Come reagisce all'accoglienza riservata dalla Casa Bianca a Benjamin Netanyahu, lo scorso 7 luglio, terza visita negli Stati Uniti in sei mesi del primo ministro israeliano, incriminato per crimini di guerra e crimini contro l'umanità? «È triste constatare che alcune élite politiche di Washington continuano a non capire cosa sta accadendo a Gaza, scegliendo di ignorare o di sostenere i crimini di guerra e il programma genocida del governo Netanyahu. Amnesty ha ampiamente documentato il piano del governo israeliano a Gaza. Eppure gli Stati Uniti continuano a permettere a Netanyahu di esprimersi. Non solo è terribile se si hanno a cuore i diritti dei palestinesi, ma è anche estremamente dannoso per la stessa reputazione degli Stati Uniti, storicamente un Paese impegnato a sostenere il diritto internazionale».
Che cosa rispondere alle critiche rivolte dai Paesi del sud alla giustizia internazionale? «Risponderei che tutto il sistema giudiziario internazionale è stato profondamente danneggiato, e non solo la Corte penale internazionale e le Nazioni Unite. Si tratta di una questione cruciale. L'amministrazione Trump ha preso di mira molte istituzioni internazionali, tra cui l'Organizzazione mondiale della Sanità. Risponderei anche che è fondamentale che i cittadini di ogni Paese continuino a lottare per un sistema internazionale responsabile che protegga i diritti. Nessuno mette in dubbio il fatto che oggi formiamo una comunità globale interconnessa e che dipendiamo gli uni dagli altri per tutto ciò che riguarda il commercio e il cambiamento climatico, la giustizia, il benessere economico e persino i diritti politici. È quindi fondamentale avere un sistema internazionale concepito per sostenere la dignità umana e i diritti fondamentali di tutti. Direi: "Continuate a lottare per questo"».
Che bilancio fa della politica di Trump, a sei mesi dalla sua ascesa al potere? «Innanzitutto, non dobbiamo sottovalutare la sua strategia per distruggere i diritti. Il suo piano si sta rivelando efficace. Ha già messo in atto più della metà del Project 2025. Questa amministrazione ha agito molto velocemente, prendendo di mira in modo strategico le comunità più vulnerabili, con lo scopo di creare apatia e di radicare un potere irresponsabile negli Stati Uniti. Sono molto preoccupato e penso che, se i cittadini negli Stati Uniti e all'estero non si svegliano per limitare il potere di Trump, la situazione continuerà a peggiorare nei tre anni e mezzo che restano».
Trump ha ottenuto di recente una vittoria importante: la Corte suprema ha limitato l'azione dei giudici. È un altro passo verso l'autoritarismo? «Ricordiamo che questa Corte suprema si è pronunciata contro Donald Trump più di quanto abbia fatto qualsiasi altra corte contro un presidente Usa nella storia. Quindi il ruolo dei tribunali nel proteggere i diritti e limitare il potere dell'esecutivo esiste ancora. Ma ovviamente questa decisione sul potere dell'amministrazione di ignorare le conclusioni di un giudice federale è molto preoccupante sul piano dei diritti umani. Come Ong siamo determinati a proteggere lo Stato di diritto e le decisioni del popolo».
Come Amnesty International organizza il suo lavoro negli Stati Uniti con Trump alla Casa Bianca?
«Le nostre priorità sono la protezione e la difesa dei diritti essenziali che sono alla base di tutti gli altri diritti - espressione, media, manifestazione, associazione e assemblea - e la difesa dello Stato di diritto. Sono le due questioni centrali che guidano la nostra strategia. Non riusciremo mai a convincere la Casa Bianca di Trump a rispettare i diritti umani. Pertanto, avanzare prove e aspettarsi che l'amministrazione attuale cambi le sue politiche non è una buona tattica. Ma possiamo fare in modo di far pesare più possibile su questa amministrazione il suo operato ai danni dei diritti, impegnandoci insieme ad altri responsabili politici a livello locale, statale e nazionale. Con il tempo, crediamo di poter costruire una coalizione in grado di limitare i poteri di questa amministrazione. Prima di venire a Parigi, sono stato in Ungheria, in Italia e nel Regno Unito e in questi Paesi ho visto come gliattivisti combattono contro chi minaccia i diritti umani. Certe volte vincono. Abbiamo molto da imparare da loro. Penso che si stia assistendo ad un risveglio negli Stati Uniti, ma è necessario che avvenga rapidamente. Pensiamo all'Ungheria. Noi non abbiamo quattordici anni per risvegliarci e frenare l'amministrazione Trump e quelle che potrebbero seguire».
Pensa che le forze progressiste debbano essere più aggressive nei confronti dei poteri di dirigenti come Donald Trump e Vìktor Orban? «Sicuramente devono mostrare coraggio e resilienza. Al Pride di Budapest ho marciato insieme a 200.000 ungheresi per dire "basta", anche se il primo ministro Orban aveva dichiarato illegale la manifestazione. Per molti ungheresi è stato un momento cli svolta. Del resto il partito cli Orban registra attualmente circa il 36% delle intenzioni di voto nei sondaggi. Il suo avversario politico, contro cui concorrerà alle legislative di aprile 2026, è oltre al 50%. Molti specialisti, Ong, think tank, leader politici e attivisti con cui ho parlato ritengono che l'epoca di Orban sia finita».
(…). Come difensore dei diritti umani, si sente minacciato negli Stati Uniti? «Sono soprattutto preoccupato per tutto quello che è accaduto negli ultimi sei mesi e che non avrei mai immaginato. Sono preoccupato per le altre organizzazioni della società civile, per i volontari e tutte le persone che corrono enormi rischi nel lavorare per la difesa dei diritti umani. Ma so anche di appartenere a un movimento mondiale in cui molti colleghi, soprattutto nel Sud, nelle Americhe, in Africa e in Asia, hanno portato avanti le loro campagne militanti sotto regimi autoritari andando incontro a rischi enormi. Abbiamo colleghi come Amnesty France che ci sosterranno. Questa è la lotta per i diritti umani. Ed è quello che sta accadendo ora negli Stati Uniti».