Discetta Marshall McLuhan, in un Suo
inedito dell’anno 1963 – tempo lontano assai e non sospetto ancora –, inedito che
di seguito in parte trascrivo e dal quale ho preso a prestito il titolo per
questo post, inedito dato alle stampe in un numero della rivista - di un decennio
addietro almeno (del gennaio dell’anno 2009?) - “Lettera Internazionale”, discetta il grande McLuhan di un sapere umano
legato alla dimensione della “visione” e di un sapere, o meglio di una
conoscenza, legata alla dimensione “dell’udire”. Sostiene sempre il grande McLuhan
appartenere il primo alla sfera ed all’arte della scrittura, appartenere il
secondo alla sfera dei moderni mezzi di comunicazione, che a Suo dire – detto
nell’anno del signore 1963 – sembra abbiano soppiantato l’arte antica della
scrittura come forma di comunicazione o di memoria collettiva. Non posseggo
strumenti scientifici o cognitivi se non per apprezzare, nella mia limitatezza,
l’arguto e dottissimo Suo argomentare. Ma una questione oggigiorno mi pongo e la
pongo: che i moderni mezzi di comunicazione di massa non abbiano determinato
irreversibili processi di annientamento della coscienza privata, del singolo o
di un gruppo sociale, di quel gruppo detto ceto medio che soleva auto-aggettivarsi
“riflessivo”?
Che non abbiano quei mezzi determinato un annichilimento dello spirito critico
ed abbiano in pari tempo consentito lo sviluppo di uno “spirito di asservimento a prescindere” riguardo a tutto ciò che i
sistemi di comunicazione elettronici ci propinano? Sono convinto, senza
strumenti idonei per sostenere la fondatezza di tale mia convinzione, che nelle
menti di tantissimi esseri umani si sia come cristallizzata una “coscienza civica nuova e collettivizzata”
che uniforma ed omologa i comportamenti dei singoli su scala planetaria. Ho
letto analisi di importanti opinionisti basiti e smarriti assai di fronte
all’altissimo consenso politico-sociale mantenuto nel bel paese dall’egoarca di
Arcore – al secolo Silvio B. – che si riverbera anche nella attuale situazione
di crisi profonda che attraversa il Paese, una crisi profonda e dagli esiti
imprevedibili alla quale il nostro ha contrapposto a suo tempo, tra le decisioni
governative, ridicole ed imprudenti dichiarazioni – cosa dire dell’invito a
spendere ciò che non sia posseduto per riavviare un clima di scialacquamento di
risorse – dichiarazioni che avrebbero distrutto di certo qualsiasi altra fortuna
politica che non fosse sostenuta dalle ingenti sue risorse e dal controllo suo spietato
dei moderni mezzi elettronici di captazione del consenso collettivo. Sostiene
sempre McLuhan che il trionfo smodato ed al momento incontrastato dei mezzi
elettronici di comunicazione e di asservimento collettivo ha prodotto un
effetto straordinario: una “tribalizzazione sociale” senza precedenti, con un
ritorno delle tecnologiche avanzate nelle società odierne “alla dimensione unificata delle
antiche culture orali, alla coesione tribale e a schemi di pensiero
preindividualistici”. I conti tornano: ritornare ad una società che
affida la propria memoria all’oralità e non alla scrittura consente agli
oligarchi del tempo corrente di dire e negare, al modo superbo dell’egoarca di
Arcore, sommo maestro in tale indecorosa arte. È proprio vero: le vie della
mente umana sono infinite ed imperscrutabili assai e sono sempre da temersi
sommamente le imprevedibili sue tortuosità. Ha scritto Marshall McLuhan:
Con il telegrafo, l’uomo occidentale ha iniziato ad allungare i suoi nervi fuori dal proprio corpo. Le tecnologie precedenti erano state estensioni di organi fisici: la ruota è un prolungamento dei piedi; le mura della città sono un’esteriorizzazione collettiva della pelle. I media elettronici, invece, sono estensioni del sistema nervoso centrale, ossia un ambito inclusivo e simultaneo. A partire dal telegrafo, abbiamo esteso il cervello e i nervi dell’uomo in tutto il globo. Di conseguenza, l’era elettronica comporta un malessere totale, come quello che potrebbe provare una persona che abbia il cervello fuori dalla scatola cranica. Siamo diventati particolarmente vulnerabili. L’anno in cui fu introdotto il telegrafo commerciale in America, il 1844, fu anche l’anno in cui Kierkegaard pubblicò Il concetto dell’angoscia. (…). Quando guidiamo la macchina o guardiamo la televisione, tendiamo a dimenticare che ciò con cui abbiamo a che fare è soltanto una parte di noi stessi messa là fuori. In questo modo, diventiamo servomeccanismi delle nostre stesse creazioni e rispondiamo ad esse nel modo immediato e meccanico che esse richiedono. (…). I modi di pensare generati dalla cultura tecnologica sono molto diversi da quelli favoriti dalla cultura della stampa. A partire dal Rinascimento, la maggior parte dei metodi e delle procedure hanno teso fortemente a enfatizzare l’organizzazione e l’applicazione visiva del sapere. (…). La scrittura favorisce la linearità, ossia una consapevolezza e un modo di operare secondo il principio «una cosa alla volta». Da essa derivano la catena di montaggio e l’ordine di battaglia, la gerarchia manageriale e la divisione in dipartimenti che caratterizza le strutture accademiche. Gutenberg ci ha dato analisi ed esplosione. Frammentando il campo della percezione e dell’informazione in segmenti statici, abbiamo realizzato cose meravigliose. I media elettronici operano però in modo diverso. La televisione, la radio e il giornale (che a sua volta era legato al telegrafo) hanno a che fare con lo spazio acustico, vale a dire con quella sfera di relazioni simultanee creata dall’atto di ascoltare. Noi udiamo suoni provenienti da tutte le direzioni nello stesso momento; questo crea uno spazio unico, non visualizzabile. La simultaneità dello spazio acustico è l’esatto contrario della linearità, del prendere una cosa alla volta. È molto sconcertante rendersi conto che il mosaico di una pagina di giornale è «acustico» nella sua struttura fondamentale. Questo, tuttavia, vuole dire soltanto che qualunque struttura, le cui componenti coesistano senza connessioni o legami diretti, lineari e creino un campo di relazioni simultanee, è acustica, anche se alcuni suoi aspetti possono essere visualizzati. (…). Il potere tribalizzante dei nuovi media elettronici, il modo in cui essi ci riportano alla dimensione unificata delle antiche culture orali, alla coesione tribale e a schemi di pensiero preindividualistici, non è stato realmente compreso. Il tribalismo è il senso di un profondo legame di famiglia, è la società chiusa come norma della comunità. La scrittura, in quanto tecnologia visiva, ha dissolto la magia tribale ponendo l’accento sulla frammentazione e sulla specializzazione, e ha creato l’individuo. D’altra parte, i media elettronici sono forme di gruppo. I media elettronici dell’uomo di una società alfabetizzata riducono il mondo a una tribù o a un villaggio in cui tutto capita a tutti nello stesso momento: ognuno conosce e dunque partecipa a ogni cosa che accade nel momento in cui essa accade (…). Siamo diventati come l’uomo paleolitico più primitivo, di nuovo vagabondi globali; ma siamo ormai raccoglitori di informazioni piuttosto che di cibo. D’ora in poi la fonte di cibo, di ricchezza e della vita stessa sarà l’informazione. Trasformare tale informazione in prodotti, a questo punto, è un problema che riguarda gli esperti di automazione e non più una questione che comporta la massima divisione del lavoro e delle capacità umane. L’automazione, come tutti sappiamo, permette di fare a meno della forza lavoro. Questo terrorizza l’uomo meccanico perché non sa che cosa fare nella fase di transizione, ma significa semplicemente che il lavoro è finito, morto e sepolto (…). Quando nuove tecnologie si impongono in società da tempo abituate a tecnologie più antiche, nascono ansie di ogni genere. Il nostro mondo elettronico necessita ormai di un campo unificato di consapevolezza globale; la coscienza privata, adatta all’uomo dell’era della stampa, può considerarsi come un cappio insopportabile rispetto alla coscienza collettiva richiesta dal flusso elettronico di informazioni. (…).
Con il telegrafo, l’uomo occidentale ha iniziato ad allungare i suoi nervi fuori dal proprio corpo. Le tecnologie precedenti erano state estensioni di organi fisici: la ruota è un prolungamento dei piedi; le mura della città sono un’esteriorizzazione collettiva della pelle. I media elettronici, invece, sono estensioni del sistema nervoso centrale, ossia un ambito inclusivo e simultaneo. A partire dal telegrafo, abbiamo esteso il cervello e i nervi dell’uomo in tutto il globo. Di conseguenza, l’era elettronica comporta un malessere totale, come quello che potrebbe provare una persona che abbia il cervello fuori dalla scatola cranica. Siamo diventati particolarmente vulnerabili. L’anno in cui fu introdotto il telegrafo commerciale in America, il 1844, fu anche l’anno in cui Kierkegaard pubblicò Il concetto dell’angoscia. (…). Quando guidiamo la macchina o guardiamo la televisione, tendiamo a dimenticare che ciò con cui abbiamo a che fare è soltanto una parte di noi stessi messa là fuori. In questo modo, diventiamo servomeccanismi delle nostre stesse creazioni e rispondiamo ad esse nel modo immediato e meccanico che esse richiedono. (…). I modi di pensare generati dalla cultura tecnologica sono molto diversi da quelli favoriti dalla cultura della stampa. A partire dal Rinascimento, la maggior parte dei metodi e delle procedure hanno teso fortemente a enfatizzare l’organizzazione e l’applicazione visiva del sapere. (…). La scrittura favorisce la linearità, ossia una consapevolezza e un modo di operare secondo il principio «una cosa alla volta». Da essa derivano la catena di montaggio e l’ordine di battaglia, la gerarchia manageriale e la divisione in dipartimenti che caratterizza le strutture accademiche. Gutenberg ci ha dato analisi ed esplosione. Frammentando il campo della percezione e dell’informazione in segmenti statici, abbiamo realizzato cose meravigliose. I media elettronici operano però in modo diverso. La televisione, la radio e il giornale (che a sua volta era legato al telegrafo) hanno a che fare con lo spazio acustico, vale a dire con quella sfera di relazioni simultanee creata dall’atto di ascoltare. Noi udiamo suoni provenienti da tutte le direzioni nello stesso momento; questo crea uno spazio unico, non visualizzabile. La simultaneità dello spazio acustico è l’esatto contrario della linearità, del prendere una cosa alla volta. È molto sconcertante rendersi conto che il mosaico di una pagina di giornale è «acustico» nella sua struttura fondamentale. Questo, tuttavia, vuole dire soltanto che qualunque struttura, le cui componenti coesistano senza connessioni o legami diretti, lineari e creino un campo di relazioni simultanee, è acustica, anche se alcuni suoi aspetti possono essere visualizzati. (…). Il potere tribalizzante dei nuovi media elettronici, il modo in cui essi ci riportano alla dimensione unificata delle antiche culture orali, alla coesione tribale e a schemi di pensiero preindividualistici, non è stato realmente compreso. Il tribalismo è il senso di un profondo legame di famiglia, è la società chiusa come norma della comunità. La scrittura, in quanto tecnologia visiva, ha dissolto la magia tribale ponendo l’accento sulla frammentazione e sulla specializzazione, e ha creato l’individuo. D’altra parte, i media elettronici sono forme di gruppo. I media elettronici dell’uomo di una società alfabetizzata riducono il mondo a una tribù o a un villaggio in cui tutto capita a tutti nello stesso momento: ognuno conosce e dunque partecipa a ogni cosa che accade nel momento in cui essa accade (…). Siamo diventati come l’uomo paleolitico più primitivo, di nuovo vagabondi globali; ma siamo ormai raccoglitori di informazioni piuttosto che di cibo. D’ora in poi la fonte di cibo, di ricchezza e della vita stessa sarà l’informazione. Trasformare tale informazione in prodotti, a questo punto, è un problema che riguarda gli esperti di automazione e non più una questione che comporta la massima divisione del lavoro e delle capacità umane. L’automazione, come tutti sappiamo, permette di fare a meno della forza lavoro. Questo terrorizza l’uomo meccanico perché non sa che cosa fare nella fase di transizione, ma significa semplicemente che il lavoro è finito, morto e sepolto (…). Quando nuove tecnologie si impongono in società da tempo abituate a tecnologie più antiche, nascono ansie di ogni genere. Il nostro mondo elettronico necessita ormai di un campo unificato di consapevolezza globale; la coscienza privata, adatta all’uomo dell’era della stampa, può considerarsi come un cappio insopportabile rispetto alla coscienza collettiva richiesta dal flusso elettronico di informazioni. (…).
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