"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 24 maggio 2013

Eventi. 7 A proposito di referendum.



Ricevo la e-mail – “A proposito di referendum” - del dottor Nicotera – il “compagno” Ennio – che volentieri posto: Nella Assemblea Costituente c’era il meglio dell’Italia del tempo. Mi piace ricordare Piero Calamandrei, Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti, Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Costantino Mortati. E poi i politici come De Gasperi, Togliatti, Nenni, La Malfa Ugo e non Giorgio naturalmente. L’elenco di quelli che possono essere definiti i padri della repubblica sarebbe troppo lungo. Scrissero, nonostante le forti diversità culturali e come solevo dire ai miei alunni, una sana e robusta Costituzione. Tre culture diverse erano presenti in Costituente e per alcuni versi agli antipodi:la socialcomunista, la cattolica e la liberale. Ma c’era un paese da ricostruire dalle fondamenta e furono trovati i doverosi compromessi. Ricordo gli articoli dove, a mio giudizio, il compromesso, tra le tre culture si realizzò più compiutamente. L’art 7 e l’art 8 dove da un lato si attesta che “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”e poi si  prefigura una situazione di privilegio per la religione cattolica e si stabilisce che i Patti Lateranensi, per poter essere modificati unilateralmente, abbisognano di un procedimento di revisione costituzionale. (…). Altri articoli, diciamo compromissori, sono quelli cosiddetti economici. (…). E poi c’è l’art. 33 che al 3° comma recita: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. 4° comma: “La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle Statali”. Sul combinato dei due articoli le interpretazioni sono le più varie, né io voglio avventurarmi in disquisizioni giuridiche, quanto meno in questa sede. (…). Voglio in aggiunta riportare un breve stralcio della seduta dell’assemblea Costituente del 29 aprile 1947. Viene presentato l’emendamento aggiuntivo “senza oneri per lo Stato”. Corbino che è stato uno dei firmatari dell’emendamento così si espresse: “Non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore di istituti privati; diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. È una cosa diversa: si tratta della facoltà di dare o di non dare”. Ed ancora Codignola a nome del gruppo Calamandrei  prese la parola per dire: “Dichiaro che voteremo a favore dell’emendamento chiarendo ai colleghi democristiani che con questa aggiunta non è vero che si venga ad impedire qualsiasi aiuto dello Stato a scuole professionali; si ribadisce solo che non esiste un diritto costituzionale a chiedere tale aiuto. Questo è bene chiarirlo”. E poi c’è la questione “Del trattamento scolastico equipollente”. Come si può vedere la questione del senza oneri per lo Stato è un po’ più complessa. (…). In una delle ultime puntate di Servizio Pubblico, la trasmissione di Michele Santoro, un assessore del comune di Bologna spiegava il perché era giusto finanziare con un contributo non grande le scuole dell’infanzia. Aggiungeva tra l’altro che il comune di Bologna soddisfa con le scuole dell’infanzia comunali, e si sottolinea comunali, il 60%  del fabbisogno. Nelle  scuole comunali dell’infanzia bolognesi trovano posto ben 5137 bambini. Aggiungeva l’assessore che il Comune non aveva alcuna possibilità di aprire altre scuole per limiti di bilancio. Diceva l’assessore che senza il finanziamento comunale le scuole parificate o sarebbero state costrette a chiudere privando tanti bambini del servizio, o sarebbero state costrette ad alzare le rette, con grave nocumento per le famiglie meno abbienti. Vendola rispondeva ricordando l’art. 33  della Costituzione, e dissertando  sul termine equipollente. Ma sul problema concreto e cioè di una domanda sociale che il comune non riuscirebbe a soddisfare e che viene soddisfatta dalle scuole paritarie, nessuna parola. Il discorso lo affronta, come spesso fa, in termini ideologici. (…). Non corro – non lo voglio - il rischio di farmi prendere la mano dai cosiddetti “termini ideologici”, per la qual cosa resteremmo a discuterne sino a perdere la voce se non la ragione. Al “compagno” Ennio – ed agli incauti, avventurosi internauti capitati su questo blog – offro, in meditazione, una riflessione dal tono contrario postata sul sito della rivista MicroMega a firma di Wu Ming, del famoso collettivo di scrittura. Titolo della riflessione: “Perché votare A al referendum di Bologna”. Wu Ming penso abbia carte certe in mano sulla situazione sottoposta a referendum in quel di Bologna il 26 di maggio. Scrive infatti: (…). Con il milione di euro stanziato per le scuole paritarie private nel 2011 si sarebbero potuti creare, a settembre 2012, 330 nuovi posti alla scuola pubblica comunale e statale ed esaurire abbondantemente la lista d’attesa. L’ipotesi di un fallimento delle scuole paritarie private in assenza dei finanziamenti comunali, con tanto di licenziamenti degli insegnanti ed esodo degli alunni verso la scuola pubblica comunale e statale, è irreale e puramente allarmistica. 26 delle 27 scuole dell’infanzia paritarie private di Bologna aderiscono alla Federazione Italiana Scuole Materne (FISM), fondata su impulso della CEI nel 1973. Le scuole della FISM dunque esistono da molto prima della legge sulla parità scolastica, che è del 2000. Nel 1995, prima che il sistema delle convenzioni venisse varato a Bologna, le scuole dell’infanzia private accoglievano il 24% degli scolari; nel 2013 le scuole paritarie private ne accolgono il 22%: è evidente che non è il milione di euro erogato dal Comune a garantire la frequentazione di queste scuole. Infatti dividendo l’ammontare dell’attuale finanziamento comunale – cioè 1.055.500 euro – per i 1.730 bambini che frequentano le scuole paritarie bolognesi, si ottiene la cifra di circa 600 euro per bambino, che suddivisi sulle dieci rate mensili dell’anno scolastico, equivalgono a un contributo per bambino di circa 60 euro al mese. Non è credibile che un rincaro del genere produrrebbe un ritiro di massa dalle scuole paritarie private e un’emigrazione di massa verso la scuola pubblica comunale e statale, allungando a dismisura le liste d’attesa. Soprattutto è difficile credere che le scuole paritarie private non possano reperire altrove quel milione di euro l’anno, evitando così qualunque rincaro delle rette. Considerando che tutte eccetto una sono scuole cattoliche, che la Curia di Bologna possiede un patrimonio di circa 1.200 immobili in città, oltre a 22 milioni di euro dell’eredità FAAC depositati su un conto presso la LGT Bank di Lugano, e che la Chiesa cattolica raccoglie l’8 per mille dai fedeli, un’idea su quale partner potrebbe sostituirsi al Comune per integrare la cifra in questione nasce spontanea. Le scuole dell’infanzia paritarie private applicano criteri d’accesso diversi da quelli della scuola pubblica comunale e statale. Si tratta infatti di enti privati no profit, a pagamento, che in base alla legge 62 del 2000 fanno parte del sistema nazionale d’istruzione. Attualmente, su 1.730 frequentanti le scuole dell’infanzia paritarie private bolognesi, gli alunni stranieri sono 80, cioè il 4,6%, contro il 23,3% nella scuola dell’infanzia pubblica comunale e statale; i bambini disabili sono lo 0,3%, contro il 2,1% nella scuola pubblica comunale e statale. Inoltre nella scuola comunale e statale sono certificati 271 casi di disagio sociale. Questi dati confermano che il sistema d’istruzione integrato pubblico-privato sta già creando due tipologie di scuole molto diverse per composizione sociale e culturale. Non ci sono dubbi su quale delle due sia la più inclusiva, si faccia maggiormente carico dell’integrazione, rispecchi la varietà e la complessità sociale e attitudinale, e di conseguenza debba avere la priorità nei finanziamenti per esaurire le liste d’attesa. (…). Ho tralasciato, di proposito, dalla lettera di Wu Ming, gli aspetti che afferiscono ai “termini ideologici” molto abbondanti e ben circostanziati in essa. È che, per la diffusissima paura dei cosiddetti “termini ideologici”, si è contribuito a creare quella “scarnificazione” del pensiero, nelle vaste moltitudini del bel paese, che vado da qualche tempo a questa parte denunciando come il problema dei problemi. Con i risultati di una società che vive nell’indifferenziato più spinto e senza quei termini di riferimento e di rappresentazione che sarebbero necessari, contribuendo a costruire quella che il sociologo De Rita ha definito, con grande intuizione, una “poltiglia sociale”.  Ha scritto di recente – la Repubblica del 5 di maggio, “Tutti ai remi per salvare la nave” – Eugenio Scalfari: Quelli che chiamiamo la gente e che un tempo chiamavamo il popolo, il “demos”, sostantivi nobilitanti perché ne sottolineano la sovranità, non hanno più una visione del bene comune perché sono schiacciati sul presente dai loro bisogni immediati, dalla loro povertà o dal timore di sprofondarvi dentro, circondati da una nebbia che gli impedisce di costruire il futuro. La gente altro non è che un popolo degradato dagli errori e a volte dai crimini commessi da una classe dirigente anch’essa degradata; ma anche per colpa propria perché ha subìto quel degrado senza reagire e addirittura sguazzandovi dentro. È il recupero del senso più pieno e consapevole di “bene comune” che ci consentirà d’uscire dalla “crisi” diversi e con ben individuate, irrinunciabili priorità sociali.

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