Da “Altro
che gufi, è la politica del suo esecutivo che rischia di affossarci” di
Mario Seminerio, su “il Fatto Quotidiano” del 30 di dicembre dell’anno 2015: (…). La
Renzinomics veicola un messaggio tanto semplice quanto rozzo: siate sereni e
spendete. Per Renzi, ogni aumento del tasso di risparmio è quindi da combattere
in quanto spia di paura e dell’azione di sabotaggio di gufi disfattisti. A
conferma di questa visione, il premier si è spinto ad affermare che gli
italiani avrebbero “nascosto i risparmi in banca”, manco si trattasse di un
nuovo tipo di materasso. Parliamo dello stesso Renzi che lo scorso anno ha
colpito i risparmiatori col 26 per cento di aliquota sulle “rendite finanziarie
pure”, mentre manteneva invariata al 12,5 per cento la tassazione di titoli di
Stato e risparmio postale, con evidente discriminazione a danno del settore
privato dell’economia. Nella predicazione renziana il deficit ha cessato di
essere un problema: conta la rassicurazione che “comunque siamo sotto il 3 per
cento di Maastricht”: come se fosse l’unico parametro e come se non stessimo
comunque producendo nuovo debito.
Il problema non è l’eventuale aumento del
deficit, che tuttavia dovrebbe avvenire in modo anticiclico, quindi opposto a
quanto sta facendo Renzi oggi: il problema è che il deficit aggiuntivo deve
avere un ampio impatto positivo sulla crescita, affinché il gioco valga la
candela. Invece, abbiamo miliardi immolati a sussidi per contratti di lavoro
che sarebbero stati comunque attivati, al netto delle stabilizzazioni di quelli
a tempo determinato, ed abbiamo l’iniqua e inefficiente eliminazione della
tassazione sulla prima casa presentata come rivoluzionario catalizzatore di
fiducia (e quindi di consumi) a un paese di proprietari della casa di
abitazione. Questi sono solo due esempi di spesa pubblica di qualità scadente e
dall’elevato costo opportunità, destinati ad ingessare il bilancio pubblico,
che vanno ad aggiungersi ai dieci miliardi annui del bonus da 80 euro, sulle
cui virtù taumaturgiche di stimolo ai consumi il dibattito è ancora in corso.
Renzi pare essere riuscito ad “anestetizzare” i timori degli italiani per il
deficit presentandosi come il “grande neutralizzatore” delle temute clausole di
salvaguardia, che egli stesso l’anno scorso ha creato in quantità industriale.
Sfortunatamente, tali clausole sono solo state spinte più in là, al prossimo
anno, con un tratto di penna. Allo stesso modo, il governo presenta come fatto
compiuto e pietra miliare la flessione del rapporto debito-Pil prevista per il
2016 che in realtà è tutta da raggiungere, e che è subordinata al conseguimento
di una crescita del Pil nominale che oggi appare tutt’altro che scontata. Ma la
vera minaccia al futuro del Paese verrà dalla gestione di eventuali nuovi
dissesti bancari e dalla mina innescata dei crediti in sofferenza. Il
consolidamento del settore del credito cooperativo, deciso da Renzi, servirà
anche e soprattutto a quello ma i miracoli non esistono ed il reale e
realistico valore di recupero delle sofferenze, al di là di quanto scritto nei
bilanci, appare la maggiore incognita per la stabilità finanziaria del Paese,
soprattutto se lo scenario di crescita attesa dovesse svanire.
Da “Italia e
UE: un duello a colpi di ammuine e di facce feroci” di Alberto Statera, sul
settimanale “Affari&Finnaza” dell’11 di gennaio 2016: «Facite ‘a faccia feroce»
ordinavano i sergenti borbonici del Regno delle Due Sicilie alle reclute un po’
fiacche e rincaravano: «Chiu feroce». Più o meno la stessa direttiva che, pur
con fonetica toscana, Matteo Renzi ha dato ai suoi nei confronti dell’Unione
Europea. Ha dato il via lui stesso, quando ha punzeccchiato Angela Merkel al
Consiglio dei capi di governo del 17 dicembre scorso sulla politica energetica
della Germania verso la Russia, ottenendo reazioni positive di molti altri
paesi. Da allora ha via via accentuato i toni con varie pubbliche intemerate
piuttosto insolite nel vecchio galateo europeo. «L’Italia non andrà più a Bruxelles
con il cappello in mano», ha proclamato. E poi: «Basta con l’Europa guidata da
un solo partito», cioè la Cdu della Merkel, anche perché «questo Pd può guidare
l’Europa». Quindi il nemico con cui duellare nel 2016, di cui il presidente del
Consiglio aveva bisogno, è stato scelto: un conflitto continentale con un
occhio ai fini interni elettorali volti a frenare l’ascesa nei sondaggi di
grillini e leghisti. La truppa si è subito adeguata al verbo muscolare del
premier. Sandro Gozi, abitualmente pacato sottosegretario alla presidenza del
Consiglio con delega agli Affari Europei, ha lamentato che «finora la
discrezionalità politica è andata a svantaggio nostro e a vantaggio di altri:
chiediamo maggior rispetto». Appena più garbato, per il ruolo, il
ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: «Difendere gli interessi nazionali è
doveroso, tutti lo fanno. Ma rispetto ad altri il governo Renzi coltiva
un’ambizione in più: contribuire al rilancio dell’Europa in un passaggio tra i
più delicati della sua storia». A Bruxelles si sente dire «i soliti italiani» e
le annunciate incursioni italiche vengono considerate alquanto velleitarie: «La
flessibilità – ha detto il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem – è
un margine, si può usare una volta sola, non si può esagerare». E gli
eurofalchi pensano che l’Italia abbia già esagerato con tutti i dossier
controversi aperti: le riforme, gli investimenti, i migranti, le banche,
l’Ilva, il gasdotto dalla Russia. E i numeri non ci aiutano se dal 2007 al 2014
il debito pubblico italiano è schizzato dal 99,7 al 132,3. Ma le contromisure
al misirizzi italiano sono già partite, come dimostra il caso di Carlo Zadra,
coordinatore giuridico tra l’altro di migrazioni, giustizia, affari interni,
l’unico italiano nella squadra del presidente Jean-Claude Junker. Lo ha fatto
fuori senza colpo ferire il capo di gabinetto tedesco Martin Selmayr, descritto
come dispotico, iracondo e potentissimo al punto di condizionare il presidente.
Visti i precedenti, non si può escludere che il fastidio palpabile per
l’irrequietezza dell’Italia sfoci in una guerriglia politico-burocratica di
Bruxelles per spingerci ai margini, segnando un destino avverso per i caldi
dossier aperti con l’Unione Europea e una serie di procedure d’infrazione. Ma a
favore di Renzi gioca in questo momento il fatto che le attuali leadership
europee sono in una fase di crescente debolezza, a cominciare da quella della
Merkel. Altrimenti Renzi dovrà ricorrere ancora al borbonico «facite ammuina”».
Cioè «tutti chilli che stanno a prora vanno a poppa e chilli che stanno a poppa
vanno a prora».
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