Dal dossier “Il
buio oltre le code: Expo tra debiti e banche alle costole” di Gianni
Barbacetto e Marco Maroni, su “il Fatto Quotidiano” del 31 di ottobre dell’anno
2015: (…). Se al di là della fanfara celebrativa si guardano i fatti, l’Expo
universale di Milano ha registrato ingressi contenuti, chiude con un disastroso
buco di bilancio, non ha rilanciato l’economia e lascia dietro di sé uno
strascico di problemi irrisolti. Quello milanese è stato il peggior Expo degli
ultimi 50 anni. Tolti i quasi 14 mila addetti che ogni giorno si sono
avvicendati nel sito, su cui i comunicati di Expo sorvolano, e la ridicola
mistificazione per cui si considerano le code da sfinimento un indice di
successo e non di disorganizzazione, l’esposizione milanese chiude con 18
milioni di visitatori. È la stessa cifra registrata dall’Expo di Hannover 2000,
ricordato come “il flop del millennio”. Per fare peggio di così bisogna andare
all’Expo di Seattle del 1962, con 9 milioni di visite. Ma il problema non è
quello del flusso di visitatori. È che per evitare un flop colossale, il
management dell’Expo ha spinto sui numeri dei tornelli a scapito del conto
economico, che già partiva appesantito da malaffare, clientelismi,
inefficienze. (…). Il risultato è che la manifestazione peserà sui contribuenti
per più di un miliardo di euro. Expo è costata, finora, 2,4 miliardi di euro:
1,3 miliardi per la costruzione del sito; 960 milioni per la gestione
dell’evento (840 milioni secondo Expo, ma è un conteggio basato su magheggi
contabili già censurati dalla Corte dei conti) e 160 per l’acquisto dei
terreni, pagati – giusto per ricordare come è partita l’operazione – dieci
volte il prezzo di mercato.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
sabato 30 gennaio 2016
mercoledì 27 gennaio 2016
Paginatre. 17 “I vecchi e i giovani”.
Quanto è distante Marzabotto? Settant’anni…?
Settanta miglia prima che lo scafista butti a mare i suoi naviganti
“clandestini,” settanta giorni di prigionia prima che il combattente rivendichi
la gloria di esporre al mondo la morte per decapitazione del suo prigioniero
inerme, settanta bombe, settanta razzi prima che una, due, tre cadano sulla
scuola, nel mercato, prima di vedere i brandelli di sangue come a Casaglia o
Cerpiano. È molto vicina la strage di Marzabotto, ha cambiato lingua,
territorio, ma poco altro nello scempio di vita altrui che certi uomini
continuano a fare. Nello scempio di un società evoluta dove la ricchezza si
fonda anche sul mercato delle armi, sullo sfruttamento dei simili, sulla
schiavitù, e dove il confine dello spettacolo televisivo mischia ogni sera la
realtà drammatica e violenta a quella effimera della pubblicità. Il pianto
cammina ancora sui sentieri di Monte Sole nell’animo di chi c’era o di chi ha
ascoltato la voce di chi c’era. Credo sia fondamentale nella vita un giorno
andare lì. La memoria è il più importante patrimonio da difendere. E forse un
giorno, finalmente, il progresso non sarà solo un nuovo oggetto tecnologico ma
il bene per l’umanità. Da “Cambia
solo la lingua” di Giorgio Diritti - regista e scrittore, ha diretto i
film “L’uomo
che verrà” (2009) sulla strage nazista di Marzabotto ed “Il
vento fa il suo giro” – sul quotidiano la Repubblica del 21 di
settembre dell’anno 2014. 27 di gennaio, nel giorno della “Memoria”.
martedì 26 gennaio 2016
Capitalismoedemocrazia. 55 “Multinazionali, tasse e democrazia”.
Sul secondo numero - del 18 di gennaio - del
settimanale “Affari&Finanza” compare in prima pagina ed in grande evidenza
un testo di Marco Panara che ha per
titolo “Multinazionali e tasse è ora di
seguire il denaro”. A prima vista un titolo anodino, di quelli che dicono e
non dicono il resto di nulla. Tanto che la tentazione di saltarlo a pie’ pari e
di girare pagina è fortissima. Poiché è divenuto un discorso stucchevole, quasi
d’intrattenimento, star lì a parlare di quell’1% che fa le scarpe al 99%
dell’umanità. È di questi ultimi giorni un dossier del quotidiano editore del
settimanale che ha mostrato i 61 nababbi che dettano le regole del giuoco al
rimanente popolo degli umani. Insomma, una tiritera che non si ha più lo
stomaco per attenzionarsi alla inutile pubblica denuncia. Tanto a che serve? La
sorpresa è stata grande allorquando, seguendo il rimando ad una pagina interna
del settimanale, ci si è trovati dinnanzi ad un titolo diverso e con una ben
diversa caratura e pregnanza. All’interno la titolazione del pezzo di Marco
Panara diveniva “Multinazionali, tasse e
democrazia”. Finalmente! Un titolo che avrebbe dovuto campeggiare in prima
pagina e non nascosto a pagina 10 del settimanale. Perché quella scelta
editoriale? Ché parlare di “tasse e democrazia” avrebbe “disturbato”
qualcuno? La titolazione scoperta all’interno rendeva al meglio quanto
l’Autore andava sostenendo. Ha scritto Marco Panara che
venerdì 22 gennaio 2016
Sfogliature. 52 “Il passo breve verso l'autoritarismo”.
Sta per compiersi – referendum confermativo
di ottobre (??) permettendo - quella revisione - o meglio stravolgimento - della
Costituzione che non fu realizzata al tempo dell’egoarca di Arcore e che si
compie ai nostri giorni con al timone un governo posto sotto l’egida di un
sedicente partito che guarda con occhio strabico a “sinistra”. Illuminante,
trascorsi otto anni appena, osservare il riposizionamento di due degli organi
di stampa più importanti e rappresentativi del panorama nazionale. L’Unità a
quel tempo poneva nella sua “striscia rossa” il pensiero del “comunista”
Piero Calamandrei ed il quotidiano la Repubblica anticipava l’articolo che oggi
dà titolo a questa “sfogliatura”. Il post risale al 26 di settembre dell’anno
2008, cinquantesimo post di una rubrichetta che al tempo avevo intitolato “Ilgrilloparlante”.
Scrivevo allora che… “Il passo breve verso l'autoritarismo” è il titolo di un articolo di don Antonio
Sciortino, direttore del settimanale “Famiglia Cristiana”, che il quotidiano “la
Repubblica” ha anticipato nelle sue pagine, articolo che comparirà anche nell’ultimo
numero della rivista “Micromega”. Per questa “rubrichetta” ho riportato solo in
parte l’apprezzabilissimo ed inquietante articolo. Non ritengo necessario
aggiungere considerazione alcuna, stante la linearità e la chiarezza estrema
dell’Autore, bersaglio di recente di attacchi per le Sue coraggiose e libere
posizioni assunte sui più discutibili temi del governare nell’era dell’egoarca
di Arcore ed ancor più bersaglio di critiche feroci per alcune Sue opinioni espresse
a seguito di discutibilissime decisioni assunte dalla compagine governativa sui
temi propri dell’accoglienza, del rispetto dei diritti umani e delle vere
priorità sociali ed economiche che affliggono il bel paese. La “Striscia rossa”
è ripresa come sempre dal quotidiano l’Unità; profetiche le parole in essa
contenute e pronunciate oltre cinquant’anni addietro da un inveterato mestatore
e notoriamente sobillatore “comunista” tale Piero Calamandrei, “comunista” secondo
la vulgata corrente. Da accomunare senza dubbio al “comunista” don Antonio
Sciortino.
giovedì 21 gennaio 2016
Lalinguabatte. 8 “A scuola ho imparato la felicità”.
Non potevo andare oltre ed abbandonare al suo
destino la stupenda pagina che Claudia De Lillo – in “arte” Elasti – ha scritto
per il settimanale “D” del 16 di gennaio 2016, pagina che ha per titolo “A scuola ho imparato la felicità”. Un
titolo che ha dell’incredibile in questo mondo che, per la ricerca della “felicità”,
percorre sentieri spesso impervi e decisamente fuori rotta. Per Elasti fu
semplice invece “innamorarsi” della Sua insegnante del quarto ginnasio con
l’aiuto della quale…“scoprii che nel greco antico avrei trovato radici, spiegazioni e
chiavi per capire me stessa”. Una ricerca della “felicità” impensabile
oggigiorno, ricerca quella che sta oltre la materialità dilagante dell’oggi,
dell’avere per essere e non già per scrutare ed esplorare orizzonti nuovi del
conoscere e del sapere. Ed è leggendo la pagina di Elasti che mi è ritornata
alla mente una mia lettura contenuta in quel meraviglioso libro di memorie che
ha per titolo “Storia di una giovinezza”
di Elias Canetti. È da quella lettura che vien fuori la poliedrica e misteriosa
figura dell’insegnante, di tutti gli insegnanti, così come di sicuro essa è
apparsa ed appare agli occhi incantati dei pre/adolescenti di tutte le epoche e
di tutti i luoghi. E chi non ha provato un incantamento anche breve al cospetto
di un insegnante ilare e giocoso, o di un insegnante canuto ed austero, non
avrà goduto di quel tempo “sospeso” che quasi per miracolo la scuola riesce a
creare ed a dispensare sol che si sia disposti ad accoglierne i succosi frutti.
Ed in un simile e magico incantamento la curiosità giovanile galoppa e si
inerpica per quelle vie tortuose della immaginazione per cui, di quelle
stupende persone che sono pur sempre gli insegnanti, ci si sforza di
indovinarne la vita anche la più recondita, a costruirne attorno un alone a
volte impenetrabile di pensieri e di ingenui ed indistruttibili convincimenti,
ché solo il progredire degli anni dissiperà per restituire una immagine
dell’insegnante più concreta e verosimilmente vicina alla sua umanità.
mercoledì 20 gennaio 2016
Oltrelenews. 76 “In Europa, col cappello in mano”.
Da “Altro
che gufi, è la politica del suo esecutivo che rischia di affossarci” di
Mario Seminerio, su “il Fatto Quotidiano” del 30 di dicembre dell’anno 2015: (…). La
Renzinomics veicola un messaggio tanto semplice quanto rozzo: siate sereni e
spendete. Per Renzi, ogni aumento del tasso di risparmio è quindi da combattere
in quanto spia di paura e dell’azione di sabotaggio di gufi disfattisti. A
conferma di questa visione, il premier si è spinto ad affermare che gli
italiani avrebbero “nascosto i risparmi in banca”, manco si trattasse di un
nuovo tipo di materasso. Parliamo dello stesso Renzi che lo scorso anno ha
colpito i risparmiatori col 26 per cento di aliquota sulle “rendite finanziarie
pure”, mentre manteneva invariata al 12,5 per cento la tassazione di titoli di
Stato e risparmio postale, con evidente discriminazione a danno del settore
privato dell’economia. Nella predicazione renziana il deficit ha cessato di
essere un problema: conta la rassicurazione che “comunque siamo sotto il 3 per
cento di Maastricht”: come se fosse l’unico parametro e come se non stessimo
comunque producendo nuovo debito.
venerdì 8 gennaio 2016
Sfogliature. 51 “C’era una volta…”.
Lunedì 20 di settembre dell’anno
2010 postavo “C’era una volta…”. Me lo ritrovo e lo ripropongo alla Vostra
cortese attenzione. Scrivevo allora: Sarà
capitato ai tanti di noi di dare inizio ad un racconto, ad una qualsivoglia
storia, con quel celeberrimo “c’era una
volta”. E se ad ascoltare saranno stati, indubbiamente come saranno stati, dei
bambini, sarà stato facile cogliere il momento magico innescato nelle loro giovanissime
e fertilissime menti. Sarà scattato in essi quel momento supremo nel quale
sembra che tutto si sia fermato solo per ascoltare l’affabulatore di turno. E
si sarà potuto cogliere il respiro dei piccoli quasi contenuto se non sospeso,
i loro occhi assumere una espressione di improvviso straniamento dalla realtà
circostante, mentre le loro giovani menti si saranno inoltrate in labirinti
nuovi ed inesplorati dai quali tornare con sempre nuove consapevolezze.
L’affabulazione. La vita nelle fiabe. Una storia antica, propria degli umani.
Si è affabulato ovunque e sempre, per vincere paure o quant’altro la vita doviziosamente
propina dalla sua capace cornucopia del dolore. Ma l’affabulazione rimane una
magia ed un mistero al contempo. Conosco persone a me carissime che,
sorprendendomi nell’affabulare con i loro innocenti pargoli, hanno dimostrato
allarme per le fiabesche storie che non disdegnano anche la rappresentazione
del male del vivere. Mi sono sentito in quegli istanti come un “violentatore” inopportuno di quelle giovani
coscienze. Ma le fiabe hanno di straordinario la rappresentazione del male del
vivere in un contesto che è pur sempre fantasioso e fantastico. Quale dovrebbe
essere il limite proprio delle fiabe? Cosa andrebbe bandito in esse? Mi accorgo
d’essermi inoltrato in un labirinto oscuro e pericoloso. Non ne ho la
necessaria competenza. Mi manca, come suol dirsi, la dottrina. Me ne ritraggo
prontamente citando il grande Bruno Bettelheim (nato a Vienna il 28 di agosto dell’anno
1903 e trapassato a Silver Spring, nello stato del Maryland, il 13 di marzo dell’anno
1990) che, per le sue origini ebraiche, fu costretto ad emigrare negli USA dove
ottenne la cittadinanza ed ove esercitò la professione di psicologo
dell'infanzia interessandosi in particolar modo dell'autismo. Secondo il grande
studioso austriaco il messaggio che le fiabe inviano al bambino è questo: - una lotta (e la sua rappresentazione anche
per il tramite delle fiabe, per l’appunto n.d.r.) contro le gravi difficoltà della vita è inevitabile, è una parte
intrinseca dell’esistenza umana, che soltanto chi non si ritrae intimorito ma
affronta risolutamente avversità inaspettate e spesso immeritate può superare
tutti gli ostacoli e alla fine uscire vittorioso – citazione tratta dall’opera
di quel grande “Il mondo incantato. Uso,
importanza e significati psicoanalitici delle fiabe” – pag. 13 – pubblicata
da Feltrinelli. Fortificati nell’infanzia e nel corso degli anni che pur son
già tantissimi dagli insegnamenti di quel grande, ci siam fatti soggiogare
dalla fiaba (in verità nera che più nera non si può) che Giacomo Papi ha
scritto di recente per un supplemento al quotidiano “la Repubblica”. Titolo della
fiaba “Questo re”. Una fiaba (nera),
che ha inizio nel secolo ventesimo e che si trascina angosciosamente in questo
tormentato secolo nuovo. Merita attentissima lettura. Chi è l’orco di turno? Allora…
mercoledì 6 gennaio 2016
Strettamentepersonale. 19 “Ben ritrovato, nuovo anno”.
Non so se Voi abbiate concluso felicemente e con
soddisfazione grande il vostro giro augurale. È che andando io speditamente ed ineluttabilmente
verso il traguardo dei “tanta” l’afflato si spegne ed il disincanto di quegli
anni (i tanto attesi “tanta”) offre visioni nuove e dischiude orizzonti che, seppur
intuiti nelle decadi precedenti, assumono significati e pregnanze nuove. Mi soccorre
alla bisogna il sommo Poeta di Recanati che nelle Sue immortali “Operette morali” - “Dialogo
di un venditore d’almanacchi e di un
passeggere” – andava poetando così:
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