Tratto da “Movimento
5Stalle” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 19 di
febbraio 2019: (…). È bastato meno di un anno di governo perché il virus del
berlusconismo infettasse un po’ tutto il mondo 5Stelle. E l’impietoso referto del
contagio è facilmente rintracciabile nelle dichiarazioni dei senatori che già
da giorni volevano a tutti i costi salvare Salvini e nei commenti sul Blog
delle Stelle dei loro degni iscritti che li hanno seguiti anziché fermarli
sulla strada dell’impunità. Dicono più o meno tutti la stessa cosa: siccome ora
governiamo noi e la Lega, decidiamo noi chi va processato e chi no, alla faccia
dei giudici politicizzati che vorrebbero giudicare le nostre scelte unanimi per
rovesciare il governo. Questo, in fondo, era il messaggio in bottiglia mal
nascosto nella decisione di affidare agli iscritti una scelta che avrebbero
dovuto assumere, senza esitazione alcuna, il capo politico Di Maio e il suo
staff. Una scelta naturale, quasi scontata, quella dell’autorizzazione a
procedere, che era stata annunciata fin da subito, quando arrivò in Parlamento
la richiesta del Tribunale dei ministri su Salvini: “Vuole il processo? Lo
avrà”. Ma poi era stata prontamente ribaltata, peraltro senza mai essere
ufficializzata, quando Salvini aveva cambiato idea intimando con un fischio ai
partner di salvarlo dal processo. Riuscendo nell’impresa di spaccarli a metà. Ergo,
a decidere la linea del primo partito d’Italia, sono i capricci
dell’alleato-rivale. Che ha imposto ai 5Stelle un voltafaccia pronunciato a
mezza bocca, senza nessuno che se ne assumesse la paternità e la
responsabilità. Un atto non dovuto, gratuito (il governo non sarebbe certo
caduto sulla Diciotti) di sottomissione a Salvini: lo stesso che prende i
5Stelle a pesci in faccia sul Tav, le trivelle e prossimamente sull’acqua
pubblica, straccia spudoratamente il Contratto di governo e poi pretende
l’asservimento totale degli alleati senza restituire nemmeno un pizzico di
lealtà. Così le storiche parole d’ordine di Beppe Grillo e la lezione di
Gianroberto Casaleggio – “Ogni volta che deroghi a una regola, praticamente la
cancelli” – sono finite nel dimenticatoio, con la scusa che “questa volta è
diversa”, “non è come con gli altri governi”, “non ci sono di mezzo le
tangenti”. Ma “solo” un sequestro di persona, che sarà mai. E tanti saluti a
quei fresconi dei sindaci Raggi, Appendino e Nogarin, più volte indagati o
imputati non certo per storie di vil denaro, ma per atti compiuti
nell’esercizio delle funzioni di governo, che mai hanno detto una parola contro
i magistrati e si sono sempre difesi nei, non dai processi. Certo, qualcuno
avrebbe votato diversamente se il caso Diciotti fosse stato presentato sul blog
in maniera corretta e veritiera, e non nel modo menzognero e truffaldino
studiato apposta per subornare gli iscritti (il No per il Sì al processo, e
viceversa; il quesito cambiato in corsa ieri mattina per blindare ancora meglio
il Sì all’impunità; il sequestro di persona spacciato per un banale “ritardo
nello sbarco”; l’invocazione del salvacondotto per “l’interesse dello Stato”,
del tutto sconosciuto alla norma costituzionale, che consente il no al processo
solo in caso di “interesse pubblico preminente” o “costituzionalmente
rilevante”). Ma la perfetta identità di vedute fra la maggioranza degli eletti
e il quasi 60% degli iscritti votanti è un dato di fatto da prendere in
considerazione per quello che è: i vertici hanno ormai la base che si meritano,
e viceversa. Però, da ieri, il M5S non è più il movimento fondato dieci anni fa
da Grillo, Casaleggio e decine di migliaia di militanti. È qualcosa di
radicalmente diverso, che ancora non conosciamo appieno e di cui dunque non
possiamo immaginare il destino. Ma che non promette nulla di buono, se la
maggioranza emersa ieri dal blog resterà tale, scoraggiando e allontanando la
pur cospicua minoranza di pentastellati rimasti coerenti e fedeli ai valori
originari. Qui non è questione di presunte svolte a destra o a sinistra. E non
è in ballo l’eterno giochino tra ortodossi e dissidenti, o fra dimaiani,
fichiani e dibattistiani. Ma qualcosa di ben più profondo. Se il M5S perde la
stella polare della legge uguale per tutti, gratta gratta gli resta ben poco,
perché quello era il fondamento di tutte le altre battaglie, l’ubi consistam della
sua diversità, anzi della sua alterità rispetto ai vecchi partiti. I quali non
mancheranno di rinfacciarglielo a ogni occasione: “Visto? Ora siete come noi.
Benvenuti nel club”. Dalle stelle alle stalle.
ilcavalierdelamancia
mercoledì 20 febbraio 2019
martedì 19 febbraio 2019
Terzapagina. 70 Eco: «dell’ars memoriae, dell’ars oblivionalis».
Tratto da “Contro
la perdita di memoria” di Umberto Eco (seconda parte): L'esempio
classico di un dispositivo di memoria consiste nel figurarsi un'immagine
spaziale complessa (un palazzo, una piazza, una città) in cui ci siano elementi
architettonici o statue, molte rappresentanti fatti strani o paurosi, ai quali
si possa associare ogni tipo di data, concetto, principio logico, evento e così
via, in modo che immaginandosi di visitare il luogo e ricordando queste
immagini, si possa ricordare un sistema completo di nozioni. Ma a volte è stato
più difficile ricordare le immagini mnemoniche che le date da recuperare. Nel
De oratore (II, 74), per esempio, Cicerone cita il caso di Temistocle, che era
stato dotato di una memoria straordinaria. Quando qualcuno gli offrì di
insegnargli un'ars memorandi, Temistocle rispose che il suo interlocutore gli
avrebbe fatto una grande cortesia se gli avesse insegnato come dimenticare ciò
che desiderava dimenticare piuttosto che insegnargli come ricordare, dato che
avrebbe preferito essere in grado di dimenticare qualcosa che non voleva
ricordare piuttosto che ricordare tutto ciò che aveva sentito o visto:
(…). Il problema dell'eccesso di memoria
spiega perché uno dei timori dei praticanti dell'arte mnemonica fosse di
ricordare così tanto da confondersi e come risultato dimenticare praticamente
tutto. Sembra, infatti, che a un certo punto della sua vita Giulio Camillo (che
inventò un teatro della memoria assolutamente infattibile) dovette scusarsi per
il suo stato confusionale e per i suoi vuoti di memoria, citando come
spiegazione l'applicazione protratta e frenetica delle sue tecniche di
mnemonica... D'altra parte, nella sua polemica contro la mnemonica, Cornelio
Agrippa (nel De vanitate scientiarum) affermava che la mente è resa ottusa da
quegli artifici mostruosi e l'essere così sovraccaricata la porta alla pazzia.
Da qui, subdolamente parallela alle fortune dell'ars memoriae, deriva la
riapparizione di volta in volta del fantasma dell'ars oblivionalis. Perciò nel
1592 un certo Filippo Gesualdo scrisse una Plutosofia, un metodo per l'oblio e,
nel suo intento di sviluppare un'arte per dimenticare, suggerì le stesse
tecniche di un'arte per ricordare. Gesualdo suggeriva di immaginare un teatro
della memoria in cui di solito venivano collocate diverse immagini associate a
qualcosa da ricordare. E poi "durante il giorno con gli occhi chiusi, o di
notte nell'oscurità, dovresti vagare con la mente attraverso tutti i posti
immaginati, evocando un'oscurità notturna che nasconde tutti i luoghi e,
procedendo in questa maniera, e andando indietro molte volte con la mente e non
vedendo alcuna immagine, ogni figura presto scomparirà... Proprio come il
pittore imbianca i suoi dipinti per cancellarli, così anche noi possiamo
cancellare le immagini dei colori dipinti sopra. E questi colori sono bianchi,
verdi o neri; immaginando bianche tende a coprire i luoghi, lenzuola verdi o
tessuti neri; e tornando su quei luoghi numerose volte con i veli dei colori. E
si può anche immaginare i luoghi riempiti con paglia, fieno, legna da ardere,
merce, ecc. La considero una regola eccellente per realizzare nuove figure;
perché proprio come un chiodo ne scaccia un altro, così formare nuove immagini
e collocarle nei luoghi già immaginati cancella le prime immagini dalla nostra
memoria. O immaginate una grande tempesta di vento, grandine, polvere, edifici
e luoghi e templi in rovina, un flusso che lascia tutto in uno stato di
confusione. E quando questo pensiero nocivo è proseguito per un po' ed è stato
ripetuto per numerose volte, alla fine andate a passeggiare in quei luoghi con
la vostra mente, immaginando un tempo luminoso e calmo e pacifico, e vedrete
quei luoghi vuoti e nudi come se fossero creati per la prima volta. O
immaginate un uomo ostile, terribile e temibile (il più crudele e bestiale e
aggressivo possibile) che con una truppa di compagni armati entra e passa
impetuosamente in quei luoghi e con flagelli, bastoni e altre armi caccia via
le sembianze, assalta le persone, manda in frantumi le immagini, mette in fuga
da porte e finestre tutti gli animali e le persone animate che abitavano quei
luoghi. Fino a che, dopo che il tumulto e la rovina sono passati, guardare quei
luoghi con una mente guarita dal terrore, li farà sembrare nudi e vuoti come lo
erano prima". Non sappiamo se qualcuno abbia mai messo in pratica gli artifici
che Gesualdo aveva raccomandato, ma siamo autorizzati a sospettare che tutti
questi stratagemmi abbiano reso possibile, non tanto dimenticare, quanto
ricordare ciò che il praticante voleva dimenticare - come accade quando gli
amanti cercano di cancellare l'immagine della persona che li ha abbandonati, e
più la cancellano più vividamente il volto della persona amata si ripropone. Un
altro autore che secoli dopo ha messo in guardia contro l'eccesso di memoria è
stato Nietzsche nelle sue seconde Considerazioni inattuali, sui vantaggi e gli
svantaggi degli studi storici per la vita. Scrisse sulla capacità di percepire
le cose astoricamente: "Chi non sa sedersi sulla soglia dell'attimo,
dimenticando tutto il passato, chi non sa stare dritto su un punto senza vertigini
e paura come una dea della vittoria, non saprà mai che cos'è la felicità e
ancora peggio, non farà mai qualcosa che renda felici gli altri. Immaginatevi
l'esempio estremo, un uomo che non possedesse affatto la forza di dimenticare,
che fosse condannato a vedere ovunque un divenire (…). Un tale uomo non
crederebbe più al suo proprio essere, non crederebbe più a se stesso, vedrebbe
scorrere ogni cosa l'una dall'altra in un movimento di punti e si perderebbe in
questa fiumana del divenire [...]
lunedì 18 febbraio 2019
Terzapagina. 69 «Umberto Eco: ma c’è qualcosa che non scordo».
Tratto da “Contro
la perdita di memoria” (prima parte), la “lectio magistralis” di Umberto
Eco (mancato il 19 di febbraio dell’anno 2016) tenuta nel Palazzo di Vetro
delle Nazione Unite il 21 di ottobre dell’anno 2013 e riproposta sul
settimanale Robinson del quotidiano la Repubblica il 18 di febbraio dell’anno
2018 con il titolo “Ma c’è qualcosa che
non scordo”: (…). La necessità della memoria. I mass media sono principalmente
interessati al presente.
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