"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 27 novembre 2025

CosedalMondo. 83 “Elsa Morante”.

 


                        Il Visconte di Valmont alla Marchesa Di Merteuil

 [...]. Speravo di potervi mandare stamattina la risposta della mia amata: ma è quasi mezzogiorno e non ho ancora avuto nulla. Aspetterò fino alle cinque; se allora non avrò avuto notizie, andrò a prenderle io stesso; perché, soprattutto in fatto di condotta, il peggior passo è quello dell'uscio.

[...]. Non meno desidero di ricevere il vostro ultimatum: come dite tanto politicamente! Soprattutto son curioso di sapere se, in quest'ultimo passo, troverete ancora amore. Oh, certamente ce n'è, e molto! Ma per chi? Tuttavia non voglio ostentare nulla e aspetto ogni cosa dalle vostre bontà.

Addio, incantevole amica; non sigillerò questa lettera che alle due, nella speranza di poterci accludere la desiderata risposta.

Alle due del pomeriggio.

Niente ancora, e l'ora incalza; non ho tempo di aggiungere altro; ma stavolta mi neghereste ancora i più teneri baci dell'amore?

Parigi, 27 novembre 17** 

(Tratto da “I legami pericolosi” -1782 - di Choderlos De Laclos).

“Elsa Morante. La storia è una bambina”. “Memoria” di Giulia Caminito a quarant’anni dalla morte della scrittrice (il 25 di novembre dell’anno 1985) riportata sul settimanale “L’Espresso” del 21 di novembre ultimo: (…). È il 18 agosto del 1912, sono le 15,30 e siamo a Roma, in via Anicia 7, a Trastevere, dove allora si trovava una saletta d'ospedale dedicata ai parti difficili. Qui viene al mondo Elsa Morante, la più grande scrittrice del nostro Novecento, anche se lei avrebbe preferito essere chiamata "scrittore", per non essere confusa con tutte quelle autrici che la critica considerava di serie B. L'infanzia di Elsa Morante, che vi narrerò, si basa su ciò che la scrittrice ha detto di sé, ciò che ha inventato, amato e odiato della bambina che è stata. Questa infanzia gloriosa e menzognera comincia dopo la morte di "Antonio". Irma Poggibonsi, la madre di Elsa, era un'insegnante emiliana, colta e stimata, che incontrò e sposò nel 1908, Augusto Morante, istitutore siciliano presso il Riformatorio. I due non riuscivano ad avere figli e quindi venne coinvolto nella paternità, ma non nella famiglia, un secondo uomo: Francesco Lo Monaco. Il primo dei figli morì bambino e Morante ne scrisse dentro al breve racconto "Nostro fratello Antonio". Antonio divenne il figlio perduto, il solo veramente elogiato dalla madre. Era infatti nato già "aristocratico" e di fronte a lui, pensato dalla madre come un re, tutti gli altri figli e figlie erano solo plebei, rimasugli e scarti di una "meraviglia" scomparsa. Davanti alla capacità di rimare d'Elsa, Irma le faceva presente che se Antonio fosse sopravvissuto sarebbe con ogni probabilità diventato un Giacomo Leopardi. Pare che a due anni e mezzo Elsa abbia composto la sua primissima poesia, in onore di un galletto caduto da una finestra. Mentre a quattro anni sapeva già leggere e presto si mise a scrivere poesie e filastrocche e racconti per i fratelli. «Ho sognato tutta la notte mia madre, alta alta, vestita di marrone e non aveva simpatia per me», così disse Morante ad Adriano Sofri mentre era in clinica negli ultimi mesi della sua vita. Che donna era la madre di Morante, Irma Poggibonsi, non è facile ricostruirlo, si possono metter insieme solo pezzi di ricordi, come l'aneddoto del bigliettino raccontato dai fratelli. Dopo una discussione accesa Morante infilò un bigliettino sotto la porta della camera della madre con scritto "maledetta" e poi passato del tempo se ne pentì e ne infilò un altro con scritto: "benedetta". Maledetta la madre che sempre ricorda il fratello "Antonio", la madre curiosa e opprimente, la madre che fa figli con un uomo che non le è marito; benedetta la madre che l'assiste nei giorni delle febbri, la madre istruita che da giovane scriveva poesie, che cantava l'opera Crispino e la comare per casa. Il primo quartiere dove Morante visse con la famiglia fu Testaccio e ci rimase fino al 1922. Testaccio negli anni '10 era un quartiere ancora povero, verace, il palazzo dove vissero i Morante era un condominio popolare composto da due cortili su cui affacciavano le sei scale per accedere agli appartamenti. Al centro dei cortili Morante bambina giocava e si riparava sotto l'unico e smilzo albero presente, un "palmizio" oggi diventato piuttosto robusto. Allora Elsa era già considerata una bambina di genio, che prima degli altri sapeva e prima degli altri capiva. Le altre bambine la corteggiavano a scuola, le promettevano regali, le mettevano nelle tasche del grembiule torroncini o "coccetti", ma lei riconosceva che agivano solo per interesse. Gli altri non la amavano, la usavano e basta, del resto nemmeno lei si amava. Avrebbe voluto essere brava nella ginnastica, capace di salti e corse, non avere nessuno spazio tra i denti davanti, avere la pelle "colorita" e le ginocchia sporche di terra, segno indiscutibile di perfezione. Molte cose, infatti, rendevano la bambina Morante diversa dalle altre e lei le sapeva tutte a partire dal "giradito", che le era venuto da piccolissima e l'aveva lasciata con l'unghia del pollice quasi quadrata. E poi "l'incubo", lo stravolgimento che la aggrediva ogni volta che la febbre saliva e rendeva sua madre ansiosa. Un incubo che era delirio - le formiche a migliaia sul letto - e che faceva ridere i fratelli a causa delle invocazioni insensate e le urla. Loro si buttavano a terra dalle risa e si prendevano a pugni, lei era a letto e vedeva mostri. A loro restavano i fatti e a lei le fantasie, quelle terribili della febbre e quelle consolanti dei vestiti da dama. Ogni stoffa vecchia e rattoppata, ogni abito usato che le toccava indossare da bambina, e che era meno interessante rispetto ai pizzi delle altre, lei lo inventava. Diventava un "manto di porpora, guarnito di ermellino". l'eredità di un nobile parente. Indossava tutto con ardore, sistemava fiocchi sui cappelli, pareva "una cattedrale", si atteggiava a signora. Sugli abiti brutti tanti tanti lustrini, sul mondo ovvio e tiepido tante tante storie. Il primo "uomo" della vita di Morante pare sia stato il figlio della maestra che di cognome faceva Amore e ce l'aveva scritto sul grembiule azzurrino. «Che bei riccetti che hai» le confesso Amore un giorno e le offrì spesso la marmellata fatta da sua nonna. Lei ne era deliziata e intanto sentiva intorno l'invidia delle altre bambine. Le sue compagne con lei parlavano di compiti, "di madri e di padri" lasciando le confessioni e i divertimenti ad altre; Amore le rivolgeva sorrisi complici, chiacchierava di dolci, ricci e confetture, la trovava pulita. Ma nonostante gli abiti di finta pregiatezza, nonostante Amore e nonostante le lodi delle maestre: «Io mi sentivo sola e spersa, con voglia di piangere» dice Morante.

martedì 25 novembre 2025