Sul secondo numero - del 18 di gennaio - del
settimanale “Affari&Finanza” compare in prima pagina ed in grande evidenza
un testo di Marco Panara che ha per
titolo “Multinazionali e tasse è ora di
seguire il denaro”. A prima vista un titolo anodino, di quelli che dicono e
non dicono il resto di nulla. Tanto che la tentazione di saltarlo a pie’ pari e
di girare pagina è fortissima. Poiché è divenuto un discorso stucchevole, quasi
d’intrattenimento, star lì a parlare di quell’1% che fa le scarpe al 99%
dell’umanità. È di questi ultimi giorni un dossier del quotidiano editore del
settimanale che ha mostrato i 61 nababbi che dettano le regole del giuoco al
rimanente popolo degli umani. Insomma, una tiritera che non si ha più lo
stomaco per attenzionarsi alla inutile pubblica denuncia. Tanto a che serve? La
sorpresa è stata grande allorquando, seguendo il rimando ad una pagina interna
del settimanale, ci si è trovati dinnanzi ad un titolo diverso e con una ben
diversa caratura e pregnanza. All’interno la titolazione del pezzo di Marco
Panara diveniva “Multinazionali, tasse e
democrazia”. Finalmente! Un titolo che avrebbe dovuto campeggiare in prima
pagina e non nascosto a pagina 10 del settimanale. Perché quella scelta
editoriale? Ché parlare di “tasse e democrazia” avrebbe “disturbato”
qualcuno? La titolazione scoperta all’interno rendeva al meglio quanto
l’Autore andava sostenendo. Ha scritto Marco Panara che
(…). Secondo l'Ocse (…) tra il
2007 e il 2014 le tasse pagate dalle persone fisiche sono passate dall'8,8
all'8,9% del Pil (media di tutti i paesi censiti) e l'Iva dal 6,5 al 6,8%. Le
tasse pagate dalle aziende invece sono passate dal 3,6 al 2,8% del Pil. Andando
dentro questi numeri però si scopre che le tasse non hanno inseguito il denaro
dov'era ma solo dove era più facile trovarlo. La caduta del prelievo sulle
imprese infatti non è dovuta tanto al fatto che le imprese hanno avuto un
crollo degli utili (che in alcuni paesi c'è stato ma in molti altri no) quanto
al fatto che sono bravissime a nasconderli. Non tutte ovviamente e non tutte
nello stesso modo. Le più brave, e quelle che nascondono di più, sono le
multinazionali, quelle manifatturiere, quelle tecnologiche, quelle digitali,
quelle finanziarie. Sempre l'Ocse ha calcolato che quella che viene definita
"Base erosion and profits shifting", erosione della base imponibile e
spostamento dei profitti, sottrae alle casse degli stati una cifra tra 100 e
240 miliardi di dollari l'anno, probabilmente assai più vicina e forse
superiore al massimo della forbice indicata. I meccanismi adottati sono assai
sofisticati che nel migliore dei casi (per le multinazionali) si concretizzano
in una "doppia non tassazione" (non si viene tassati né nel paese di
origine né dove si crea il valore aggiunto) e, nella norma, in una tassazione
che va da pochi punti percentuali fino a pochi centesimi di punto percentuale. (…).
Il “pudore” avrà spinto il “titolista” del pezzo a privilegiare quel
titolo di prima pagina che non facesse riferimento, anche lontano, alla
sostanza del problema; ovvero che tra tasse e democrazia vi è un legame così
stretto, intrinseco alle società del secolo ventunesimo, che solo a farne cenno
la questione delle “classi” tornerebbe prontamente e prepotentemente alla ribalta
con grandissima soddisfazione del “Moro di Treviri”. Il problema sta tutto lì. Riprende
Marco Panara: In questi primi giorni di gennaio sono avvenuti due fatti importanti
che ci fanno ben sperare. Il primo è che il fisco Italiano ha dimostrato una
evasione fiscale della Apple e la Apple ha staccato un assegno di 318 milioni
di euro. Tanto di cappello agli uomini e le donne di Equitalia e della Guardia
di Finanza che hanno fronteggiato con successo schiere di avvocati tanto
competenti quanto ben pagati. La seconda buona notizia è che Pierre Moscovici,
Commissario agli affari fiscali della Ue, la scorsa settimana ha annunciato che
entro la fine di gennaio presenterà nuove misure contro l'evasione, finalizzate
soprattutto a contrastare "l'erosione della base imponibile e il
trasferimento dei profitti". La cattiva notizia è che l'Ecofin, che dovrà
varare queste misure, non sembra avere l'ambizione (e il coraggio) necessari
per andare a fondo. Sarebbe bene che lo trovasse, per una serie di ragioni una
più delicata dell'altra. Cominciando un pochino da lontano, il punto di
partenza è la constatazione che il reddito da lavoro, ovvero la base imponibile
più facile da colpire, per la maggior parte di noi si sta riducendo. Tecnologie
e globalizzazione hanno minato la solidità della classe media e i grandi numeri
dei lavori disponibili sono quelli a basso valore aggiunto. La ricchezza si è
spostata e continua a spostarsi e a concentrarsi verso le categorie
professionali più sofisticate e con mercato internazionale e verso le grandi
multinazionali, le imprese digitali e della finanza. Continuando a prelevare
sempre dalle solite tasche sarà difficile tenere in equilibrio le finanze
pubbliche e garantire i servizi e il welfare che nel corso del secolo scorso
abbiamo conquistato. La soluzione è (…) inseguire il denaro, la ricchezza
creata e sottratta al fisco dai nuovi ricchi e dalle multinazionali. Secondo
uno studio di Gabriel Zucman dell'Università di Berkeley, le ricchezze private
accumulate nei paradisi fiscali ammontano a 7 mila 600 miliardi di dollari, con
una perdita per il fisco di vari paesi di 190 miliardi di dollari l'anno (75
per i paesi europei). Se a questi 190 aggiungessimo i 240 miliardi elusi dalle
multinazionali arriveremmo a 430 miliardi di dollari che le case esauste dei
nostri paesi potrebbero e dovrebbero recuperare. Non basta. Ogni giorno vengono
scambiati sui mercati finanziari di tutto il mondo miliardi di dollari in
azioni, obbligazioni, valute, materie prime, derivati. Transazioni che non sono
tassate. È la vecchia idea di James Tobin che abbiamo imparato a conoscere come
Tobin Tax, che dovrebbe essere una tassa molto bassa, nell'ordine dei millesimi
o anche meno, quindi non tale da scoraggiare gli scambi, ma da applicare a
tutte le transazioni su tutti i mercati. Difficile ma non impossibile. Varrebbe
anch'essa molti miliardi. L'Europa sta ragionando anche su questo e sarebbe
opportuno che lo facesse seriamente e in fretta. Perché in ballo ci sono tre
cose fondamentali: la prima è il nostro modello di vita, che non è messo in
crisi solo dai sanguinari dell'Isis, ma anche dall'equilibrio dei conti
pubblici e dall'assenza di risorse per lo sviluppo. La seconda è la
legittimazione dei sistemi fiscali, che si basa sull'equilibrio e la misura del
prelievo. La terza è la forza stessa della democrazia, che si misura sulla
capacità di chi ci rappresenta di trovare un equilibrio tra interessi diversi
ai fini dell'interesse generale. Se vince sempre l'interesse dei più forti la
democrazia tanto solida non è. (…). Conclude bene Marco Panara. È un
fatto di democrazia, ma di democrazia sostanziale ove si proceda ad un
riequilibrio nella disponibilità della ricchezza attraverso lo strumento della
tassazione. Ma qui stiamo a scoprire la cosiddetta “acqua calda”. Ovvero che la
politica, nella sua visione strabica, pare abbia accettato lo “status quo” come
condizione immodificabile, come un “destino” per il quale quell’1% non ha da
rendere conto alcuno delle proprie ricchezze, per come esse si siano create ed
attraverso quali artifizi quelle stesse continuino ad aumentare a scapito di
una umanità sempre più defraudata e deprivata financo del sostentamento
necessario alla sopravvivenza. Ha scritto Michele Serra in una Sua
corrispondenza sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 22 di gennaio
ultimo: (…). È stato scritto mille volte:nell’evo del capitale finanziario non
è più il lavoro che dà denaro, è il denaro che dà denaro, e questa è la
fondamentale ragione della crescente forbice tra pochi ricchi e molti poveri (o
comunque non benestanti) e della scomparsa del ceto medio. Credo che la
politica vera, quella che muta equilibri e cambia il mondo, ricomincerà ad
esistere solo quando troverà il bandolo di questa spaventosa sperequazione tra
finanza e lavoro, ovvero tra mondo della speculazione e mondo della produzione.
L’altro grande tema (…) è quello della qualità del lavoro. Sembrerebbe un tema
novecentesco, da Tempi moderni di Chaplin, da catena di montaggio: (…). …in
molte fabbriche e in molti call-center il lavoro continua a essere un
frustrante assoggettamento a ritmi e scopi che non appartengono al lavoratore.
(…). …da questo punto di vista, a dispetto delle tante chiacchiere sulla
rivoluzione tecnologica, siamo in pieno novecento. Solo che non se ne parla
più, la gratificazione non solo economica ma anche culturale che il lavoro
dovrebbe e potrebbe portare alle persone è un tema desueto, vecchio,e anche
questo è un segno della sconfitta storica della politica, e della sinistra in particolare.
(…). Ma quella “sinistra” che ha condotto il mondo occidentale
fuori dalle condizioni degradanti e disumane che sono state magistralmente
descritte anche dalla letteratura più avvertita del secolo diciannovesimo,
quella “sinistra”, dicevo, non esiste più, è come se essa avesse perso
quell’animo, quello sguardo sempre attento ai più bisognevoli ed ai più poveri,
come se avesse smarrito quella sensibilità che ne ha fatto unica forza motrice
per l’affrancamento dallo sfruttamento e l’avanzamento verso un tenore di vita
dignitoso di milioni e milioni di esseri umani.
Insomma, ci vogliono convincere che l' umanità continua a progredire ma il dominio della finanza, potremmo anche dire di Mammona uccide la politica e non solo. Uccide i valori etici e l'umanità regredisce. Ci crogioliamo nel consumisno e non ci accorgiamo di precipitare in una nuova barbarie:la spaventosa disuguaglianza sociale. Un quinto dell' umanità consuma l'80% delle risorse della Terra e ai quattro quinti resta il 20% Ogni anno 40 milioni di morti per fame. Un saluto affettuoso. Franca
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