Sei stato convocato ‘con urgenza
e tassativo ordine di partecipazione e puntualità’. Ma l’aula è vuota. Non c’è
alcuna presenza e alcun dibattito. Sono i commessi a dirti sottovoce:
annunceranno il voto di fiducia a mezzogiorno o all’una, e si vota qualche ora
dopo. Vuol dire che passi di fronte al banco della Presidenza della Camera e
puoi solo di dire un “sì” o un “no”. Segue una breve discussione finale sugli
ordini del giorno, più che altro un po’ di conversazione e una gentilezza verso
i pochi parlamentari che prenderanno la parola, ciascuno per pochi minuti, su
questioni che sono per forza marginali. Subito dopo siamo pronti per un altro
voto di fiducia. Perché è necessario? Perché il tempo è stretto, perché “il
governo non può rischiare cambiamenti”. Ogni dettaglio è già stato concordato
con amici e meno amici in Europa. Tecnicamente è una democrazia strana.
Costituzionalmente è un Parlamento inutile. (…). Ci muoviamo lungo un percorso
necessario e impossibile. Come se ne esce, a parte indignazione e protesta
(che, come abbiamo imparato, è mal tollerata)? Bisogna accettare una verità
amara e banale. Il male che sta rendendo assurda non solo la funzione del
Parlamento ma anche, e soprattutto, la vita dei cittadini, non è, come tutti
diciamo, la cattiveria aggressiva dell’economia e delle sue feroci
speculazioni. È qui, è tra noi, è politica. Partiti corrotti ci hanno portati
al terminal e consegnato ai guardiani. Partiti esangui si accodano senza volere
o sapere cos’altro fare. Guardali dentro. Non c’è vita. Osservali nelle piccole
cose, tipo la Rai. Ricominciano da capo, al livello della continua ricerca di
un minimo garantito. Niente coraggio, nessuna idea, neppure l’ombra di una
visione del che fare. Se la scorciatoia è illegale (come la sostituzione
arbitraria e improvvisa di un membro della Commissione di Vigilanza) la
prendiamo per buona in cambio di una cosina. A piccoli passi strascicati che
non lasciano traccia, usciamo dalla politica, dando la colpa all’economia, ed
entriamo nel sottomondo del baratto: ti do, mi dai. È una fine che non
assomiglia all’inizio. La Resistenza, ricordate? Così, sempre più
caustico, Furio Colombo nell’editoriale su “il Fatto Quotidiano” che ha per
titolo “Il Parlamento inutile”.
Tante volte si è detto che la “crisi” ci avrebbe cambiati. In
meglio? In peggio? Non è certo che ci abbia resi diversi dal come eravamo. Ed
il nostro “eravamo” era e rimane essenzialmente quella condizione disperante di
“consumatori” incalliti e per nulla disposti a rivedere le proprie abitudini.
La “crisi”
incide però da quel lato che la sprovvedutezza, per non dire l’indifferenza dei
tanti, hanno poco curato presi com’erano dalla salvaguardia di un benessere
raggiunto. La “crisi” cambia – se non uccide – la democrazia, per come essa è
stata costruita e per come essa è stata da noi conosciuta dopo i disastri di
due guerre continentali. E la cambia nelle forme che Furio Colombo ha
magistralmente raccontato. Una democrazia svuotata, succube delle scelte e
degli imperativi che “il mercato” impone senza indulgenza
alcuna, nel rispetto della sua idea di benessere per i pochi a scapito delle
moltitudini di quel ceto medio convenientemente “proletarizzato”. Una
democrazia senza nerbo, che subisce e non detta le condizioni per un vivere
associato di accettabile qualità. Si chiede Ronny Mazzocchi sul quotidiano
l’Unità: (…). È davvero possibile che sia bastata sempre l’esternazione di un
singolo - giusta o sbagliata che fosse - a vanificare gli sforzi di tutta la
popolazione? Davvero una frase di Giorgio Squinzi può annullare gli effetti di
una riforma delle pensioni lacrime-e-sangue o di quattro manovre restrittive? E
perché in tutti questi mesi la grancassa mediatica e la lunga serie di
autorevoli sostenitori dell’esecutivo non sono mai riusciti ad abbassare il
differenziale di rendimento dei nostri titoli pubblici anche solo di qualche
decimale di punto? E prosegue nella Sua interessante analisi che ha per
titolo “Monti, Squinzi e l’imbroglio
degli ultra-liberisti”: È chiaro che il giochino dello spread -
abilmente maneggiato da novembre in poi dai mass-media e dal governo - è sempre
più difficile da utilizzare. Il modo con cui il premier e la grande stampa
hanno attaccato il capo di Confindustria, oltre a stupire in negativo per i
modi utilizzati, lascia intendere un certo nervosismo. Tutti sanno benissimo
che lo spread dipende ormai molto poco da noi e moltissimo dalla difficile
partita che si sta giocando da mesi sui tavoli di Bruxelles e Francoforte. Due
anni di austerità non solo non hanno rimesso in sicurezza l’Europa, come ci
avevano garantito i tecnocrati della Commissione europea e della Bce ancora a
settembre dell’anno scorso, ma hanno addirittura aggravato la situazione,
estendendo il contagio dalla Grecia agli altri Paesi mediterranei, fino a
lambire pure Spagna e Italia. Il risanamento dei conti pubblici, che doveva
restituire fiducia agli investitori e rilanciare così crescita e posti di
lavoro, sembra aver funzionato al contrario, esattamente come prevedevano i
vecchi testi di economia: meno spesa pubblica e più tasse hanno ridotto le
prospettive di sviluppo future, con ricadute immediate su produzione e
occupazione. È quindi diventato chiaro pure al più ostinato dei fondamentalisti
liberisti che l’idea che fosse sufficiente fare «i compiti a casa» per uscire
dalla crisi si è rivelata del tutto inutile, e che per rompere il circolo
vizioso fosse necessario mettere mano ai due grandi problemi continentali: lo
stretto legame fra finanza bancaria e finanza pubblica e il crescente
differenziale di competitività fra i Paesi dell’area euro. (…). È tutto
qui “l’imbroglio”
di cui parla l’autorevole opinionista: far pagare ai “soliti
noti” il costo più pesante della “crisi” attingendo alle risorse
degli Stati per ripianare gli errori che il capitalismo finanziario ha creato
nella sua ossessionata volontà depredatrice di risorse umane e naturali. Ha
dichiarato Amartya, Sen Premio Nobel per l’Economia: - La crisi non è il sintomo di un
fallimento degli Stati ma l’effetto di un fallimento del mercato che a sua
volta è stato salvato dagli Stati -. Più chiari di così. Ma la politica
non ha più forza alcuna. Per non parlare poi delle idee e dei progetti. Vive
alla giornata, cercando di assicurarsi quel “minimo garantito” che ne
giustifichi una stentata esistenza. Il grande capolavoro è compiuto:
rendere inutile il Parlamento.
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