"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 15 luglio 2025

CosedalMondo. 52 Paul O’Brien: «La dignità umana e i diritti fondamentali di tutti. Direi: "Continuate a lottare per questo"».


“Trump non si fermerà per Onu&C. Il mondo deve svegliarsi in fretta”, titolo della intervista di Francois Bougon a Paul O’Brien – direttore esecutivo di “Amnesty International Stati Uniti” – pubblicata sul giornale online “Mediapart” e riportata su “il Fatto Quotidiano” di ieri, lunedì 14 di luglio 2025: (…). Donald Trump ritiene di meritare il premio Nobel per la pace, riconoscimento che Amnesty ha ottenuto nel 1977 ''per il rispetto dei diritti umani nel mondo". Cosa ne pensa? «Trump è talmente crudele e ha scatenato un tale caos che, se ci fosse un premio equivalente, ma opposto, al Nobel per la pace, bisognerebbe assegnarlo a lui. Quante vite sono state spezzate a causa sua, quanti bambini sono stati strappati ai genitori, quante persone si sono impoverite. Poco tempo fa ha firmato una legge che priverà milioni di americani dell'assistenza sanitaria di base. Il Paese si troverà in una situazione ipotecaria, in cui cinquemila miliardi di dollari vengono trasferiti nelle tasche di élite già ricche, a spese della gente comune, che lavora e si sente sempre più schiacciata».

Come reagisce all'accoglienza riservata dalla Casa Bianca a Benjamin Netanyahu, lo scorso 7 luglio, terza visita negli Stati Uniti in sei mesi del primo ministro israeliano, incriminato per crimini di guerra e crimini contro l'umanità? «È triste constatare che alcune élite politiche di Washington continuano a non capire cosa sta accadendo a Gaza, scegliendo di ignorare o di sostenere i crimini di guerra e il programma genocida del governo Netanyahu. Amnesty ha ampiamente documentato il piano del governo israeliano a Gaza. Eppure gli Stati Uniti continuano a permettere a Netanyahu di esprimersi. Non solo è terribile se si hanno a cuore i diritti dei palestinesi, ma è anche estremamente dannoso per la stessa reputazione degli Stati Uniti, storicamente un Paese impegnato a sostenere il diritto internazionale».

Che cosa rispondere alle critiche rivolte dai Paesi del sud alla giustizia internazionale? «Risponderei che tutto il sistema giudiziario internazionale è stato profondamente danneggiato, e non solo la Corte penale internazionale e le Nazioni Unite. Si tratta di una questione cruciale. L'amministrazione Trump ha preso di mira molte istituzioni internazionali, tra cui l'Organizzazione mondiale della Sanità. Risponderei anche che è fondamentale che i cittadini di ogni Paese continuino a lottare per un sistema internazionale responsabile che protegga i diritti. Nessuno mette in dubbio il fatto che oggi formiamo una comunità globale interconnessa e che dipendiamo gli uni dagli altri per tutto ciò che riguarda il commercio e il cambiamento climatico, la giustizia, il benessere economico e persino i diritti politici. È quindi fondamentale avere un sistema internazionale concepito per sostenere la dignità umana e i diritti fondamentali di tutti. Direi: "Continuate a lottare per questo"».

Che bilancio fa della politica di Trump, a sei mesi dalla sua ascesa al potere? «Innanzitutto, non dobbiamo sottovalutare la sua strategia per distruggere i diritti. Il suo piano si sta rivelando efficace. Ha già messo in atto più della metà del Project 2025. Questa amministrazione ha agito molto velocemente, prendendo di mira in modo strategico le comunità più vulnerabili, con lo scopo di creare apatia e di radicare un potere irresponsabile negli Stati Uniti. Sono molto preoccupato e penso che, se i cittadini negli Stati Uniti e all'estero non si svegliano per limitare il potere di Trump, la situazione continuerà a peggiorare nei tre anni e mezzo che restano».

Trump ha ottenuto di recente una vittoria importante: la Corte suprema ha limitato l'azione dei giudici. È un altro passo verso l'autoritarismo? «Ricordiamo che questa Corte suprema si è pronunciata contro Donald Trump più di quanto abbia fatto qualsiasi altra corte contro un presidente Usa nella storia. Quindi il ruolo dei tribunali nel proteggere i diritti e limitare il potere dell'esecutivo esiste ancora. Ma ovviamente questa decisione sul potere dell'amministrazione di ignorare le conclusioni di un giudice federale è molto preoccupante sul piano dei diritti umani. Come Ong siamo determinati a proteggere lo Stato di diritto e le decisioni del popolo».

Come Amnesty International organizza il suo lavoro negli Stati Uniti con Trump alla Casa Bianca?

«Le nostre priorità sono la protezione e la difesa dei diritti essenziali che sono alla base di tutti gli altri diritti - espressione, media, manifestazione, associazione e assemblea - e la difesa dello Stato di diritto. Sono le due questioni centrali che guidano la nostra strategia. Non riusciremo mai a convincere la Casa Bianca di Trump a rispettare i diritti umani. Pertanto, avanzare prove e aspettarsi che l'amministrazione attuale cambi le sue politiche non è una buona tattica. Ma possiamo fare in modo di far pesare più possibile su questa amministrazione il suo operato ai danni dei diritti, impegnandoci insieme ad altri responsabili politici a livello locale, statale e nazionale. Con il tempo, crediamo di poter costruire una coalizione in grado di limitare i poteri di questa amministrazione. Prima di venire a Parigi, sono stato in Ungheria, in Italia e nel Regno Unito e in questi Paesi ho visto come gliattivisti combattono contro chi minaccia i diritti umani. Certe volte vincono. Abbiamo molto da imparare da loro. Penso che si stia assistendo ad un risveglio negli Stati Uniti, ma è necessario che avvenga rapidamente. Pensiamo all'Ungheria. Noi non abbiamo quattordici anni per risvegliarci e frenare l'amministrazione Trump e quelle che potrebbero seguire».

Pensa che le forze progressiste debbano essere più aggressive nei confronti dei poteri di dirigenti come Donald Trump e Vìktor Orban? «Sicuramente devono mostrare coraggio e resilienza. Al Pride di Budapest ho marciato insieme a 200.000 ungheresi per dire "basta", anche se il primo ministro Orban aveva dichiarato illegale la manifestazione. Per molti ungheresi è stato un momento cli svolta. Del resto il partito cli Orban registra attualmente circa il 36% delle intenzioni di voto nei sondaggi. Il suo avversario politico, contro cui concorrerà alle legislative di aprile 2026, è oltre al 50%. Molti specialisti, Ong, think tank, leader politici e attivisti con cui ho parlato ritengono che l'epoca di Orban sia finita».

(…). Come difensore dei diritti umani, si sente minacciato negli Stati Uniti? «Sono soprattutto preoccupato per tutto quello che è accaduto negli ultimi sei mesi e che non avrei mai immaginato. Sono preoccupato per le altre organizzazioni della società civile, per i volontari e tutte le persone che corrono enormi rischi nel lavorare per la difesa dei diritti umani. Ma so anche di appartenere a un movimento mondiale in cui molti colleghi, soprattutto nel Sud, nelle Americhe, in Africa e in Asia, hanno portato avanti le loro campagne militanti sotto regimi autoritari andando incontro a rischi enormi. Abbiamo colleghi come Amnesty France che ci sosterranno. Questa è la lotta per i diritti umani. Ed è quello che sta accadendo ora negli Stati Uniti».

domenica 13 luglio 2025

Lastoriasiamonoi. 77 Paolo Rumiz: «Non è forse vero che TikTok e altri strumenti infernali ci hanno divisi in tribù e reso violento il linguaggio, minando la democrazia alla base?».

                            Sopra. Tuzla (1995), una "fossa comune".

UnaDenunciAppello”. “Perché l’Europa ha dimenticato la sua Srebrenica”, testo di Paolo Rumiz pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi, domenica 13 di luglio 2025: Sono trent’anni - dalla strage di Srebrenica - che mi chiedo cosa siamo diventati. Noi, intendo. Noi che abbiamo guardato ai Balcani come al Burundi. Siamo così diversi, oggi, da quella che, allora, abbiamo etichettato come barbarie? Non direi. In trent’anni siamo passati dall’accoglienza alla deportazione dei profughi e dalla demolizione dei muri al ripristino delle frontiere tra paesi fratelli. Le parole “pace”, “fratellanza”, “carità”, e persino il termine “democrazia” sono squalificati, derisi. La violenza, il ricatto e le minacce hanno sostituito la diplomazia e i valori dell’Unione europea sono finiti nelle immondizie. Non è solo un naufragio politico, ma anche morale, e culturale. La nostra capacità di distinguere si è perduta: per noi tutti gli arabi sono musulmani così come tutte le vacche sono nere. Abbiamo dimenticato che la Siria, l’Egitto e la Palestina hanno comunità cristiane, che Sarajevo ha una storica comunità ebraica, o che fino al Quindicesimo secolo Istanbul è stata Costantinopoli, capitale dell’impero romano d’Oriente. I nostri cuori si sono induriti. Contro chi offre volantini contro i massacri in Medio Oriente ho sentito urlare per strada: «Chi difendete? Fino a quando “loro” non saranno tutti massacrati, non ci sarà pace». E non è questo lo stesso principio sbandierato da Ratko Mladi? per giustificare il genocidio? La guerra che ha disintegrato i Balcani in nome dell’omogeneità etnica è stata preparata dal martellamento dei media, e dall’intossicazione mentale costruita dai servizi segreti e dai preti. È così diverso per noi? Non è forse vero che TikTok e altri strumenti infernali ci hanno divisi in tribù e reso violento il linguaggio, minando la democrazia alla base? Se è vero che poteri occulti hanno spinto serbi, croati e bosniaci a massacrarsi tra loro, non è altrettanto vero che oggi una buona metà degli utenti dei “social” non sono persone vere ma il frutto di algoritmi in mano ai predatori delle risorse mondiali e dall’illimitata potenza di fuoco? Non è forse vero che, con il suo silenzio-assenso alla pulizia etnica, l’Europa in Bosnia ha rinnegato se stessa, perdendo l’anima, l’onore e la credibilità? Dovremmo una volta tanto ammettere che abbiamo fallito e che l’Europa è diventata balcanica prima che i Balcani diventassero Europa.