uccello notturno che non fa capire i geroglifici che pensa, sono una folla immensa e minacciosa di cretini - di cretini tutti uguali, che dei giochetti facili ma infernali catturano, cretini che vanno dietro a capibanda e fischietti imbrattati di merda e zolfo. La loro vista mi scoraggia... Qualche refrattario non cretino si stacca dal mucchio e viene a confessarmi il proprio disagio: intorno a me si è raccolto un piccolo club di disperati e di sconfitti che mi amano perché li introduco bene nelle sciagure. Da punti impensati viene ad accarezzarmi i piedi il Meraviglioso Naufragato, il Nobilmente Triste: lampade non estinte, vigore residuo di tralucente, segni non catarrosi di destino umano, diamanti di verità come via alla morte, rottami grandi in visioni riapparsi integri. Ci sono dei piaceri anche per noi arrostiti, anche per noi che la pesante oscurità in cui tutti brancolano più sensibilmente opprime. Tutti frequentano frenetici l'Estero; i più dei miei viaggi io li faccio su e giù per questo albergo dove compensi al malessere e alla vergogna sono una quantità di angoli immaginari, tante stanze non occupate e senza numero sulla porta (prive anche di porta, anche di pavimento), le Sale di Scrittura dove agonizzano i fermacarte sotto l'applique impolverata, i bagni dove la bianca vasca è grande e fuggitiva come Moby Dick. Anche nella riservata Camera-Me-Stesso ritrovo una montagnesca pace, costantemente intrattenuto da Ombre, mentre se cambiassi albergo non scamperei all'angoscia, la solitudine mi annegherebbe. Ma, nelle camere occupate, non immaginarie, lo strepito triviale è così forte da insanguinare i muri. (…). (Tratto da “Albergo Italia” di Guido Ceronetti, Einaudi editore, 1985).
“Si scrive rage bait ma si pronuncia acchiappacitrulli”, testo di Elena Stancanelli pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 2 di dicembre 2025: Le parole non cambiano il mondo. Né apparendo di colpo nelle nostre frasi né quando proviamo a farle scomparire. Sarebbe bello se bastasse smettere di dire cancro, guerra, dolore perché cancro, guerra e dolore sparissero dalla faccia della Terra. Né tantomeno sostituiscono la realtà. (…). Le parole hanno un’altra funzione. Come scriveva Elsa Morante - una che di parole se ne intendeva parecchio - in quel saggio scritto a metà degli anni Sessanta ma ancora sconvolgente che si intitola Pro o contro la bomba atomica, l’arte è il contrario della disintegrazione. Lo scrittore, il poeta, l’artista, chiunque abbia parole nella sua cassetta degli attrezzi, deve essere garante e testimone di quella integrità. Testimoniare ciò che è integro contro ciò che si disintegra. Teniamolo a mente. Ogni anno l’Oxford Dictionary sceglie una parola simbolo, la parola che più di tutte dovrebbe rappresentarci. Una parola testimoniale, non creativa.


