Da
“Un Parlamento di scambisti del voto”
di Bruno Tinti, su “il Fatto Quotidiano” del 4 di aprile 2014: (…).
…“Che dei delinquenti potessero emanare leggi che avrebbero avuto l’effetto di
portarli in prigione era cosa che nemmeno un’ingenua come me poteva credere.
Così ho abbandonato i miei sogni e me ne sono andata: l’Italia non è un Paese
in cui una persona onesta può vivere”. Credo che Paola (si chiama così) oggi
sarà di nuovo tristissima (e contenta): ha avuto ragione quando ha deciso di
fare la “fuoriuscita”. La Camera (…) ha fatto proprie le richieste di B&C
in materia di voto di scambio. Il politico che promette di mettersi a
disposizione di un’associazione mafiosa in cambio di voti non è punibile se poi
i voti non gli vengono dati. Questi protettori di scambisti dunque hanno
stabilito che: 1) Se uno scambista promette ai mafiosi di darsi da fare nel
loro interesse è una persona indegna se i mafiosi lo remunerano con il voto;
mentre, se gli preferiscono qualcun altro, allora è una brava persona. (…). 2)
Lo scambista mancato che arriva comunque in Parlamento ha una moralità
garantita dal fatto di essere stato schifato dai mafiosi: mai più proporrà
scambi di sorta poiché il rifiuto lo ha certamente vaccinato. (…). …secondo
quanto prevede il testo elaborato dalla commissione Giustizia della Camera, lo
scambista non deve ravvedersi per essere non punibile; è sufficiente che la sua
offerta non sia accettata. (…). …la nuova legge prevede che il voto di scambio
sia reato anche se lo scambista lo ripaga non con denaro (caso ovviamente
inesistente) ma con qualsiasi tipo di prestazione (la norma parla di
“utilità”). Il che rende effettivo il pericolo di essere acchiappati e
condannati. La pena prevista va da 7 a 12 anni, tale da assicurare in concreto
la prigione. Ma i protettori degli scambisti hanno proposto di modificarla: da
4 a 10. Ragioni di equità? Macché: come tutti sanno, con pene fino a 4 anni non
si va in prigione: affidamento in prova al servizio sociale. E siccome le attenuanti
generiche non si negano a uno scambista incensurato (sono sempre incensurati,
li salva la prescrizione), questo vuol dire che gli si possono ficcare anche 6
anni; meno un terzo per via delle attenuanti, uguale 4: nix galera. Paoletta
mia, quanto avevi ragione!
Da
“Nonostante un corno” di Marco
Travaglio, su “il Fatto Quotidiano” del 6 di dicembre 2014: (…).
Bisogna rassegnarsi ad abrogare i “nonostante”, i “malgrado” e i “sebbene” dal
vocabolario politico. I pregiudicati siedono a capotavola nei palazzi del
potere non “nonostante” i loro precedenti penali, ma proprio per quelli. (…).
Se una persona onesta chiede udienza a un potente, deve mettersi in fila, fare
lunghissime anticamere, e anche nell’eventualità che venga ricevuta non ottiene
quasi mai ciò che chiede: perché non ha nulla da offrire e nulla da tacere. Un
delinquente invece viene subito accontentato, spesso prim’ancora di chiedere.
Come disse Giuliano Ferrara: “Chi non è ricattabile non può fare politica”.
Anche perché, di solito, chi è ricattabile è anche ricattatore. Io so tutto di
te, tu sai tutto di me, e facciamo carriera sui nostri rispettivi silenzi. La
nuova legge sul voto di scambio politico-mafioso, sbandierata da Renzi come il
colpo di grazia ai collusi, è stata scritta in modo da impedire qualsiasi
condanna per voto di scambio. Ma non per un errore: apposta. Così come la legge
Severino: si chiama “anticorruzione” ed è stata scritta proprio per salvare B.
e Penati dai loro processi per concussione. Ora si scoprirà che il reato di
autoriciclaggio, votato l’altroieri dal Parlamento, renderà impossibile la
galera per chi ripulisce il bottino dei propri delitti. Giovedì, mentre Renzi
annunciava la linea dura contro i corrotti (“una specie di ergastolo, di
Daspo”) e spediva il commissario Orfini a bonificare la federazione romana del
Pd di cui fa parte da quando aveva i calzoni corti e il commissario Cantone ad
annunciare l’ennesima “task force”, il suo partito al Senato votava con FI, Ncd
e Lega per respingere la richiesta dei giudici di usare le intercettazioni
contro gli inquisiti Azzollini (Ncd) e Papania (Pd). Una svista “nonostante” i
sospetti pesanti come macigni che gravano sui due politici? No, una scelta
fatta proprio per quei sospetti pesanti come macigni. Fa quasi tenerezza Luca Odevaine detto lo
Sceriffo, che ad aprile vuole farsi un viaggetto negli Usa, ma si vede negare
il visto: gli americani hanno scoperto che si chiama Odovaine con la “o” ed è
pregiudicato per droga e assegni a vuoto. “Una roba da matti, una cosa assurda,
in una democrazia come quella!”, si lamenta. La vocale se l’è fatta cambiare
lui all’anagrafe per nascondere i suoi precedenti. Come se questi, in Italia,
fossero mai stati un handicap e non facessero invece curriculum: ciò che negli
Usa ti impedisce anche l’ingresso per turismo, in Italia basta e avanza per
promuoverti vice capo di gabinetto della giunta Veltroni, capo della polizia
provinciale della giunta Zingaretti e infine membro del Coordinamento nazionale
richiedenti asilo del governo Renzi, naturalmente a libro paga di Mafia
Capitale per 5 mila euro al mese. Nonostante i precedenti? No, grazie a quelli,
che ti rendono affidabile. (…). Se Marino s’è salvato parzialmente dalla
catastrofe non è tanto perché, personalmente, è un onest’uomo: ma soprattutto
perché gli assessori se li è scelti quasi tutti da sé, rifiutando quelli che
tentava di imporgli il Pd. Sennò Carminati e Buzzi se li ritrovava perlomeno
vicesindaci.
Da
“Il Paese ostaggio del voto di scambio
ecco come la corruzione prospera sulla povertà” di Federico Fubini, sul quotidiano la Repubblica
del 15 di dicembre 2014: (…). Questa volta (…) è diverso. Questa non
è più l’Italia del boom, con i tassi di crescita e di speranza più alti
dell’Occidente. Nel pieno di un crollo dell’economia di oltre il 9% dal 2008, e
di una caduta anche maggiore dei redditi degli ultimi, il voto di scambio, la
corruzione, l’esclusione delle imprese pulite e competenti e tutto il debito
pubblico che ne deriva, sono ormai un sistema radicato nella recessione. Senza
il declino italiano, non esisterebbe con la stessa forza. Non potrebbe, perché
i dati elettorali su decine di comuni d’Italia mostrano come il voto di scambio
sia legato sempre più strettamente all’impoverimento delle città. (…).
Un’analisi sui dati delle 10 città medio-piccole a maggior reddito e di altri
10 centri di dimensioni simili, ma relegate in fondo alle graduatorie del
benessere economico, mostra come la povertà distorca i comportamenti
elettorali. Questi due gruppi diversi di comuni mostrano, in media, scarti così
radicali nell’affluenza alle urne da lasciar capire come il voto di scambio si
sia ormai impadronito di intere parti d’Italia. (…). Salta subito all’occhio
che nei due gruppi di città di classi di reddito opposte il comportamento degli
elettori è anch’esso molto diverso. Nella media delle 10 città “ricche”
l’affluenza è stata sempre maggiore alle ultime elezioni politiche (78,1%) che
al primo turno delle ultime comunali (65,2%). Nella media delle 10 città più
impoverite invece l’affluenza alle ultime politiche (65,6%) è nettamente più
bassa che al primo turno delle ultime comunali (73,25%). Emerge poi anche
un’altra differenza fra i due gruppi: quando le comunali vanno al secondo
turno, con il ballottaggio fra due soli nomi di candidati a sindaco,
l’affluenza al voto nelle città “povere” crolla in media molto più che nelle
città “ricche”. Nel primo caso si registra una caduta media del 20% fra il
primo e secondo turno, fra i capoluoghi benestanti invece il calo è minore di
quasi la metà (meno 12,5%). In sostanza, le città con molti abitanti in
difficoltà economica sembrano molto più interessate alle comunali che alle
politiche, ma questo interesse sparisce al ballottaggio in misura nettamente
maggiore di quanto non avvenga dove il benessere è diffuso. (…). Dove il
reddito è più basso e quindi gli elettori sono più facilmente acquistabili con
denaro, alimenti, la promessa di lavoro o la minaccia di licenziamento, è alle
comunali e non alle politiche che tende a concentrarsi il voto di scambio. Alle
ultime comunali esisteva infatti il voto di lista sui singoli candidati, mentre
alle politiche le liste erano bloccate. Il candidato alle politiche non può
controllare ex post se l’elettore ha dato o meno il voto che gli ha promesso,
dunque non è incentivato a pagare per assicurarselo. Il candidato alle comunali
invece è in grado di controllare che lo scambio sia avvenuto: poiché ha le
liste degli elettori iscritti ai seggi di ciascuna sezione – gruppi di solito
di 200 o 300 persone di un certo rione – nota subito se in un seggio ha
ricevuto meno voti dei 20 o 30 che sa di aver “comprato”. Di qui la maggiore
affluenza media nelle città a forte disagio economico, al primo turno delle
comunali: è infatti allora che si indicano i singoli candidati. Di qui anche il
crollo del 20% o più al ballottaggio, quando la scelta è fra due sole persone,
dunque il controllo ex post impossibile e l’incentivo a comprare il voto viene
meno. Queste anomalie nell’affluenza sono tali da permettere a chi pratica il
voto di scambio di controllare un comune, i suoi appalti, e le aziende
municipalizzate. Si genera così, grazie alla povertà, il modello Mafia
Capitale: debito pubblico che arricchisce pochi oligarchi locali a spese delle
aziende migliori, escluse dagli appalti, e della collettività. (…). Nasce così
un conflitto d’interesse in certi politici locali: non fanno niente per far
emergere i loro concittadini dalla povertà, perché grazie ad essa è possibile
il voto di scambio. La povertà conferisce controllo ai politici corrotti e
genera nuova corruzione, che alimenta nuova povertà. Basterebbe poco per
intralciare questo ingranaggio: mettere in un solo contenitore le schede di
tutti i seggi prima dello scrutinio, in modo da impedire il controllo sui
singoli elettori. Ma nessun politico l’ha mai proposto.
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