"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 6 agosto 2014

Cosecosì. 88 Storia minima di una generosità mancata.



Amin ha cinque anni. Sara, la sorellina, ha due anni e mezzo. Giocano solitari nel piccolo parco-giuochi in un domenica assolata ed afosa nel quartiere periferico della città. La mamma, seduta all’ombra di uno dei pochi alberi del piccolo parco-giuochi, li sorveglia attenta ma con discrezione. È giovane la mamma, veste come quelle tante donne che dai paesi arabi arrivano speranzose nella terra del cosiddetto bel paese. Porta pantaloni ricoperti da una camiciona che la riveste per i tre quarti della sua statura. E porta il prescritto copri-capo. Ha una bellezza discreta e misteriosa, come accade per tante donne arabe. Ha scritto il professor Umberto Galimberti sul settimanale “D” del 26 di maggio dell’anno 2012 – “Riflessioni sul razzismo di una ragazzina di 12 anni” -: Tante volte i pensieri dei bambini sono più evoluti di quelli degli adulti. (…). …finché si è bambini e si scopre il mondo, ogni cosa nuova che si incontra e quindi ogni curiosità, che si tratti del colore della pelle o dell'angolatura degli occhi degli altri bambini, del loro modo di parlare o di vestirsi, desta interesse. Ma i bambini non crescono solo in un prato verde dove giocano con tutti quelli della loro età, i bambini crescono anche in famiglie, in alcune delle quali sono invitati a non familiarizzare troppo con chi ha la pelle nera o non parla bene la nostra lingua, perché questi bambini non sono proprio uguali a noi, dove è sottinteso che sono inferiori a noi. È in quel parco-giochi che i miei nipotini R. ed E. incontrano Amin e Sara. Amin è intraprendente nei giochi. “Sfida” i miei nipotini in abilità e dimostra all’istante la sua grande voglia di fare amicizia. I miei piccoli si mostrano restii ai suoi inviti. Ma il gelo dura pochissimo. I quattro, ché tanti se ne contano al mattino dell’afosa domenica agostana in quel parco-giuochi, ora filano che è un piacere e giocano con la disinvoltura ed il gusto pieno propri dei bambini di tutto il mando. Io mi sono seduto su di una panchina protetta da un altro dei pochi alberi esistenti nella struttura. Ho modo di osservare i bambini nei loro giochi; ho modo d’osservare la giovane donna araba e la misteriosità che emana. Ho deposto sulla panchina i quotidiani appena acquistati ed i piccoli giuochini che R. ed E. hanno immancabilmente rinvenuto tra le cianfrusaglie che si accumulano in tutte le edicole. E che io ho puntualmente pagato. Ma, deposto sulla panchina accanto ai quotidiani ed ai giuochini – un terzo giuochino è stato scelto da R. ed E. per G. il loro fratellino rimasto a casa – , è deposto un foglio A4 quadrettato sul quale E., nell’attesa di uscire, ha disegnato un prato verde con fiori multicolori, un cielo azzurro rischiarato da un sole sfolgorante. Il foglio, raccolto come un tempo s’usava per le pergamene, era trattenuto da un sottile elastico giallo. In una fase rallentata dei giuochi Amin si avvicina alla mia panchina. Osserva con attenzione gli oggetti deposti su di essa. Poi, col fare innocente e disinibito di tutti i bambini di questo mondo afferra… ma non ci credereste proprio! Afferra il disegno di E., non gli interessano i tre giuochini che pur stanno lì accanto al foglio quadrettato. Amin dispiega il foglio con cura e resta come incantato alla vista di quel prato verde, dei fiori multicolori, del cielo stupendamente azzurro, del sole raggiante che lo rischiara. Amin sembra ammirato dall’opera di E. Quali ricordi gli avrà suscitato l’opera di E.? Ha scritto oltre il professor Galimberti:
abitano case che non sono belle e spaziose come le nostre, a scuola hanno qualche difficoltà in più nell'apprendere, talvolta quando si esprimono fanno ridere, e allora nell'età della prima adolescenza, in cui ogni bambino è alla ricerca di una propria identità, non c'è strada più facile per trovarla che arroccarsi nella differenza che li distingue da loro e, a partire dalle considerazioni che hanno sentito in famiglia, sentirsi in questa differenza superiori. Quando uno si sente superiore a un altro cade facilmente in preda a quella legge animale dove il forte aggredisce il debole. E il gioco riesce, perché chi viene da noi, lasciando la sua terra, la sua lingua, le sue abitudini, è davvero più debole di chi cresce nella propria terra, parla la propria lingua e non deve cambiare il suo modo di vivere. L'aggressione del debole fa sentire ancora più forti, e la propria identità così rafforzata diventa uno stile di vita. Ma siccome oltre alla "legge animale" del più forte esiste anche la "legge umana" che chi da subito incontra difficoltà e col tempo e l'impegno le supera diventa più abile di chi le difficoltà non le ha mai incontrate, e quindi non ha avuto occasione di affrontarle e superarle, alla fine tutto si capovolge e quello che un tempo era più debole diventa più forte di chi si riteneva forte perché così in famiglia aveva sentito dire. Succederà allora che in un mondo che ormai mescola tutte le culture, chi fin da piccolo è stato abituato a inserirsi e convivere con una cultura diversa dalla sua sarà più capace di muoversi nel mondo, rispetto a chi non è mai uscito dal proprio paese e in questo recinto ha trovato la sua misera identità. Ho chiesto allora ad Amin: - Ti piace? -. Il suo viso si è illuminato ed in cambio ne ho avuto una sua brevissima risposta, un monosillabo appena. Il disegno lo aveva colpito dentro. Perché? Per cosa? Riposto con amorevole cura il foglio A4 quadrettato con l’opera grande di E. Amin  riprese i suoi giuochi. In un intervallo, provvidenziale prima che lasciassimo il parco-giuochi, mi sono accostato ad E. e gli ho chiesto di farne dono al piccolo Amin. Ho cercato con parole dolci di fargli giungere l’importanza e la sorpresa destata da quel disegno in Amin che non aveva riservato sguardo alcuno per i giuochini appena acquistati all’edicola. Ma non c’è stato verso per convincere E. Al mio ultimo ed estremo tentativo di convincerlo la sua perentoria risposta – “l’ho fatto per la mamma” – mi ha posto definitivamente fuori gioco. E. aveva vinto, pur mancando quella generosità che tanto gli avevo sollecitato. Avrei voluto leggere ad E. cosa ha scritto Kahlil Gibran, vissuto nelle terre di Amin e Sara, nel Suo “Il Profeta” a proposito del “dare”: “Disse allora un ricco: parlaci del dare. Ed egli rispose: voi non date che cosa di poco conto quando date qualcosa dei vostri beni. È quando date qualcosa di voi stessi che date veramente. Poiché cosa sono i vostri beni se non cose che serbate e custodite per paura di averne bisogno domani? E domani, che cosa porterà il domani al cane troppo prudente che nasconde gli ossi nella sabbia che non lascia tracce mentre segue i pellegrini diretti alla città santa? E che cos’è la paura del bisogno se non il bisogno stesso? E la paura della sete quando il vostro pozzo è pieno, non è forse insaziabile sete?”. Ma E. è troppo giovane. Quel disegno per la mamma era qualcosa del suo se stesso. Un domani capirà.

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