Sta per compiersi – referendum confermativo
di ottobre (??) permettendo - quella revisione - o meglio stravolgimento - della
Costituzione che non fu realizzata al tempo dell’egoarca di Arcore e che si
compie ai nostri giorni con al timone un governo posto sotto l’egida di un
sedicente partito che guarda con occhio strabico a “sinistra”. Illuminante,
trascorsi otto anni appena, osservare il riposizionamento di due degli organi
di stampa più importanti e rappresentativi del panorama nazionale. L’Unità a
quel tempo poneva nella sua “striscia rossa” il pensiero del “comunista”
Piero Calamandrei ed il quotidiano la Repubblica anticipava l’articolo che oggi
dà titolo a questa “sfogliatura”. Il post risale al 26 di settembre dell’anno
2008, cinquantesimo post di una rubrichetta che al tempo avevo intitolato “Ilgrilloparlante”.
Scrivevo allora che… “Il passo breve verso l'autoritarismo” è il titolo di un articolo di don Antonio
Sciortino, direttore del settimanale “Famiglia Cristiana”, che il quotidiano “la
Repubblica” ha anticipato nelle sue pagine, articolo che comparirà anche nell’ultimo
numero della rivista “Micromega”. Per questa “rubrichetta” ho riportato solo in
parte l’apprezzabilissimo ed inquietante articolo. Non ritengo necessario
aggiungere considerazione alcuna, stante la linearità e la chiarezza estrema
dell’Autore, bersaglio di recente di attacchi per le Sue coraggiose e libere
posizioni assunte sui più discutibili temi del governare nell’era dell’egoarca
di Arcore ed ancor più bersaglio di critiche feroci per alcune Sue opinioni espresse
a seguito di discutibilissime decisioni assunte dalla compagine governativa sui
temi propri dell’accoglienza, del rispetto dei diritti umani e delle vere
priorità sociali ed economiche che affliggono il bel paese. La “Striscia rossa”
è ripresa come sempre dal quotidiano l’Unità; profetiche le parole in essa
contenute e pronunciate oltre cinquant’anni addietro da un inveterato mestatore
e notoriamente sobillatore “comunista” tale Piero Calamandrei, “comunista” secondo
la vulgata corrente. Da accomunare senza dubbio al “comunista” don Antonio
Sciortino.
(…). In realtà, in Italia la
gente ha una concezione sempre più leggera della democrazia rappresentativa.
Sembra che basti solo assolvere al dovere del voto. E i politici (soprattutto
quelli «nuovi», quelli che non provengono da una lunga formazione, ma dalle
scuole del marketing), ritengono che i cittadini abbiano firmato loro una
delega in bianco. Si sentono legittimati a fare tutto ciò che le regole della
soddisfazione dei desideri impongono, quasi che l´esercizio nobile dell´arte
della politica, sia definita dalla migliore e scintillante soluzione dei
desideri di ognuno. Siamo al paradosso che, proprio oggi, quando la politica
sembra aver preso il sopravvento su molte altre attività (al punto che tutti ci
si buttano), la partecipazione invece cala. È vero che la democrazia
rappresentativa si risolve nella delega. Ma essa è intesa in maniera così forte
dall´attuale classe politica (al governo e all´opposizione), che ha relegato in
soffitta la democrazia di opinione. Siamo così all´antipolitica, che non è
quella di Grillo o dei girotondi, ma quella della politica intesa come mercato
della soddisfazione dei desideri. La classe politica italiana, ma anche gli
intellettuali, hanno gravi responsabilità. L´eterna transizione cui è costretta
l´Italia almeno da 15 anni e la promessa reiterata di riforme che non arrivano
mai, hanno tolto credibilità alla politica e rafforzato chi, nella politica,
vede un teatro da calcare con le sue truppe ordinate e ubbidienti a ogni
ordine, senza discutere. Vale a destra come a sinistra. In un quadro simile, la
partecipazione e, dunque, la democrazia di opinione spariscono. Né il
riconoscimento maggiore del leader serve ad aumentare la partecipazione. Lo
dimostrano le continue incursioni di Berlusconi nelle piazze tra la gente che
vive drammaticamente problemi seri, quasi volesse non tanto rassicurarla, ma
rassicurare se stesso di averla (la gente) sempre vicina. In realtà, nessuno sa
veramente quel che pensano i cittadini, al di là del vecchio e, talora,
obsoleto metodo dei sondaggi. Neppure a livello amministrativo c´è più passione
per la «cosa pubblica». Non ci si interessa nemmeno del proprio marciapiede o
dell´autobus che non passa. (…). La
rivista francese Esprit (che, certo, non può essere bollata di «cattocomunismo»
o di «criptocomunismo») si domandava questa estate se non ci stiamo avviando
verso la fine del ciclo democratico. La scomparsa delle ideologie non ha
assolutamente semplificato il quadro politico. Ha solo prodotto maggiore
difficoltà nella comprensione e nell´elaborazione del pensiero politico, che
sembra debba inseguire solo i desideri della gente. Oggi si tende a
semplificare cose complesse, con risposte ai bisogni che saranno necessariamente
inefficaci sul medio e lungo periodo, anche se al momento sono allettanti. (…).
Il passo dal populismo all´autoritarismo può essere, fatalmente, breve. Mi
chiedo cosa sia veramente cambiato in questo decorrere di anni rispetto agli
scenari che la “sfogliatura” proposta rinverdisce convenientemente e ci riporta
indietro a tempi e modalità della politica che ci si era augurato di aver messo
da parte. Una pia illusione. Ne ha scritto di recente Oliviero Beha su “il
Fatto Quotidiano” del 13 di gennaio ultimo scorso in un “pezzo” che ha per
titolo “La nostra politica è un casinò,
tutto ruota intorno a uno”. Come ai tempi della “sfogliatura” proposta. Scrive Oliviero Beha che… Non è
davvero difficile oggi passare per anti-renziano: basta raccontare la realtà di
un Paese alla deriva, al suo interno e nei rapporti internazionali. Certo,
molto dipende da come la racconti, questa realtà. Se come si dice non ci
inzuppi il pane dell’edicola (quelle poche rimaste: a Roma, nella storica
Piazza Vittorio, ne hanno chiuse due su tre…), se non forzi la cronaca facendo
illazioni di cui non c’è alcun bisogno, se non cadi nella trappola del gossip
che spoglia di autorevolezza ogni punto di vista, se insomma non cedi al tifo
“politico” in un’Italia in cui la politica con la maiuscola sembra sempre più
al lumicino. È anche vero che il contesto mediatico spinge verso il basso:
quante volte abbiamo letto e sentito l’omerico “E se l’avesse fatto
Berlusconi?” riferito a Renzi ma non da tutti coloro che per vent’anni sul
serio o per scherzo hanno fatto dell’anti-berlusconismo una ragione di vita,
anche professionale, no. (…). Eppure a non ancora due anni (o a già due anni,
secondo le fazioni) dalla presa di Palazzo Chigi Renzi sembra aver già fatto
tutto quello che poteva fare, nel bene come nel male: da subito rottamatore di
partito, e di una classe dirigente colpevole di aver ridotto il Paese agli
stracci, in realtà in fretta ha avvicendato i suoi con parte degli altri,
scalzando un Bersani e un D’Alema per negoziare con un Berlusconi e un Verdini,
applicando quindi un metodo ben lontano dalla rottamazione iniziale. È poi
andato avanti al galoppo tra i cespugli delle istituzioni, per svecchiare e
garantire la famosa governabilità stabile a qualunque costo, anche a costo di
stravolgere la costituzione e di “interpretare” elettoralmente la democrazia:
ovverosia il cambiamento va bene se indirizzato a farmi vincere ma non se vince
Grillo, (…). Sembra il casinò della politica: tutto ruota intorno al premier,
incurante di quello che avviene fuori, in un’Italia sfatta non solo e non tanto
per gli indicatori economici che ci vogliono ancora in crisi, ma per un
paesaggio amorale privo di orizzonte. Oppure si pensa davvero che il destino
dell’Italia debba dipendere dal Renzi sì-Renzi no, mentre tutto il resto non
conta e sta a guardare? Non è una prospettiva miserrima nei due casi? Anche
perché intorno nel vuoto di politica c’è una sorta di terra dei fuochi dove
tutto è inquinato, tanto da far disperare i renziani sulla base “chi se non Renzi?”.
Da una rottamazione mimata, astuta e opportunista a un territorio alla mercé
degli sfasciacarrozze? In tal senso la soddisfazione del PD per la bruttissima
storia di Quarto che – Renzi dixit – “normalizza il M5S” è quanto di più
esemplare offra la scena italiana: l’importante è che anche gli altri siano
malati come noi, non che qualcuno resti sano e magari ci aiuti a guarire. (…).
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