Ha scritto Eugenio Scalfari
sul quotidiano la Repubblica del 28 di settembre – “C'è solo acqua nella pentola che bolle sul fuoco” -: Ho
letto con interesse l'articolo di mercoledì scorso del direttore del Corriere
della Sera Ferruccio de Bortoli. È un attacco in piena regola non tanto contro
la politica di Renzi quanto sul suo carattere e il suo modo di concepire la
politica. Debbo dire: mi ha fatto piacere che anche il Corriere abbia capito
che il personaggio che ci governa è il frutto dei tempi bui e se i tempi
debbono essere cambiati non sarà certo quel frutto a riuscirci. Il frutto dei
tempi ha le caratteristiche del seduttore e noi, l'Italia, abbiamo conosciuto e
spesso anche sostenuto molti seduttori. Alcuni (pochissimi) avevano conoscenza
dei problemi reali e la loro seduzione ne facilitava la soluzione. Altri - la
maggior parte - inclinavano verso la demagogia peggiorando in tal modo la
situazione. (…). Dico questo pensando al tema dell'articolo 18 dello Statuto
dei lavoratori. (…). La giusta causa per licenziare: prima lo si poteva fare a
discrezione del "padrone". Dopo fu la giusta causa una difesa da
questa discrezionalità priva di motivazione, che avrebbe dovuto essere provata
dall'imprenditore di fronte al giudice del lavoro. Il dipendente non perdeva
infatti soltanto il salario ma anche la dignità di lavorare. (…). Penso che
bisognerebbe conservarlo l'articolo 18 così inteso e riconoscerlo anche ai
lavoratori impiegati in aziende con meno di quindici dipendenti; penso anche
che i precari che dopo un certo numero di anni ottengono il contratto a tempo
indeterminato, abbiano anch'essi quella tutela. (…). L'abolizione dell'articolo
18 si può fare soltanto se compensa il lavoro con l'equità che deve essere
massima se è vero che la nostra Costituzione si basa sul lavoro e questo
dovrebbe essere l'intero spirito della nostra Repubblica. I ricchi paghino, gli
abbienti paghino, i padroni (…) paghino e le disuguaglianze denunciate da
Napolitano diminuiranno. Una politica di questo genere, quella sì ci darebbe la
forza di indicare all'Europa il percorso del futuro. (…).
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
martedì 30 settembre 2014
giovedì 25 settembre 2014
Oltrelenews. 2
Da “Non vuoi
vendere la bicicletta per comprare una cabrio? Gufo” di Alessandro
Robecchi, su “il Fatto Quotidiano” del 25 di settembre: Immaginiamo la scena. Famiglia
italiana, interno giorno. Seduti al tavolo da pranzo padre, madre e figli
discutono delle più urgenti riforme: ce la compriamo la macchina nuova? Il
dibattito si fa infuocato: chi la vuole cabriolet e chi giallo canarino, chi
propone il modello più sportivo e chi spinge per i sedili in pelle. Finché una
voce si alza, timida, e chiede: ma ce li abbiamo i soldi per comprare la
macchina nuova? Ecco una cosa su cui sono tutti d’accordo: no. Per quanto
surreale, la scenetta somiglia abbastanza da vicino allo svolgimento dei
principali talk show di attualità: persone che discutono del mercato del
lavoro, teorizzando scenari tedeschi, o danesi, per poi concludere che sì,
sarebbe bello, ma i soldi ci sono? No. (…). …va pure ricordato che quando il
presidente Obama cominciò a lavorare al suo Job Act, nel 2011, mise sul tavolo
la bellezza di 447 miliardi di dollari di denaro pubblico. Qui si oscilla
molto, invece: chi dice che non sarebbero sufficienti dieci miliardi e chi
teorizza che ne basterebbero due o tre, anche se su una cosa sono d’accordo
tutti: non ci sono. Scatta dunque il solito amabile trucco: le due fasi.
Constatato che il mondo del lavoro ha due grandi componenti – lavoro garantito,
si fa per dire, e lavoro precario – si propone di togliere garanzie al primo
per poi darle a tutti. Prima fase: via alcuni ammortizzatori (articolo 18,
cassa integrazione). Seconda fase: felice redistribuzione di ammortizzatori e
diritti. Naturalmente quel che può capitare tra prima e seconda fase appartiene
all’imponderabile: elezioni, cavallette, mutamento del quadro politico, acuirsi
della crisi, inondazioni, eccetera eccetera. Come dire che, mollati i diritti
che rimangono e il welfare che resta, poi si vedrà, sempre se troveremo i
soldi, che al momento non ci sono. Tornando alla nostra famiglia riunita in
conclave, si potrebbe riassumere così: prima fase, papà vende la Panda, i
ragazzi vendono la bicicletta e il motorino, mamma rinuncia al parrucchiere.
Seconda fase: i soldi per la macchina nuova non ci sono comunque. E se per caso
il figlio Gino si rifiuta di vendere la bici, fa resistenza, si oppone, avanza
qualche dubbio, si becca del conservatore, del gufo, del disfattista imbelle,
magari pure dal Presidente della Repubblica. Immaginiamo l’entusiasmo con cui
milionari, alti redditi ed evasori fiscali assistono ai dibattiti televisivi di
questi giorni: di oneri per le imprese non si parla, di tasse più alte (a
livello danese, diciamo) non si parla, di soldi da trovare dove i soldi ci sono
non si parla. La riforma del lavoro pare una partita di giro tra lavoratori, in
sostanza un affare interno tra padri sfigati garantiti con la cassa
integrazione e figli sfigati non garantiti che non hanno nemmeno quella. Tutti
gli altri ridono di gusto.
mercoledì 24 settembre 2014
Capitalismoedemocrazia. 50 “Il ritorno del Capitale”.
“Il ritorno del Capitale”.
Non Vi inganni il titolo del post. Non ci sono ritorni di capitali trasferiti o
trafugati all’estero che abbiano ripreso la via del bel paese. Non abbiate
timore. Accade, ma di rado, allorquando ai trafugatori di capitali viene
garantito l’anonimato, la cancellazione delle pendenze penali, il pagamento di
un’irrisoria “pena” pecuniaria e quant’altro questo disastrato paese riesce a
garantire ai truffatori di turno. “Il ritorno del Capitale” in
questione è ben altra cosa. Fa riferimento, quel titolo, ad una intervista
rilasciata dall’economista del momento al giornalista Fabio Gambaro ed apparsa
sul quotidiano la Repubblica del 6 di marzo dell’anno in corso con quel titolo
in verità enigmatico ed intrigante. E chi è l’economista del momento? È Thomas
Piketty che insegna all’”Ecole des Hautes Etudes en Sciences
Sociales” e all’”Ecole d’économie de Paris”. Piketty
chi, direbbe quel bontempone del nostro. In quei giorni l’economista del
momento dava alle stampe il Suo volume che ha per titolo “Il Capitale nel XXI secolo”, edito ora anche nel bel paese per i
tipi Bompiani. E cosa affermava in quell’intervista il Thomas Piketty:
lunedì 22 settembre 2014
Oltrelenews. 1
Da “L’Amaca”
di Michele Serra, sul quotidiano la Repubblica del 21 di settembre: Il
dibattito sull’articolo 18 ha qualcosa di nobilmente nostalgico (nei suoi
difensori) e di inutilmente maramaldesco (nei suoi avversatori). È un po’ come
veder qualcuno che litiga sulla scelta delle tende in un palazzo ormai ridotto
in macerie. Nel frattempo il lavoro è diventato una poltiglia che gli offerenti
vendono sottocosto, e nonostante questo gli acquirenti non possono più
permettersi di comperare; sistema pensionistico e sistema sanitario poggiano su
basi di prelievo sempre più esigue. Specie ad ascoltare le storie di molti
ragazzi, anche laureati, l’impressione è di vivere una specie di lungo “anno
zero” del lavoro, che non c’è, se c’è è mal pagato, se è ben pagato è di corto
respiro. Bisognerebbe, tra le macerie, ripensare daccapo a diritti, doveri,
tutele. Ma per farlo ognuno dovrebbe rinunciare a qualcosa: i sindacati alla
memoria gloriosa ma oramai remota del proletariato di fabbrica e di una visione
di classe resa impossibile dalla trasformazione delle classi (non solo quella
operaia) in un immenso coacervo di individui smarriti e di interessi
frantumati; i datori di lavoro al terrore, vecchissimo anche quello, che un
lavoro più garantito sia solo un impiccio e una minaccia; la politica
all’illusione di limitarsi ad arbitrare, come ai tempi di Agnelli e Lama, un
conflitto padroni-operai oramai largamente in secondo piano rispetto al vero
conflitto di classe, che è quello tra capitale finanziario da un lato, mondo
del lavoro (imprenditori compresi) dall’altro.
domenica 21 settembre 2014
Sfogliature. 31 “Anche il capitalismo è morto?”.
Andando di “sfogliatura” in “sfogliatura”,
nel tempo che l’attesa per gli eventi che verranno abbia compiuto il suo giro,
mi preme offrire alla Vostra riflessione e considerazione il post del 19 di
maggio dell’anno 2010 che aveva per titolo “Stato e mercato: una soluzione o la
soluzione?”. Ma al contempo mi preme contestualizzare quello scritto,
all’oggi che ha imboccato un “verso nuovo”. Falso. Il “verso”
è quello che era stato tracciato come solco profondo da difendere, si sarebbe
detto un tempo balordo, con la “spada”. Il solco che custodisce imputridendoli i
semi da far germinare di quei temi che dovrebbero stare a cuore a chi regge la
conduzione della cosa pubblica ed a chi da quella gente ne è guidata. Ho avuto
modo di dire, in altre occasioni, come i temi della qualità della vita siano
scomparsi dalle agende della politica, ovvero come quei temi vengano agitati prima
del voto come specchietto che attragga le allodole, per poi essere abbandonati
ottenuto il consenso elettorale. Ricordate? La scuola. La cultura. L’ambiente. La
salute. Temi dei quali si è persa la traccia. Per qual motivo? Il Pil! Il Pil
che domina e scrive le agende della politica tutta, senza distinzione alcuna. E
mi garba di contestualizzare la “sfogliatura” di oggi riprendendo un
celeberrimo passo da un discorso che Bob Kennedy pronunciò all’università del
Kansas il 18 di marzo dell’anno 1968, tre mesi prima di morire ucciso da un
tale Shiran Shiran:
venerdì 19 settembre 2014
Sfogliature. 30 “L’invidia sociale trasferita ai piani bassi”.
Nell’altra vita “virtuale” di
questo blog una sua sezione aveva per titolo “Samizdat”. Cos’era (cos’è)
un “samizdat”?
Domanda terribile! Mi soccorre la provvidenziale Wikipedia che alla
voce “samizdat”
scrive: (самиздат; pron.: səmᵻ’zdat) in russo significa "edito in
proprio", e indica un fenomeno spontaneo che esplose in Unione Sovietica e
nei paesi sotto la sua influenza (Cecoslovacchia, Polonia, ecc.) tra la fine
degli anni cinquanta e i primi anni sessanta. Un altro mondo, un altro
tempo! Era una controinformazione. Ciò che si spera possa fare oggigiorno il
web. Ed in quella sezione, alla data del 26 di maggio dell’anno 2010, postavo un
pezzo che per titolo faceva “E noi
pecore li abbiamo seguiti!!!”. È la “sfogliatura” che oggi di seguito propongo
con un prologo che mi pare necessario per contestualizzare l’argomento all’oggi.
Me ne offre l’occasione – di un prologo che contestualizzi - Alessandro
Robecchi che l’11 di settembre ultimo su “il Fatto Quotidiano” ha pubblicato un
pregevole e graffiante “pezzo” che ha per titolo “Il capolavoro di Renzi: l’invidia sociale trasferita ai piani bassi”.
Scrive Robecchi: (…). …l’ideologia è viva e lotta insieme a noi. Anzi, contro di noi. E
un caso di scuola ci viene dalle recenti imprese del governo Renzi, prima tra
tutte quella del blocco degli stipendi del pubblico impiego: circa tre milioni
di lavoratori per una “manovra” (un pezzettino di quella manovra correttiva che
“non ci sarà”, ma invece c’è eccome) da circa tre miliardi. (…). Come si sa, il
governo Renzi gode di grande sostegno e popolarità, e come si sa è sostenuto
quasi militarmente da alcune falangi di fedelissimi piuttosto acritici,
soldatini sempre in piedi dei social network. È bene ascoltarli, perché sono
loro a tradurre in parole nette l’ideologia corrente.
sabato 13 settembre 2014
Storiedallitalia. 61 “Noi che cerchiamo i salvatori”.
“Era d’estate” – canta quel
magistrale menestrello che fa nome Franco Battiato – “tanto tempo fa”. L’estate
della “grande crisi” che i “pinocchietti” ciabattanti per le assolate
contrade del bel paese non dimenticheranno facilmente. L’estate che, nella
lungimiranza dell’arrembante primo ministro, avrebbe dovuto verificare il
rilancio dei consumi a tutto spiano dei tanti “pinocchietti” sereni ed
abbronzati. Tutt’altro. Ché le gelide, ridicole secchiate stupidamente riversate
pro nobile causa sono di già divenute un pallido se non osceno ricordo. Per non
dire del gelato golosamente leccato a mo’ di sberleffo all’intero mondo di “gufi”
e “rosiconi”.
Di un’estate che volge ineluttabilmente al suo termine. “Era d’estate” che i
tronfi proclami inondavano l’immoto aere nel mentre i “pinocchietti” migravano
sconsolati verso le assolate spiagge. È che passata l’estate della “grande
crisi” e senza ancora i freschi refoli di un autunno prossimo i tantissimi
“pinocchietti” interpellati sembrano aver voglia di voltare pagina. Scrive
infatti il professor Ilvo Diamanti sul quotidiano la Repubblica del 12 di
settembre - “Il PD resta al 41% Renzi perde
15 punti” -:
martedì 2 settembre 2014
Capitalismoedemocrazia. 49 “Capitalismo in crisi”.
Ritorno all’impegno che
mi sono dato e mi ritrovo con una “nota per la stampa” del 17 di
agosto ultimo che il carissimo Nicola Sabatino Ventura - Coordinatore Area
“Questione Meridionale PD” e Consigliere Comunale del gruppo PD al Comune di
Catanzaro - mi ha fatto cortesemente pervenire. Lo ringrazio. Colgo nella Sua “nota”
quelle sensibilità a me tanto care e sulle quali vado da tempo scribacchiando
in forma e contenuti non esaustivi. Del resto le problematiche che Nicola
solleva fanno parte di quel corredo di sensibilità e di interessi che corredano
la formazione di “quellichelasinistra” sentono come quel qualcosa connaturato
alla propria visione della vita nonché dell’essere, in questo mondo ed in questi
tempi travagliati e di passaggio verso approdi che ancor oggi si stenta
d’immaginare, di pensare. D’intravvedere non se ne parla proprio. È per la
congeria di tali motivi che l’approdo a nuove forme sinora impensate ed
inesplorate di organizzazione sociale e politica deve essere posto prontamente
nell’agenda della “Politica” che abbisogna di riprendere urgentemente il Suo
ruolo di esplorazione e di guida del corpo sociale, senza abdicare in nessuna
forma ed in nessuna misura, al ruolo di indirizzo che nella società complessa,
nella quale siamo chiamati a vivere, non può essere demandato ad una soltanto
delle “parti” in campo. Intendo dire che, aver lasciato campo libero
alla economia, espressasi negli ultimi decenni nella forma socialmente pericolosa
della economia esasperatamente finanziarizzata, ha tolto alla “Politica” stessa
il primato che le compete. Scrive infatti Ventura:
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