"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 18 marzo 2024

CosedalMondo. 12 Alessandro Robecchi: «“I signori della guerra”, sempre più signori e con sempre più guerre su cui lavorare».


Ha scritto Enzo Bianchi per il quotidiano “la Repubblica” di oggi, lunedì 18 di marzo 2024, in “La profezia della pace”: Si narra nel libro del profeta Geremia che durante l’invasione di Israele da parte dell’Impero orientale dei Babilonesi ci fu una resistenza, si tentò per mesi una difesa con un numero di morti che poteva essere definito una strage e avvenne anche la terribile deportazione di uomini sani e giovani in esilio a Babilonia. Il profeta Geremia è testimone di quegli eventi e predispone le condizioni per un armistizio con l’invasore, polemizzando con chi chiedeva in soccorso l’intervento dell’Egitto. Geremia predice la pace e chiede di desistere dalla guerra contro i babilonesi e di non confidare nell’impero dell’Occidente. Ma ecco l’accusa: “Tu passi dalla parte dei babilonesi. Stai con Nabucodonosor contro il popolo di Israele”. E per questo viene incarcerato, buttato in una cisterna e perseguitato. Si trattava di scegliere il male minore: o un atto che poteva sembrare di resa, ma in realtà era di realismo e coraggio, o andare verso la catastrofe, ciò che avvenne nel 587, dopo tre anni di guerra. La forza profetica sta in questa parresia, nel dire la verità e non lasciarsi piegare da logiche mondane. (…). …la storia della Chiesa testimonia che dove si leva la voce del Vangelo crescono le voci di chi fa rumore senza creare nulla. (…). Non è più giustificabile moralmente il ricorso alle armi in qualsiasi forma e davanti a un conflitto la reazione evangelica per un credente resta la non violenza attiva, che interrompe la spirale della violenza. (…). …mi chiedo cosa stiano facendo i cattolici oltre a cortei e manifestazioni domenicali per la pace. In che modo si adoperano per una prassi di non violenza attiva e un cammino di riconciliazione e di pace di fronte ai conflitti e alle aggressioni? Il Papa da solo non può fare tutto ciò che spetta ai cristiani.

“Masters of war. La guerra, il business principale: così si spiegano i piazzisti”, testo di Alessandro Robecchi pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 13 di marzo ultimo: Insomma, la guerra. La guerra di oggi, anzi le guerre, il genocidio della potenza coloniale israeliana ai danni del popolo palestinese, la carneficina senza fine in Ucraina, le altre guerre sparse per il pianeta (parecchie) che nemmeno arrivano ai media, i massacri, le popolazioni colpite, gli effetti collaterali, fame, malattie, disperazione. La guerra, insomma, che sembra una componente naturale, endemica, delle faccende umane, in qualche modo accettata e - è storia recente e recentissima - benedetta e sostenuta da un apparato informativo che sembra proprio quel che è: l’ufficio stampa della guerra. La guerra “giusta”, la guerra “nostra”. Piazzisti. Strabiliante: non c’è attività umana che non venga letta in termini economici, che non venga analizzata per quel che produce o consuma in termini di ricchezza. Sappiamo tutto di industrie, di mercati, di speculazioni, di guadagni, di dinamiche macroeconomiche di ogni settore, e non sappiamo niente – è una specie di tabù – dell’economia della guerra, di chi la gestisce, di chi ci guadagna, di chi ne fa corebusiness. Il primo a nominare – e in qualche modo a battezzarlo – il “complesso militare industriale” fu Eisenhower, presidente americano che una guerra l’aveva vinta da generale. Correva il 1961 e lui metteva in guardia la prima potenza mondiale proprio da quell’intreccio inestricabile che poi avrebbe contagiato il mondo: la politica, l’industria bellica (nella neolingua tanto in voga da sempre, la guerra si chiama “difesa”), la finanza, alleate a gonfiare un apparato micidiale. Un sistema economico che doveva produrre armi, quindi usarle, quindi costruirne di nuove, quindi spingere sul comparto “ricerca e sviluppo” con esseri umani come cavie. E quindi combattere ogni voce di pace, quindi soffiare su ogni focolaio, su ogni principio d’incendio per farlo divampare. Dalla guerra “Sola igiene del mondo” della macchietta futurista italiana, si è passati in pochissimi anni alla guerra come “Sola economia del mondo”. Difficile pensare a un comparto economico che aumenta il fatturato in doppia cifra ogni anno ininterrottamente da almeno trent’anni, il cui giro di affari è arrivato (fonte: Sipri, Stockholm International Peace Research Institute) nel 2022 a 2.240 miliardi di dollari l’anno (in vorticosa crescita), il 40 per cento dei quali americani (seguono Cina, che spende un terzo degli Usa, e Russia, che spende un decimo). Non solo armi, ma tutto quel che ne consegue, personale, strutture, ricerca, apparati, informazione. Parliamo insomma della prima industria mondiale, il che dovrebbe chiarire a tutti e per sempre che ogni discorso bellico favorevole a questo o quel conflitto (abbiamo in questi giorni luminosi esempi, quelli che non saprebbero gestire una gelateria ma danno lezioni al papa, per dire) può essere agevolmente letto come un’interessata attività di lobbyng, di sostegno a tassametro, degli interessi tesi alla realizzazione della guerra. Si parla, infatti, di uno stato di guerra permanente, con vari fronti, con varie declinazioni e vari gradi di intensità, ma con tutte le guerre – tutte – ad esclusivo vantaggio di quell’apparato transnazionale controllato da non più di qualche migliaio di persone. Se esiste oggi una perfetta metafora del capitalismo, è la guerra: la disperazione di molti e il guadagno di pochissimi, quelli che un tempo si chiamavano “i signori della guerra”, sempre più signori e con sempre più guerre su cui lavorare, perché se l’affare è la guerra, la pace fa male agli affari. Ai loro.

domenica 17 marzo 2024

MadeinItaly. 04 L’immarcescibile “sostanza” della politica “made in Italy”.


«Padri e madri di famiglia...  e vedremo, se qualcuno sapeva, ordinava e ne approfittava. Differenza di stare al mondo!». Ho paura a pensare a quanti comizi di Salvini ho sentito negli anni. Parte del mio lavoro consiste nel sentire e ricordare i comizi dei leader politici di un Paese talmente smemorato da sembrare privo di archivi. E invece a casa, solo io, accatastati in precari scatoloni, ho decine di hard-disk di varia foggia, colore e tecnologia, pieni di discorsi, battute, gesti, promesse, inni cantati male, con la mano sul cuore, a squarciagola, col caldo e con la pioggia, da Sud a Nord, isole comprese, soprattutto se in campagna elettorale. Ci penso mentre riguardo il breve comizio, causa pioggia e povertà di argomenti, di Salvini a Pescara. Per chi svolge il mestiere di comiziante esistono tecniche oratorie precise, escamotage efficaci e repertori rodati da anni di palcoscenico cui attingere per creare consenso, affascinare e abbindolare anche senza avere nulla da dire. Politica e intrattenimento sono una cosa sola, e come avviene per le star della tv, spesso la gente sembra contenta anche solo di vederlo dal vivo il politico arrivato fin sotto casa a comiziare, nella speranza di riascoltarne i grandi successi, sempre e a prescindere. Alla continua ricerca di nuove tendenze da cavalcare, spesso negando se stesso, Salvini spera sempre nei tormentoni dei bei tempi. Solo che piove, il tempo stringe, e lui di Abruzzo non sa cosa dire. Il piatto forte di giornata sono i dossier sui conti di politici e vip tra cui molti leghisti, e Salvini vuole vederci chiaro, anche perché, e qui arriva il capolavoro, sono stati spiati «padri e madri di famiglia». Mentre la folla s'indigna per magistrati e giornalisti di sinistra spioni, Salvini è già pronto a brandire le due parole magiche pretestuosamente enunciate: «Padri e madri». Con ardito e improvviso salto logico, il leader leghista compie pertanto il virtuosismo necessario a mettere sul piatto abruzzese il tormentone che non ti aspetti: «Ringrazio la regione Abruzzo che più di tante altre regioni italiane da questo punto di vista si è distinto». Tralasciando la fluidità di genere nella declinazione, ecco che Salvini affonda il colpo: «Per me la mamma si chiama mamma e il papà si chiama papà, i bambini vengono al mondo se ci sono una mamma e un papà, l'utero in affitto è una schifezza universale, genitore 1 e genitore 2 sono una presa in giro». Il pubblico presente erutta di giubilo, sapeva le parole a memoria, perché ognuno ricorda quello che vuole. Fortuna che ci sono gli hard-disk, oggi più pesanti di ieri. (Tratto da “Padri, madri e hard-disk” di Diego Bianchi, pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 15 di marzo 2024).