“È ora di religione”, testo della intervista di Stefano Vastano al sociologo e politologo tedesco Hartmut Rosa pubblicata sul settimanale “L’Espresso” del 31 di ottobre 2025: (…). «Le promesse della secolarizzazione non hanno avuto luogo. Oggi registriamo da più parti un ritorno alla fede e ai riti della religione, (…) l'uomo ha un bisogno estremo di dare senso alla sua vita e di sentirsi più connesso agli altri», (…).
Professor Rosa, nel 19esimo e 20esimo secolo l'idea del progresso storico e sociale era che la secolarizzazione, la tecnica e le scienze avrebbero portato all'evanescenza progressiva della religione. Il secolo in cui viviamo sembra confutare questa tesi sulla fine della religione. «Nel 21esimo secolo abbiamo a che fare con due evidenze contrapposte rispetto alle religioni. Da un lato registriamo in molte nazioni occidentali, in Spagna o qui in Germania ad esempio, lo svuotarsi delle chiese. Ma in altre società occidentali, e basti pensare agli Stati Uniti, la richiesta di fede è ancora molto forte e a tutti i livelli sociali».
Sono le spinte della globalizzazione a determinare una riscoperta del sentimento religioso? «È un dato di fatto che l'impulso ossessivo verso la crescita economica, la Produzione e consumo, senza limiti e ben oltre le risorse ecologiche, porti gli individui a una deflagrazione interiore. Nelle nostre società è esploso, (…) un grave buco esistenziale che produce a sua volta ciò che chiamo una risonanza verticale"».
Di quale "risonanza" interiore ha bisogno il soggetto della modernità? «Come scrive nel suo ultimo saggio Charles Taylor, nelle nostre società postmoderne l’uomo sente l’egenza di una "cosmic connection". Contrariamente alle interpretazioni classiche della modernità, per cui secolarizzazione importava il sistematico "disincanto" della fede, nell'uomo contemporaneo è forte l'esigenza di darsi risposte. Questioni che hanno a che fare con il suo stare al mondo, con il suo rapporto con gli altri e con cosa lo relazioni al tutto. Ed è indubbio che la tradizione e il linguaggio della religione offrano risposte a queste domande impellenti».
Risposte che certo non saranno i social a fornire. O non sarà che la pervasività e l'inconsistenza della comunicazione digitale incrementino la voglia di spiritualità? «Per quanto i social insistano nel sollecitare il nostro narcisismo, quel che l'uomo chiede alla religione è un senso del tutto. Un richiamo a una comunicazione con gli altri che tocchi in profondità e modifichi persino la mia esistenza. È questo il piano valoriale della "risonanza religiosa (…). Certo non può essere soddisfatta né dalla corsa sfrenata alla crescita economica né sui social».
Ovviamente non sta parlando di religione come esperienza mistica o sballo esoterico. «Al contrario. Il mio saggio si intitola "Perché la democrazia ha bisogno della religione" perché nella sfera della religione, con i suoi riti e le sue tradizioni, possiamo trovare risposte alle nostre attese di senso, a quelle della nostra esistenza e del nostro rapporto con gli altri. Non si tratta di nulla di mistico. La celebrazione del Natale, ad esempio, rimanda a quella esperienza della "natalità" a cui alludeva già Hannah Arendt, ossia al rinascere in un mondo in cui ci sentiamo più connessi agli altri. Ed è questa forte risonanza col mondo che oggi, tramite la sfera religiosa, può ridare vigore alle nostre istituzioni democratiche in crisi».
Per Marx invece la religione era "l'oppio dei popoli". Per Freud un'illusione infantile. E per Nietzsche l'ultimo abbaglio della metafisica. Cosa ci è rimasto oggi dei tre grandi maestri della "scuola del sospetto"? «Restano attuali i moniti che vengono da Marx, Freud e Nietzsche. La sfera religiosa, infatti, include sia risonanze positive, sia forme dogmatiche e di assolutismo politico, che si rivelano i più spietati killer della società democratica. Il volto della religione è sempre un Giano bifronte: una volta ridotta a decalogo normativo e imposta ai fedeli come verità assoluta da una teocrazia al potere, la fede si trasforma in una mostruosità collettiva e talebana. La risonanza positiva della fede sta invece nell'apprendere l'ascolto dell'altro, nel partecipare a un dialogo che possa cambiarci dentro. Ma se sono un fedele che esegue quel che Dio o il clero mi comandano, l'altro non potrà che apparirmi che come un infedele o un nemico da eliminare».
Alla domanda se fosse religioso, Max Weber rispondeva di non essere "musicale abbastanza". La domanda di fede presuppone uno slancio di tipo estetico a percepire il sound della trascendenza? «Quel che è sicuro è che con strumenti argomentativi e razionali non riusciremo mai a definire chi sia Dio, cosa ci chieda e perché. Ciò non toglie che il sapere della religione favorisca una disposizione ad aprirsi all'altro e a rispettarne la vita. Ed è questo il nocciolo dell'impianto democratico, il dialogo e il rispetto cioè di chi vive, pensa e si veste diversamente da me. Ma che io voglio ascoltare perché sento che ha qualcosa da dirmi».
Peccato che sia il contrario della situazione quotidiana che viviamo nei media, nei parlamenti e in ogni autobus o piazza. Siamo immersi in una aggressività diffusa, e l'ultima cosa che facciamo è predisporci al dialogo. «Ripeto: la società moderna si sente obbligata ad accelerare di continuo le sue tecniche di produzione e consumo. È un impulso cieco, irrazionale e che riproduce crisi su tutti i fronti: economici, ecologici ma anche culturali e personali. Le promesse in cui i nostri genitori credevano - che i loro figli vivessero una vita migliore - risultano oggi irrealizzabili. Le accelerazioni economiche e tecnologiche non aprono ma oscurano orizzonti di futuro. Siamo impantanati in una crisi globale. Questo quadro oscuro produce nei cittadini frustrazione e disillusione. E il ritorno al potere di governi sempre più dispotici e autoritari».
Sta quindi dicendo che Putin, Erdogan o Trump, i faraoni del 21esimo secolo, sono la conseguenza diretta e più evidente degli epocali fallimenti della secolarizzazione? «Le politiche di Putin, Trump, Erdogan e di tutti regimi autocratici attuali sono di segno opposto a una democrazia che implementi risonanza come ascolto dell'altro. Tutti i premier sovranisti altro non vogliono che la più netta affermazione di un'identità nazionale e culturale spacciata come unica forma d'esistenza. Una politica dogmatica dell'identità che si può esercitare solo come continua negazione e repressione delle minoranze. Questa deriva sovranista è il risvolto peggiore del fallimento della secolarizzazione, che sta dando vita alla rinascita nel 21esimo secolo di violente forme di "teologia politica"».


