"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 13 agosto 2014

Sfogliature. 29 “Il bambino che uccideva formiche”.



Riaccendo il mio computer e trovo che sorprendentemente il post del 5 di agosto ultimo ha scalato la speciale classifica del blog - dei “post più popolari” - tra gli incauti navigatori della rete che ad esso approdino piazzandosi, nel momento in cui scrivo, al terzo posto. Un buon risultato. Ben mi sta la cosa. Ma ho pensato poi: che la fortuna del post sia per il fatto che si parli di un bambino? Che poi, sai che bella scoperta, risulta essere il mio nipotino E. Ma a rifletterci bene mi son detto: ma quella domanda non ce la siamo posta tutti? Proprio tutti! Ed allora di buzzo buono a scandagliare le profondità della rete, che sono sempre di una ricchezza straordinaria. Rinvengo infatti un post del 23 di settembre dell’anno 2011 che sarebbe sepolto in quelle profondità se non avessi avuto la furbizia – o l’accortezza – di salvare il salvabile allorquando ci fu comunicato della chiusura della piattaforma. A quel tempo il post era collocato nella sezione “Dell’essere” con il titolo “Il bambino che uccideva formiche”, titolo che ha mantenuto in questa proposta di “sfogliatura”. È che nel post di allora faceva capolino il mio nipotino primo arrivato al mondo, R. Rileggiamo il post di allora. Ascoltate…
Conosco una storia che ho piacere di raccontare anche a Voi. La storia l’ho sentita, anzi l’ho ascoltata con un fare indifferente per non sembrare che mi interessasi ai fatti della gente. Ma ascoltare le storie raccontate dagli altri è una cosa che mi appassiona assai. E su quelle storie mi piace sempre ritornare. Dunque la storia. La storia ha un protagonista straordinario poiché è un bambino. Da quel che ne ho capito è un bambino sveglio assai dell’età tra i tre ed i quattro anni. La storia di questo bambino l’ha raccontata il nonno. Succede sempre, soprattutto ai nonni (e nonno lo sono pure io), che le storie raccontate, poiché vissute dai propri nipoti o nipotini, siano sempre storie uniche, straordinarie, favolose. In fondo la storia che sto per narrarvi lo è veramente. Ma non scordiamoci che tutti i bambini narrano sempre storie fantastiche e straordinarie. Dovremmo metterlo in conto che i bambini sono gli unici esseri, del mondo degli umani, che ci fanno meravigliare anche con un niente. Narrava quel nonno di quando il suo nipotino perdette una delle nonne. In famiglia ci si impegnò affinché la triste circostanza venisse al momento nascosta al piccolo. Accadde invece l’imprevedibile. Una cuginetta più grandicella del piccolo, imprudentemente, comunicò a quell’innocente l’avvenuta morte della nonna. La morte, per l’appunto, con la semplicità e la naturalezza che un simile evento richiede. E non la dipartita, o la trasmigrazione in cielo o in qualsivoglia altro luogo. Il bimbo non diede reazione alcuna. Si confidava in famiglia che la sbadataggine non avesse prodotto danno alcuno. Il racconto del nonno trasferisce la scena su di un balcone in una serata di calura estrema qualche tempo dopo; in due su quel balcone a rimirare la volta celeste. Fu in quell’istante, nasi ed occhi rivolti in alto, che il piccolo chiese al nonno della luna. Non era quella una serata di luna. Anche il piccolo se ne capacitò e non andò oltre. Avvenne in seguito che fosse proprio il piccolo, da quello stesso balcone, a richiamare l’attenzione del nonno al comparire della tonda e luminosa faccia lunare. La luna era proprio lì, sulle loro teste. Allora il bambino chiese al nonno se ci fossero le stelle. Il cielo, rischiarato da quella tonda luna piena, rendeva difficoltosa la vista delle stelle. Ma fu proprio forzando la vista che riuscirono ad intravvederne una. Con fatica il nonno gliela indicò. Il piccolo ammutolì. Fissò a lungo nella direzione indicatagli dal nonno. Alla fine sbottò: - Ma la nonna non c’è! -. Ecco perché dico che solo i bambini sono capaci di farci meravigliare. Non esistono al mondo altri strumenti capaci di un simile miracolo. Tutto il resto è un artifizio ingannevole. Anche il mio piccolo nipote R. sovente mi pone la fatidica domanda: - Nonno, dov’è il tuo papà? -. Altre volte: - Nonno, dov’è la tua mamma? -. A quelle domande rispondo invariabilmente: - Sono volati in cielo -. Forse la mia risposta non lo rassicura; ma non riesco, al momento, a trovarne un’altra che sia più accettabile. Non dico credibile, ché R. a quella mia risposta immancabilmente diviene silenzioso ed immancabilmente alza gli occhi al cielo. Cosa starà vedendo? Ché forse gli riesce di vedere ciò che la condizione nostra di adulti ci impedisce di vedere? Non lo saprò mai. Né tantomeno mi perito di chiederglielo. Anche Claudia De Lillo, in arte Elasti, straordinaria notista del supplemento “D” del quotidiano “la Repubblica”, ha di recente scritto una storia di bimbi che “incontrano”, nella loro ancora giovanissima vita, la morte. Con risvolti davvero straordinari. Titolo della Sua nota: “Il bambino che uccideva formiche”, che di seguito trascrivo in parte. (…). Quando il mio primo figlio aveva circa due anni trovò una formica sul pavimento. La seguì per un po', si spazientì e la schiacciò con il suo indice paffuto e implacabile. Lei restò lì, spiaccicata. Lui la guardò perplesso poi si girò verso di me, in attesa di spiegazioni. Perché? Perché nella vita si nasce e si muore. Succede a tutti: alle formiche, ai cani, ai fiori sul balcone. Succede anche a... No, non ero pronta. Allora ero convinta che tutti i bambini fossero creature fragili come carta velina. - La formica si è rotta -, risposi frettolosa e lui andò a recar danno altrove. (…). Quando incontrai lo sguardo interrogativo di mio figlio puntato sulla formica spiaccicata, mi resi conto che mi mancavano gli strumenti per rispondere a quella domanda e a tutte quelle che sarebbero arrivate negli anni. Avevo bisogno delle parole giuste e di una trama con cui tessere la rete che proteggesse i miei figli dai brutti pensieri e da quello sgomento solitario. Mi rivolsi a colei che dovrebbe essere la mia psicologa, se ne avessi una, e se, soprattutto, non fosse già la pediatra dei miei figli. - Sono atea, non credo in Dio, negli angeli e nel Paradiso. Ho però una grande fiducia nel genere umano. Come spiegare la morte a mio figlio evitando che l'idea della morte lo inghiotta? -, le chiesi. - L'indeterminatezza disorienta i bambini. Possono affrontare meglio di noi il dolore, la perdita, il lutto ma hanno bisogno di certezze -, mi spiegò. Mi consigliò, nel caso in cui fossi stata interrogata o costretta dalle circostanze a dare spiegazioni, di inventarmi un posto (- Il cielo, la terra, le nuvole, le stelle, il fiume o il mare, è indifferente. Scegli quello che preferisci -) in cui vanno le formiche, i cani, i trisnonni che non sono più qui con noi. - Finché sono piccoli, i bambini vanno rassicurati. Quando saranno più grandi, potrete condividere con loro la vostra visione della vita e della morte. Ora è presto -. Mi sembrò convincente. Avevo gli strumenti ed ero più tranquilla. Da allora il bambino che uccideva formiche è cresciuto e ora ha otto anni e due fratelli, di cinque e quasi due anni. Questa estate in vacanza hanno trovato un topolino agonizzante, a pancia in giù. - Ehi, guardate! -. - Sta morendo -. - Povero! -. Inspirai, espirai e li osservai, preparata al peggio e pronta a rassicurarli e a tessere quella rete che avrebbe protetto la loro infanzia dai brutti pensieri che avevano funestato la mia. - Secondo me sta soffrendo moltissimo -. - Già, dobbiamo fare qualcosa per lui -. - Per esempio? -. - Per esempio colpirlo fortissimo in testa con questa vanga! -. - Oppure legarlo ai binari e aspettare che passi il treno -. - O buttarlo nel water e tirare lo sciacquone -. - Così almeno muore e smette di soffrire. Che ne dici mamma? -. - Dico che siete dei mostri e dovete lasciarlo in pace -. - Ecco! Ora è morto finalmente -. - Ci siamo tolti il pensiero -. - Mamma, quando tu e papà sarete morti, potremo usare le vostre calze? -. Ci sono bambini fragili, come carta velina. E ce ne sono altri, da cui dobbiamo solo fuggire. O imparare. È che rileggendo il post di allora ho scoperto di avere di già utilizzato la volta celeste per dare una prima risposta alle perplessità di un bambino. Lo avevo fatto allora con R. l’ho rifatto in questi torride giornate con E. Mi sorprendo di avere una “coazione a ripetere”. A fin di bene, certamente. Ma gradirei che qualcun altro mi desse le risposte che vado cercando da sempre. Sempre che questo qualcuno non si faccia attendere troppo.

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