Riaccendo il mio computer e trovo
che sorprendentemente il post del 5 di agosto ultimo ha scalato la speciale
classifica del blog - dei “post più popolari” - tra gli incauti navigatori
della rete che ad esso approdino piazzandosi, nel momento in cui scrivo, al
terzo posto. Un buon risultato. Ben mi sta la cosa. Ma ho pensato poi: che la
fortuna del post sia per il fatto che si parli di un bambino? Che poi, sai che
bella scoperta, risulta essere il mio nipotino E. Ma a rifletterci bene mi son
detto: ma quella domanda non ce la siamo posta tutti? Proprio tutti! Ed allora di
buzzo buono a scandagliare le profondità della rete, che sono sempre di una
ricchezza straordinaria. Rinvengo infatti un post del 23 di settembre dell’anno
2011 che sarebbe sepolto in quelle profondità se non avessi avuto la furbizia –
o l’accortezza – di salvare il salvabile allorquando ci fu comunicato della
chiusura della piattaforma. A quel tempo il post era collocato nella sezione “Dell’essere” con il titolo “Il bambino che uccideva formiche”,
titolo che ha mantenuto in questa proposta di “sfogliatura”. È che nel
post di allora faceva capolino il mio nipotino primo arrivato al mondo, R. Rileggiamo
il post di allora. Ascoltate…
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
mercoledì 13 agosto 2014
mercoledì 6 agosto 2014
Cosecosì. 88 Storia minima di una generosità mancata.
Amin ha cinque anni. Sara, la
sorellina, ha due anni e mezzo. Giocano solitari nel piccolo parco-giuochi in
un domenica assolata ed afosa nel quartiere periferico della città. La mamma,
seduta all’ombra di uno dei pochi alberi del piccolo parco-giuochi, li
sorveglia attenta ma con discrezione. È giovane la mamma, veste come quelle tante
donne che dai paesi arabi arrivano speranzose nella terra del cosiddetto bel
paese. Porta pantaloni ricoperti da una camiciona che la riveste per i tre
quarti della sua statura. E porta il prescritto copri-capo. Ha una bellezza
discreta e misteriosa, come accade per tante donne arabe. Ha scritto il
professor Umberto Galimberti sul settimanale “D” del 26 di maggio dell’anno
2012 – “Riflessioni sul razzismo di una
ragazzina di 12 anni” -: Tante volte i pensieri dei bambini sono più
evoluti di quelli degli adulti. (…). …finché si è bambini e si scopre il mondo,
ogni cosa nuova che si incontra e quindi ogni curiosità, che si tratti del
colore della pelle o dell'angolatura degli occhi degli altri bambini, del loro
modo di parlare o di vestirsi, desta interesse. Ma i bambini non crescono solo
in un prato verde dove giocano con tutti quelli della loro età, i bambini
crescono anche in famiglie, in alcune delle quali sono invitati a non
familiarizzare troppo con chi ha la pelle nera o non parla bene la nostra
lingua, perché questi bambini non sono proprio uguali a noi, dove è sottinteso
che sono inferiori a noi. È in quel parco-giochi che i miei nipotini R.
ed E. incontrano Amin e Sara. Amin è intraprendente nei giochi. “Sfida” i miei
nipotini in abilità e dimostra all’istante la sua grande voglia di fare
amicizia. I miei piccoli si mostrano restii ai suoi inviti. Ma il gelo dura
pochissimo. I quattro, ché tanti se ne contano al mattino dell’afosa domenica
agostana in quel parco-giuochi, ora filano che è un piacere e giocano con la
disinvoltura ed il gusto pieno propri dei bambini di tutto il mando. Io mi sono
seduto su di una panchina protetta da un altro dei pochi alberi esistenti nella
struttura. Ho modo di osservare i bambini nei loro giochi; ho modo d’osservare
la giovane donna araba e la misteriosità che emana. Ho deposto sulla panchina i
quotidiani appena acquistati ed i piccoli giuochini che R. ed E. hanno immancabilmente
rinvenuto tra le cianfrusaglie che si accumulano in tutte le edicole. E che io
ho puntualmente pagato. Ma, deposto sulla panchina accanto ai quotidiani ed ai
giuochini – un terzo giuochino è stato scelto da R. ed E. per G. il loro
fratellino rimasto a casa – , è deposto un foglio A4 quadrettato sul quale E.,
nell’attesa di uscire, ha disegnato un prato verde con fiori multicolori, un
cielo azzurro rischiarato da un sole sfolgorante. Il foglio, raccolto come un
tempo s’usava per le pergamene, era trattenuto da un sottile elastico giallo. In
una fase rallentata dei giuochi Amin si avvicina alla mia panchina. Osserva con
attenzione gli oggetti deposti su di essa. Poi, col fare innocente e disinibito
di tutti i bambini di questo mondo afferra… ma non ci credereste proprio! Afferra
il disegno di E., non gli interessano i tre giuochini che pur stanno lì accanto
al foglio quadrettato. Amin dispiega il foglio con cura e resta come incantato
alla vista di quel prato verde, dei fiori multicolori, del cielo stupendamente
azzurro, del sole raggiante che lo rischiara. Amin sembra ammirato dall’opera
di E. Quali ricordi gli avrà suscitato l’opera di E.? Ha scritto oltre il professor
Galimberti:
martedì 5 agosto 2014
Cosecosì. 87 “Le domande della vita di un bambino”.
E. ha cinque anni. E mesi. E. se
ne andava, in una domenica torrida, nella città deserta e desolata per la mano
d’un anziano signore. E se ne andavano come nel bel canto del grande Guccini… “un
vecchio e un bambino si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera;
la polvere rossa si alzava lontano e il sole brillava di luce non vera...”. E
nel silenzio profondo e lungo che accompagnava il loro andare quello stringersi
per mano era il loro modo di stare assieme ed in pace. Il loro modo di dirsi
tutte le affettuosità non dette. Ah fosse vero quel che Guccini dice dei vecchi
signori… “i vecchi subiscon le ingiurie degli anni, non sanno distinguere il
vero dai sogni, i vecchi non sanno, nel loro pensiero, distinguer nei sogni il
falso dal vero..”. Fosse vero! E fu a quel punto là che E. disse
all’anziano signore: - Ma dove vai quando tu muori? -. E fu a quel punto là che
l’anziano signore sentì come una grande deflagrazione della sua chiusa scatola
cranica. Restò attonito e smarrito. Avrebbe preferito sviare il discorso,
cambiar il tema scabroso magari dirgli… "immagina questo coperto di grano, immagina
i frutti e immagina i fiori e pensa alle voci e pensa ai colori e in questa
pianura, fin dove si perde, crescevano gli alberi e tutto era verde, cadeva la
pioggia, segnavano i soli il ritmo dell' uomo e delle stagioni...”. Non
sarebbe stata la risposta attesa da E. del bel canto di Guccini. E l’anziano
signore pensò a quello che aveva pur letto sull’argomento e avrebbe voluto
rispondere ad E. con la magia della parola creata dall’animo immenso dell’Anna
Maria Ortese nella Sua “Vita di Dea”:
lunedì 4 agosto 2014
Cronachebarbare. 31 “Caro Partito ti scrivo…”.
Lo confermo. Non ho mai “sostenuto” il Renzi. Tutte
le volte che il mio partito ha voluto conoscere la mia opinione – con le
primarie, per esempio – non sono stato mai dalla parte del Renzi. Così, “a prescindere”?
No di certo. È che la “memoria” di cosa il partito era
venuto sostenendo nel ventennio del dopo la “discesa in campo” ha
continuato a sostenermi. La “memoria”. È che si vive in un paese
che della “memoria”, piccola o grande che sia, si fa volentieri e
colpevolmente a meno. E così è poi facile salire sul carro del vincitore. Ma io
non sono avvezzo a simili sortite. Ed allora, se quella “memoria” è ancora fresca,
mi risulta impossibile farla tacere. E poi c’è quell’inaspettato fiuto. Che mi
avvertiva di una continuità che avrebbe smentito tutto ciò che si era detto per
il bene della democrazia nel bel paese. Avvertivo, per via di quel fiuto, di un
“cambiar
verso” che non sarebbe stato in sintonia con le precedenti elaborazioni
ed enunciazioni del partito. E che il “cambiar verso” avrebbe invece rappresentato
ed assicurato la più incredibile delle continuità nella pratica della mala politica
del bel paese. La continuità. Scrive oggi Ilvo Diamanti sul quotidiano la
Repubblica – “La democrazia per caso” -: Renzi (…) è accusato di
insofferenza verso ogni mediazione. Verso i partiti e i corpi intermedi.
Sindacato e organizzazioni degli imprenditori, in primo luogo. E verso ogni
controllo, si tratti di tecnici oppure di magistrati. D’altra parte, Renzi ha
ri-assunto in sé i ruoli di capo del governo e del partito di maggioranza. Al
tempo stesso, ha piegato il Pd a propria misura e immagine. Lo ha trasformato
nel PdR, il Partito Democratico di Renzi. O, più semplicemente, il Partito di
Renzi. In Parlamento, governa con una maggioranza variabile. A cui partecipano
Ncd, i Centristi. Ma anche Fi. Dipende dagli argomenti. (…). Mentre diffida,
per principio, della concertazione con le organizzazioni di rappresentanza
degli interessi. Quanto al governo, si affida ai più fidati e fedeli (si scusi
il bisticcio di parole). E per quel che riguarda i tecnici, se rallentano la
marcia del governo e del suo Capo, vengono rimossi. Come, in questi giorni,
Cottarelli, responsabile della spending review. Insomma, Renzi starebbe
conducendo il Paese lungo una china autoritaria. Il mio dubbio, di fronte a
queste accuse, non è che siano infondate, ma fuori tempo e fuori luogo. Ecco,
i cosiddetti “corpi intermedi” nelle società complesse. Tanto invisi e combattuti
al tempo del sig. B. Oggigiorno ridotti a nullità. Derisi e scherniti. Una continuità
assicurata. Un non voler “cambiar verso”. Non per niente in
precedenza si era pensato e malignamente proposto che nel Parlamento andassero
abolite le inutili discussioni, le lungaggini della politica, ed andassero
accelerati i tempi di delibera chiamando al voto, possibilmente, i cosiddetti
capi-gruppo. Una boutade? Come non riscoprire oggi le stesse insofferenze che hanno
caratterizzato quel tempo politico contro il quale il partito sembrava all’unisono
fare barriera (fingendo)? Come non vedere negli attuali atteggiamenti d’insofferenza
contro i “gufi”, i “rosiconi”, i “professoroni” gli stessi
atteggiamenti d’intolleranza che animava la sciatta politica di un tempo
passato ma prossimo ancora? Come non vedere un rinserrarsi nell’empireo eburneo
della “casta” la nuova fase politica del bel paese? Un rinserrarsi, che
non ammette intromissioni di sorta da parte di quella “società civile” tante
volte tirata in ballo o tirata per la giacchetta quando c’era da mandare in
crisi lo schieramento politico avverso. Oggigiorno quella stessa “società
civile” è ridotta a masnada di “gufi” e di “rosiconi”. Era questo il
“cambiar
verso”? Lo sarebbe stato proprio se si fossero bandite quelle pratiche
per le quali tanto si era gridato alla luna. A me, come a milioni d’altri che
al partito hanno guardato con fiducia e speranza, veniva lasciato intendere
tutt’altro. Scrive ancora Ilvo Diamanti: Perché fanno riferimento a tendenze che
Renzi non ha “inventato”. Semmai, assecondato. In parte: accelerato. Per
convenienza. Perché si tratta di storie vecchie. Scritte da tempo. Senza troppo
scandalo e, anzi, nell’indifferenza. La personalizzazione della politica e dei
partiti. È in atto dagli anni Ottanta. Interpretata da Craxi. E, in modo
diverso, anche da Berlinguer. Ma ha conosciuto una forte accentuazione negli
anni Novanta. Assieme alla fine della Prima Repubblica, fondata sui partiti (di
massa). Allora si è sviluppato il rapporto diretto fra cittadini e leader.
Soprattutto dopo la “discesa in campo” di Berlusconi. Che ha usato le (proprie)
televisioni come canale di partecipazione e di consenso. Gli altri partiti si
sono adeguati. O hanno cercato di farlo. Con maggiore o minore successo. Si è
aperta così l’era dei “partiti personali”, la cui identità ed esistenza
coincidono con quella del Capo. Sorti e scomparsi, oppure ridimensionati,
insieme ai loro leader. Senza un leader capace di comunicare con gli elettori
in modo “diretto”, è divenuto pressoché impossibile vincere le elezioni. Per
questo il Centrosinistra, da ultimo il Pd, erede dei partiti di massa, ha
sempre stentato ad affermarsi. E, ancor più, a durare. Fino all’arrivo di
Renzi, appunto. (…). Chi accusa Renzi, oggi, di stravolgere la Costituzione
dimentica, dunque, che ciò è già avvenuto. Da tempo. Almeno da vent’anni. E da
vent’anni siamo divenuti una Repubblica “preterintenzionale”. Dove vige una
democrazia ibrida, a metà fra personalizzazione ultrà e partecipazione diretta.
Fra leaderismo e rete. Fra Tv e Web. A Renzi, semmai, si dovrebbe imputare di
non avere inventato nulla. E di non avere l’intenzione di farlo. Cioè, di non
essere interessato tanto a dare senso al caos, pardon, al “caso” istituzionale,
che (s)regola il Paese. Ma, semmai, di assecondarlo. Selettivamente.
Accentuando e rafforzando gli aspetti più coerenti con i suoi interessi. E con
la sua vocazione di Leader del PdR. Alla guida di un governo personale e di una
democrazia per caso. (…). Ma per vent’anni non s’era detto che il “cambiar
verso” dovesse significare l’abbandono delle disdicevoli pratiche
politiche messe in atto nella poco commendevole “seconda Repubblica”? Ed
invece il “verso” non è cambiato, anzi. Ha scritto una lettera “aperta”
al Partito Democratico Luisella Costamagna su “il Fatto Quotidiano” – “Renzi e il patto del Nazareno: la vera
faccia che il Pd non ha mai voluto mostrare” – del 29 di luglio ultimo. Una
lettera che in milioni avremmo pensato di scrivere…
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