"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 7 dicembre 2025

CosedalMondo. 89 Paolo Rumiz: «Bandoneon aiutami a ritrovare mio nonno».


“Bandoneon aiutami a ritrovare mio nonno”, testo dello scrittore Paolo Rumiz pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano “la Repubblica” del 28 di settembre 2025: «Che cos'ha in valigia?». Un bandoneon. «Apra, per favore». Comincia così, al controllo sicurezza dell'aeroporto di Trieste, il volo per Buenos Aires, dove è nato mio padre. Come faccio a spiegare che quel bagaglio a mano è la mia segreta scatola nera, una "fìsa" senza tastiera, un piccolo, diabolico mantice che mi fa da pesce pilota in un viaggio nel tempo, e da colonna sonora di un descubrimiento che mi porterà nel cuore del tango, e quindi dell'Argentina? Troppo complicato dire che sono caduto in un trappolone musicale, teso da un quartetto di fisarmonicisti di anima slava e latina, e che questi mi hanno costruito un ponte transoceanico verso le mie radici. Ancora più complicato, spiegare che la "colpa" di tutto è aver sentito dal vivo la voce di quello strumento, tra le dita di un mago: Rodolfo Mederos, erede di Piazzolla e di Gardel. Ed è il volo nella notte atlantica, diagonale di dodicimila chilometri e cent'anni, intervallo di buio necessario a varcare la soglia di un mondo nuovo e sterminato, fatto per macinare sogni, orizzonti e malinconie, un'Europa in trasferta che, in un'eterna quarantena, non smette di elaborare la distanza da casa. In un'altra parte dell'aereo, i quattro fisarmonicisti annaspano in un sonno sospeso e sincopato. Per loro è l'occasione della vita. Maurizio Marchesich, Zoran Lupine, Stefano Bembi e Imad Saletovic apriranno il "Festival mundial del tango" su invito e in compagnia di Mederos, forse il più grande bando neonista del mondo. Ansimano, come i loro strumenti. Eseguono respiraciones, che poi è il nome del loro programma. Un mese prima li ho sentiti a Trieste e Lubiana. Una folgorazione, un'intesa diventata subito amicizia. La loro musica saldava fra loro due spleen nati per incontrarsi: quello balcanico-mitteleuropeo e quello dell'emisfero australe. Quattro mantici, quattro vite (Four bellows, four tales è il nome dell'ensemble), quattro scuole musicali che, sul terreno del tango, creano un amalgama fuori di testa. Provo a dormire, accanto a Irene. Siamo oltre l'Equatore, in viaggio verso l'inverno. Il bandoneon respira anche lui, nella valigetta sopra la cappelliera. Appartiene a Maurizio, ma è stato affidato a me per una questione di spazio-bagagli. Già lo sento un po' mio. Ogni tanto lo apro, gli parlo. E ho l'impressione che risponda. Gran vento dalle Ande sul Rio de la Plata, pioggia battente sulla banchina dove arrivarono milioni di migranti e dove nel 1887 sbarcò mio nonno Domenico, da solo, a otto anni. Imbarcato da un familiare su un transatlantico nel porto di Le Havre, e affidato non si sa bene a chi. Nei registri argentini c'è scritto "No acompanado" e il nome è già diventato Domingo. Solo. Solo per dodici giorni in Atlantico e quaranta di quarantena. Poi, subito al lavoro. Domingo friulano, che fa un po' di fortuna, va a sposare un'altra friulana conosciuta per lettera, ha due figli e muore di dolore a 44 anni per il crack della banca cui ha affidato i risparmi. La nonna tornerà in Italia povera in canna e mio padre sarà cresciuto da uno zio piemontese. Nulla di tutto questo trovi nel deludente museo dell'immigrazione. La storia di milioni di umani liquidata in quattro stanze semivuote. Meglio camminare sotto la pioggia. Chissà se uno Spielberg narrerà questa epopea, se qualche regista andrà mai oltre la retorica nazionalista nel narrare un mondo che era fame e guerre e sopraffazione, ma sapeva cantare - e danzare - la sua disgrazia. Ne conosco uno solo, Pantelis Voulgaris. Il tassista chiede cosa vengo a fare a Baires. «Estoi buscando un abuelo perdido, con un bandoneon en mi maleta». Cerco un nonno perduto, portando un bandoneon in valigia. Rispondo così, mi piace sorprendere con quello strumento. È come se un europeo ricordasse al Sudamerica le sue radici. Ai giovani argentini, oggi, del tango importa poco. Quello migliore si balla in Europa. A Londra, Parigi, Torino. E anche Trieste. Che mestiere fai, chiede ancora il driver. Dico: «Scrittore». «Mis mejores deseos para tu trabajo», auguri per il tuo lavoro, risponde con calore. In Argentina essere scrittori è importante. Si sono battuti per il popolo. Hanno lottato contro la giunta militare. In Italia non è così. Se dico di essere scrittore, la gente del popolo fa un risolino di compatimento. Con qualche ragione. La musica della valigetta batte il tempo della pioggia sui vetri della casa di Puerto Madero. È affacciata sulla Plata color fango, estuario smisurato, sventagliato dalle raffiche. È il regalo di lusso di Oscar, un immigrato di ritorno. La terrazza pare il balcone di un mega-transatlantico. Siamo ancorati all'America, anche noi in una specie di quarantena, in attesa di accedere alla megalopoli. A Puerto Madero si è tra due immensità, si respira viento y silencios, si misurano le distanze. Leggo che i migliori tanghèri furono gli immigrati greci nel primo Novecento, e la scatola nera del viaggio conferma che la musica migliore nasce dalle lontananze, e dall'erranza: vedi il blues, il klezmer, il flamenco. Scaturisce dal dolore degli ultimi e da una cosa che i ricchi non conoscono: il destino. E via per avenidas con Marcela, una donna che non deflette dalla letizia anche quando è satura di preoccupazioni. Ci porta sulla torre detta Barolo, a bere un aperitivo sopra le luci della città sterminata. Ho conosciuto suo padre Bruno per lettera, nei giorni di gloria dell'elezione di Bergoglio. Mederos ci ha invitati a una grigliata a casa sua, per suggellare l'alleanza transatlantica.