"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 21 dicembre 2025

CosedalMondo. 92 “Nel mondo di Hannah”.


Nata a Hannover nel 1906 e morta a New York nel 1975, Hannah Arendt è stata una filosofa, una studiosa di teoria politica e una storica tedesca naturalizzata statunitense. Di famiglia ebraica, in tenera età si trasferisce a Königsberg (allora capitale della Prussia Orientale) a causa della salute del padre. Cresce in una famiglia secolarizzata e politicamente progressista. Completata l’istruzione secondaria, si iscrive a filosofia all’Università di Marburgo, dove diventa allieva di Martin Heidegger e con il quale ha poi una relazione segreta per quattro anni. Si trasferisce prima all’Università di Friburgo, dove segue le lezioni di Edmund Husserl, e successivamente all’Università di Heidelberg per studiare con Karl Jaspers, sotto la cui supervisione consegue il dottorato con una tesi sul concetto di amore in Agostino. Nel gennaio 1933, Adolf Hitler prende il potere e, a causa delle leggi razziali, ad Arendt viene negata l’abilitazione all’insegnamento nelle università tedesche. In seguito, Arendt viene arrestata dalla Gestapo e detenuta per un breve periodo a causa delle sue ricerche sull’antisemitismo, diventate nel frattempo illegali. Dopo il rilascio, lascia la Germania per traferirsi prima in Cecoslovacchia, poi in Svizzera e infine a Parigi, dove conosce Walter Benjamin. Nel 1940, la Germania invade la Francia: la filosofa Arendt viene privata della cittadinanza tedesca e detenuta nelle carceri francesi come apolide illegale. Nel 1941, scappa negli Stati Uniti d'’America. Diviene un’attivista nella comunità ebraica tedesca di New York, città in cui rimane per il resto della sua vita. Nel 1950, diventa cittadina statunitense. Tra il 1960 e il 1962 segue come reporter della rivista The New Yorker a Gerusalemme il processo contro il colonnello delle SS Adolf Eichmann, il criminale nazista organizzatore dello sterminio degli ebrei d’Europa intrapreso dal regime hitleriano. Muore improvvisamente, nel 1975, a 69 anni per un attacco di cuore. (Biografia a cura di Vera Tripodi pubblicata su il “Corriere Della Sera).

“Hannah e l’originalità del bene”, testo della presentazione del volume di Thomas Meyer “Hannah Arendt” – Feltrinelli editore, pagg. 480, euro 35 – di Wlodek Goldkorn pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” del 14 di dicembre 2025: L’opera di Hannah Arendt non è riducibile all'espressione "la banalità del male", una frase di grande effetto scritta nel reportage per il New Yorker sul processo di Adolf Eichmann a Gerusalemme. Grande filosofa (e grandi erano le sue capacità di far uso dei mass media), anche se non amava definirsi tale, nella sua elaborazione teorica partiva sempre dall'esperienza di vita. O se vogliamo: è il vissuto delle persone - con i loro traumi, il loro coinvolgimento emotivo - e non l'aderenza alle categorie astratte, il nucleo del "non metodo" della pensatrice, nata a Hannover nel 1906, cresciuta a Konigsberg patria di Kant, e morta cinquant'anni fa a New York. Hannah Arendt. Una vita filosofica di Thomas Meyer, pubblicato da Feltrinelli nella traduzione di Federico Zaniboni, è una biografia molto interessante per la ricchezza delle fonti, in parte inedite; tra cui lettere e abbozzi delle opere. Il grande merito di Meyer è aver ricollocato l'oggetto della sua ricerca «quasi interamente nella sua epoca». Spieghiamoci.

sabato 20 dicembre 2025

MadeinItaly. 72 Malcom Pagani: «C'è bisogno di tornare ad arrossire e a vergognarsi. Di piangere per poi ridere e prendersi in giro. Piacersi non è un obbligo, la fatica è una cosa seria».


In Italia non si legge perché la nostra è una cultura orale. Tutto è tramandato a orecchio. Leggere obbligherebbe alla precisione.

In Italia non si legge perché la nostra è una cultura di mediazione. La mediazione non ama la pagina scritta. La mediazione si fa meglio a voce.

In Italia non si legge per non esporsi a rischi. La frase “qui lo dico, qui lo nego” è il più potente slogan contro il libro. Ti induce a diffidare della irrevocabile pagina scritta.

In Italia non si legge perché l’autore è un altro. Occuparsi del lavoro degli altri, per molti di noi è insopportabile.

In Italia non si legge perché non c’è mai stata un’epoca in cui leggere era di moda o dava prestigio. In Italia non si legge perché nessun personaggio della vita vista in televisione legge.

In Italia non si legge perché non c’è alcun rapporto fra lettura e celebrità.

In Italia non si legge perché sai che niente di buono ti può venire dalla lettura di un libro. Per “buono” si intende soldi, carriera, benessere.

In Italia non si legge perché ciascuno di noi vuol tenersi le sue opinioni. In tal modo sei libero di cambiarle e di spostarti dalla parte giusta se necessario.

In Italia non si legge perché non si incontra mai qualcuno che è “arrivato” leggendo libri.

In Italia non si legge perché leggere ti porta in altri mondi. Abbiamo già abbastanza pensieri nel mondo in cui viviamo.

In Italia non si legge perché la vera storia non è mai quella che ti raccontano. Non puoi mai sapere che cosa c’è sotto.

In Italia non si legge perché c’è la televisione da guardare parlando.

In Italia non si legge perché quelli che scrivono non sanno niente della vita. Se potessi raccontargliela io...

In Italia non si legge perché le storie importanti avvengono altrove, soprattutto in America. Ma l’America racconta tutto nei suoi film.

In Italia non si legge perché altrimenti bisognerebbe leggere tutto e non sarebbe mai finita. Ti porterebbe via il tempo libero.

In Italia non si legge perché quando i libri arrivano in libreria ne hanno già parlato tutti e non c’è più nessuno che voglia sentir raccontare la storia.

In Italia non si legge perché la vita è bella. Infatti si legge un po’ solo nelle carceri e negli ospedali. 

In Italia non si legge perché abbiamo capito che non leggono quelli che intervengono, che propongono, che precisano, che rettificano, che dichiarano, che affermano, che negano, che ribadiscono. Eppure ritornano sui giornali e in televisione ogni mattina.

In Italia non si legge perché non si è mai letto e dunque non si può sapere ciò che si perde.

In Italia non si legge perché non ci sono biblioteche. Quelle nazionali spesso chiudono. Quelle scolastiche fanno pena. Quelle aziendali stringono il cuore.

In Italia non ci sono biblioteche perché non si legge.

(Tratto da “Perché in Italia non si leggono libri?” di Furio Colombo, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 15 di settembre dell’anno 1998).