Amin ha cinque anni. Sara, la
sorellina, ha due anni e mezzo. Giocano solitari nel piccolo parco-giuochi in
un domenica assolata ed afosa nel quartiere periferico della città. La mamma,
seduta all’ombra di uno dei pochi alberi del piccolo parco-giuochi, li
sorveglia attenta ma con discrezione. È giovane la mamma, veste come quelle tante
donne che dai paesi arabi arrivano speranzose nella terra del cosiddetto bel
paese. Porta pantaloni ricoperti da una camiciona che la riveste per i tre
quarti della sua statura. E porta il prescritto copri-capo. Ha una bellezza
discreta e misteriosa, come accade per tante donne arabe. Ha scritto il
professor Umberto Galimberti sul settimanale “D” del 26 di maggio dell’anno
2012 – “Riflessioni sul razzismo di una
ragazzina di 12 anni” -: Tante volte i pensieri dei bambini sono più
evoluti di quelli degli adulti. (…). …finché si è bambini e si scopre il mondo,
ogni cosa nuova che si incontra e quindi ogni curiosità, che si tratti del
colore della pelle o dell'angolatura degli occhi degli altri bambini, del loro
modo di parlare o di vestirsi, desta interesse. Ma i bambini non crescono solo
in un prato verde dove giocano con tutti quelli della loro età, i bambini
crescono anche in famiglie, in alcune delle quali sono invitati a non
familiarizzare troppo con chi ha la pelle nera o non parla bene la nostra
lingua, perché questi bambini non sono proprio uguali a noi, dove è sottinteso
che sono inferiori a noi. È in quel parco-giochi che i miei nipotini R.
ed E. incontrano Amin e Sara. Amin è intraprendente nei giochi. “Sfida” i miei
nipotini in abilità e dimostra all’istante la sua grande voglia di fare
amicizia. I miei piccoli si mostrano restii ai suoi inviti. Ma il gelo dura
pochissimo. I quattro, ché tanti se ne contano al mattino dell’afosa domenica
agostana in quel parco-giuochi, ora filano che è un piacere e giocano con la
disinvoltura ed il gusto pieno propri dei bambini di tutto il mando. Io mi sono
seduto su di una panchina protetta da un altro dei pochi alberi esistenti nella
struttura. Ho modo di osservare i bambini nei loro giochi; ho modo d’osservare
la giovane donna araba e la misteriosità che emana. Ho deposto sulla panchina i
quotidiani appena acquistati ed i piccoli giuochini che R. ed E. hanno immancabilmente
rinvenuto tra le cianfrusaglie che si accumulano in tutte le edicole. E che io
ho puntualmente pagato. Ma, deposto sulla panchina accanto ai quotidiani ed ai
giuochini – un terzo giuochino è stato scelto da R. ed E. per G. il loro
fratellino rimasto a casa – , è deposto un foglio A4 quadrettato sul quale E.,
nell’attesa di uscire, ha disegnato un prato verde con fiori multicolori, un
cielo azzurro rischiarato da un sole sfolgorante. Il foglio, raccolto come un
tempo s’usava per le pergamene, era trattenuto da un sottile elastico giallo. In
una fase rallentata dei giuochi Amin si avvicina alla mia panchina. Osserva con
attenzione gli oggetti deposti su di essa. Poi, col fare innocente e disinibito
di tutti i bambini di questo mondo afferra… ma non ci credereste proprio! Afferra
il disegno di E., non gli interessano i tre giuochini che pur stanno lì accanto
al foglio quadrettato. Amin dispiega il foglio con cura e resta come incantato
alla vista di quel prato verde, dei fiori multicolori, del cielo stupendamente
azzurro, del sole raggiante che lo rischiara. Amin sembra ammirato dall’opera
di E. Quali ricordi gli avrà suscitato l’opera di E.? Ha scritto oltre il professor
Galimberti:
…abitano case che non sono belle e spaziose come le nostre, a scuola
hanno qualche difficoltà in più nell'apprendere, talvolta quando si esprimono
fanno ridere, e allora nell'età della prima adolescenza, in cui ogni bambino è
alla ricerca di una propria identità, non c'è strada più facile per trovarla
che arroccarsi nella differenza che li distingue da loro e, a partire dalle
considerazioni che hanno sentito in famiglia, sentirsi in questa differenza
superiori. Quando uno si sente superiore a un altro cade facilmente in preda a
quella legge animale dove il forte aggredisce il debole. E il gioco riesce,
perché chi viene da noi, lasciando la sua terra, la sua lingua, le sue
abitudini, è davvero più debole di chi cresce nella propria terra, parla la
propria lingua e non deve cambiare il suo modo di vivere. L'aggressione del
debole fa sentire ancora più forti, e la propria identità così rafforzata
diventa uno stile di vita. Ma siccome oltre alla "legge animale" del
più forte esiste anche la "legge umana" che chi da subito incontra
difficoltà e col tempo e l'impegno le supera diventa più abile di chi le
difficoltà non le ha mai incontrate, e quindi non ha avuto occasione di
affrontarle e superarle, alla fine tutto si capovolge e quello che un tempo era
più debole diventa più forte di chi si riteneva forte perché così in famiglia
aveva sentito dire. Succederà allora che in un mondo che ormai mescola tutte le
culture, chi fin da piccolo è stato abituato a inserirsi e convivere con una
cultura diversa dalla sua sarà più capace di muoversi nel mondo, rispetto a chi
non è mai uscito dal proprio paese e in questo recinto ha trovato la sua misera
identità. Ho chiesto allora ad Amin: - Ti piace? -. Il suo viso si è
illuminato ed in cambio ne ho avuto una sua brevissima risposta, un monosillabo
appena. Il disegno lo aveva colpito dentro. Perché? Per cosa? Riposto con
amorevole cura il foglio A4 quadrettato con l’opera grande di E. Amin riprese i suoi giuochi. In un intervallo, provvidenziale
prima che lasciassimo il parco-giuochi, mi sono accostato ad E. e gli ho
chiesto di farne dono al piccolo Amin. Ho cercato con parole dolci di fargli
giungere l’importanza e la sorpresa destata da quel disegno in Amin che non
aveva riservato sguardo alcuno per i giuochini appena acquistati all’edicola. Ma
non c’è stato verso per convincere E. Al mio ultimo ed estremo tentativo di convincerlo
la sua perentoria risposta – “l’ho fatto per la mamma” – mi ha posto
definitivamente fuori gioco. E. aveva vinto, pur mancando quella generosità che
tanto gli avevo sollecitato. Avrei voluto leggere ad E. cosa ha scritto Kahlil
Gibran, vissuto nelle terre di Amin e Sara, nel Suo “Il Profeta” a proposito del “dare”: “Disse allora un ricco: parlaci
del dare. Ed egli rispose: voi non date che cosa di poco conto quando date
qualcosa dei vostri beni. È quando date qualcosa di voi stessi che date
veramente. Poiché cosa sono i vostri beni se non cose che serbate e custodite
per paura di averne bisogno domani? E domani, che cosa porterà il domani al
cane troppo prudente che nasconde gli ossi nella sabbia che non lascia tracce
mentre segue i pellegrini diretti alla città santa? E che cos’è la paura del bisogno
se non il bisogno stesso? E la paura della sete quando il vostro pozzo è pieno,
non è forse insaziabile sete?”. Ma E. è troppo giovane. Quel disegno
per la mamma era qualcosa del suo se stesso. Un domani capirà.
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