"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 13 agosto 2013

Cosecosì. 59 L’insostenibile leggerezza della “quasità”.



E poi c’è quella straordinaria idea della “quasità”. Un’invenzione che non ha pari. Roba da genio. L’ho incontrata, la “quasità” di Francesco Merlo, leggendo il Suo straordinario “pezzo” sul quotidiano la Repubblica dell’8 di agosto. Una folgorazione linguistica. Titolo del pezzo “Pedoni”. Ma è stata la “quasità” a catturare la mia mente. Nulla può rappresentare al meglio lo stato di un paese e di un popolo che quel lemma, che è un dono della scrittura di Francesco Merlo. Da rimanerne conquistati. In quella “quasità” c’è l’italica concezione della vita, della politica e di tutto ciò che afferisce alla vita collettiva del bel paese. È come dire che un popolo è quasi ricco ma anche quasi povero. È, quel popolo, quasi felice ma anche quasi triste. È dire che quel popolo è fatto di quasi cittadini ma anche di quasi servi. La “quasità” è dire tutto ed il contrario di tutto. Scrive infatti Francesco Merlo: (…). …la quasità come destino dell’Italia, quasi potenza, quasi industriale, quasi bella, quasi moderna, quasi vincente come il Pd. E dunque, come il famoso ‘quasi gol’ di Nicolò Carosio, c’è anche il ‘quasi pedone’. Ed è a questo punto che la scrittura di Francesco Merlo, che ha quasi del musicale nella sua tessitura, affronta l’argomento del pezzo. I “pedoni”, per l’appunto. Ne scrive in questi termini: Il pedone è il passante abituale, è don Abbondio che “tornava bel bello dalla passeggiata verso casa”. Il pedone è Manzoni a passeggio per Milano con Vincenzo Cuoco: “adescati dalla dolcezza dei colloqui, il Cuoco si fermava lungamente alla porta di lui, ed esso lo riaccompagnava a casa sua, e il Cuoco daccapo gli teneva dietro per riaccompagnarlo a sua volta”. Il pedone è Kant che voleva “respirare solo con le narici e criticare, passeggiando solitario, la ragion pura”. Il pedone è la filosofia dei peripatetici greci, il pedone è la civiltà occidentale. Nella “quasità” del bel paese anche la dolce arte del camminare è andata perduta. La gente non cammina più. Corre. O, se non corre, percorre gli spazi come in preda ad una ossessionante fretta. In città come al mare. Ovunque. Sono solito rispondere, a coloro che mi consigliano d’affrettare il mio passo, d’essere impegnato in una passeggiata. Preciso, una “passeggiata zen”. Riesco così a rubare un sorrisetto al mio interlocutore. Ne sarà rimasto felicemente sorpreso? O piuttosto mi compatirà? Non m’importa. Poiché il camminare è esercizio che coinvolge tutto l’essere che lo compie. Trovo pertanto incomprensibili coloro che, intenzionati ad essere pedoni, si tappano le orecchie con modernissimi strumenti d’ascolto. Cosa ascolteranno? Musica? O la cacofonia dei programmi radio? Specialmente nel periodo estivo che rappresenterebbe la vacanza anche del pensiero? E così staccano una parte del loro corpo, quella superiore per intenderci, ché dovrebbe essere anche la più nobile, da tutto il resto, cuore, polmoni, muscoli, rompendo un’unità ed un’armonia che andrebbe invece salvaguardata. Per non dire della barriera che così interpongono con l’ambiente esterno? Con la musica “sparata” nelle orecchie, riusciranno ad ascoltare il sibilo dell’aria appena “solcata” che diviene tenue venticello? Ascolteranno la musica emessa dal frangersi delle onde del mare, per non dire poi, “pedonando” – mi si lasci passare il neologismo – in un bosco, lo stormire delle foglie o il dolcissimo canto degli abitatori di quei luoghi? È che, nella grande bruttezza dei tempi, sarebbe stato impensabile che si salvasse l’umile arte del camminare. Sostiene Francesco Merlo: E invece il pedone, che si perde e si ritrova nel colore di un mattone o di una soglia, sacerdote delle petites rues che abita come una casa, detective della strada raffinata o capricciosa o morbosa, il flaneur insomma è l’utopia necessaria e urgente delle estenuate città storiche in cerca di un nuovo Rinascimento: “io prendo Venezia a timone” diceva Le Corbusier che già sognava di separare macchine e pedoni. Come l’Umanesimo, creando spazi e pavimenti e piazze, portò fuori dalle anguste vie tortuose dei secoli bui Firenze, Anversa e le città anseatiche, Norimberga, Siviglia…e, nel piccolo, Pienza e Montepulciano, così oggi solo le metropoli che liberano i luoghi della storia dal nuovo Medioevo delle macchine possono vincere la scommessa con la sopravvivenza. Manca la consapevolezza che soltanto ritornando alla “passeggiata zen”, durante la quale si ascolta il proprio corpo ed il proprio animo e tutto quanto il creato ha messo attorno a noi, si potrà invertire il corso del  “nuovo Medioevo delle macchine” e carezzare, in pari tempo, una speranza di “sopravvivenza”. “Il pedone è la civiltà occidentale”. A saperlo. Tutto il resto è nella “quasità” di questo triste paese.

1 commento:

  1. Ciao, Ettore.Le mie gambe non sono più funzionanti per cui non solo non posso correre ma nemmeno fare una passeggiata zen.Posso uscire soltanto su una banale carrozzella. Ma ascolto molta musica e il cuore respira. Buon ferragosto. Franca.

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