"Per questo, in solitudine,
voto la fiducia al governo Prodi". È un attimo. Il senatore Nuccio
Cusumano, democristiano agrigentino posteggiato sotto le insegne dell'Udeur di
Mastella, finisce di parlare e nell'Aula del Senato irrompe come un cataclisma
Tommaso Barbato, anch'egli senatore Udeur. Al grido di "pezzo di merda,
traditore, cornuto, frocio", Barbato sale i gradini che lo separano
dall'ormai ex amico e prova ad avventarsi sul malcapitato. Che in serata sarà
espulso dal partito per "indegnità politica". Pochi minuti e l'aula
della Camera Alta si trasforma in un bar da angiporto. Barbato è irrefrenabile.
"Gli ha sputato" riferisce agli increduli cronisti il senatore De
Gregorio. Il tutto mentre il seguace di Fini Nino Strano urla all'indirizzo del
povero Cusumano: "Squallida checca". È la cronaca “nera” di
quella giornata – il 24 di gennaio dell’anno 2008 – a firma di Andrea Di Nicola
sul quotidiano la Repubblica. Sappiamo bene come sia finita poi per il governo
Prodi. Esisteva, nella precedente configurazione di questo blog,
una categoria di argomenti alla quale avevo dato per titolo “Del senso
cinico”. Il post che propongo di seguito è stato il primo della categoria
e portava per titolo “Il giovedì 24 di
gennaio”. Il post è di vecchia, vecchissima – 25 di gennaio 2008 - data;
contemporaneo però agli avvenimenti descritti sul quotidiano la Repubblica. Si
direbbe un ripescaggio. Perché mai? Per una conferma: dell’inamovibilità della “casta”.
La sua ostinata “coazione a ripetere”. È di questi giorni l’altalenante
discorrere di elezioni-sì elezioni-no per il dopo solleone. Per fare cosa? Per
affrontare quali dei problemi? La calura estiva ci soccorre, almeno, evitandoci
“quegli
appuntamenti d’avanspettacolo” dei quali si fa cenno nel post
fortunosamente ripescato dalla vastità silenziosa della rete.
La “santa” - tra virgolette - giornata del giovedì 24 di gennaio
dell’anno del signore 2008 penso si debba annoverare e iscrivere da subito, a
futura memoria, tra le date più importanti nella storia bel paese. Di tutta la
sua storia, antica e recente. E chissà, se non anche di quella futura. Nella “santa”
giornata del giovedì 24 di gennaio il popolo tutto del bel paese ha assistito,
incredulo, al trionfo del cosiddetto “senso
cinico”. Ripeto, del comune “senso
cinico”. E non è per nulla un refuso di
digitazione. Si parla per l’appunto, in questa rubrichetta appena
avviata per la solenne occasione, dell’alto “senso cinico”, e non civico come si converrebbe normalmente, dei
rappresentanti dell’italico popolo. Anch’io, nella “santa” – sempre tra virgolette - giornata di giovedì
24 di gennaio, ho avuto la malsana, improvvida idea di assistere, in prima
serata, ad uno di quegli appuntamenti d’avanspettacolo che i moderni mezzi di
(dis)informazione attivano prontamente nelle occasioni più importanti. E quale
occasione più importante se non quella, per l’appunto, del trionfo e della
glorificazione del comune “senso cinico”
italiota? Assiso, come immagino, assieme a milioni di altri italioti dinnanzi
al piccolo schermo, mi sono illuso, in verità non tanto, di ascoltare le nobili
motivazioni per le quali un parlamento della repubblica invitava il governo in
carica a farsi lestamente da parte. E sì che a tutti gli abitatori del bel
paese risultava chiaro, anzi chiarissimo, il motivo dominante e preminente dell’incauto
atto; ma si sperava, nel corso della predetta rappresentazione di puro ed
eccelso avanspettacolo, per l’appunto, di essere colti in fallo, di essere
disvelati ed additati ai prossimi astanti ed ai più remoti come incompetenti
delle cose pubbliche del bel paese e di non avere inteso a pieno le cose
nobili, erudite e recondite insite nelle vicende politico-parlamentari del
giorno. Confesso che in cuor mio ho sperato ardentemente di essere corretto
delle mie stramberie e fumisterie ed ho sperato d’essere informato ed erudito
convenientemente per il qual motivo il parlamento della repubblica avesse provveduto
a deliberare tanto “ saggiamente “, scritto sempre tra virgolette. E sono state
due ore e passa di sproloqui e vaniloqui da ascoltare con un fremito di
inquietudine risalente impetuoso per tutto il corpo; ed al contempo i
protagonisti della rappresentazione d’avanspettacolo, nell’occasione ben
compattati nell’arco intero costituzionale, sono stati impegnatissimi e bronzei
ad emettere suoni su incomprensibili considerazioni cosiddette politiche e su anatemi
altisonanti senza etica d’appartenenza alcuna; ed il loro stridulo e
starnazzante vociare, incomprensibile sempre e confuso per la concitazione loro
il più delle volte, era come
un’emissione di suoni che nell’occasione
sembrava seguissero un percorso strano,
diverso dal consueto, per la qualcosa, forse a causa anche dell’inevitabile obnubilamento del
telespettatore conseguente al deprimente spettacolo, sembrava di percepire quel
loro vociare come assimilabile alle emissioni di ripetuti borborigmi provenienti dal più
profondo delle viscere loro, e non già da una elaborazione intelligente e
razionalmente vissuta discendente per le orali vie superiori. Uno spettacolo
deprimente. Ed un’amara conclusione: i signorotti del palazzo fanno quadrato. Sempre.
E tutti quanti assieme. Non tollerano e disprezzano l’incolto popolo, al quale
mi sento di appartenere, popolo incolto di scarpe grosse ma di cervello fine
come si soleva dire una volta, tanto d’avere capito benissimo, l’incolto popolo,
che lor signori necessitano ed argomentano più che mai di imbrigliare tutti gli
altri poteri riconosciuti e concorrenti che possano in qualche forma e modo sostanziale
intralciare i loro nefandi intrallazzi. E dallo starnazzare loro non una parola
che sia pervenuta a lustrare, anche di poco se fosse stato possibile,
l’orribile salvifica per tutti loro decisione; ha trionfato l’alto “ senso cinico “, e così sia. Nelle
settimane a venire si proveranno lor signori a rivestire di pannicelli più
decenti le loro nefande deliberazioni; rimarrà nel profondo del popolo incolto
l’iniziale convincimento di un terribile braccio di ferro tra poteri costituiti
e soprattutto l’amaro convincimento che lor signori ambiscono ad essere adusi e
considerati esenti da tutti quegli adempimenti e rispetto delle regole e delle
leggi alle quali pretendono poi di assoggettare il popolo tutto. Accade giornalmente
in tutte le ubertose e ridenti contrade del bel paese, ai semplici incolti cittadini,
d’incorrere nelle durissime deliberazioni della giustizia; ma a nessun
cittadino del bel paese, se non abitatore del palazzo, è consentito d’inscenare apparizioni
d’avanspettacolo di infimo stampo né tanto meno d’incrociare le braccia e
d’invocare la dissoluzione dei reggimenti e degli ordinamenti costituiti. A
nocumento della intera collettività, ma a salvezza delle proprie familiari fortune.
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